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MERCANTI E GUERRIERI

Capitolo 1. Visioni classiche dell'interdipendenza

Il REALISMO e il primato della politica

L'essenza filosofica della tradizione realista è fondata sul pessimismo riguardo alla natura umana o alle prospettive dell'interazione tra esseri umani. All'interno degli Stati la cooperazione tra individui è garantita dall'autorità sovrana capace di imporla, ma tra gli Stati questa autorità è assente, e non è possibile fermare la lotta per il controllo delle risorse scarse. Il conflitto, per i realisti, è dato per scontato: il realismo è una teoria della cooperazione basata su assunti che prevedono il conflitto come condizione normale e naturale della vita politica. La caratteristica della cooperazione è la precarietà, visto che emerge da una temporanea sospensione delle condizioni che portano al conflitto. Il progresso nelle vicende politiche è "bloccato".

dall'impossibilità di stabilire relazioni cordiali durature. Il realismo accetta con rassegnazione la realtà anche nei suoi aspetti più pessimistici: il conflitto è endemico, necessario e inevitabile, mentre i costi che il conflitto comporta sono inferiori ai rischi che potrebbero scaturire da un atteggiamento più ottimista. Lo Stato è visto come il principale attore dell'arena internazionale, non esiste un'autorità superiore agli Stati: la sovranità di uno Stato è vincolabile solo tramite l'azione di altri Stati o una cessione volontaria. Il sistema internazionale è quindi anarchico per effetto della sovranità degli Stati, che non riconoscono alcuna autorità. Tutti gli Stati sono costretti all'autodifesa, che genera il paradosso del "dilemma di sicurezza" (Security Dilemma), secondo cui i gruppi in anarchia devono preoccuparsi della loro sicurezza da un attacco, dalla

soggiogazione, dal dominio o dall'annichilimento da parte di altri gruppi. Diventano più insicuri e per questo sono costretti ad acquisire sempre più potere e a prepararsi al peggio. La conseguenza è la lotta per il potere e il circolo vizioso dell'accumulo di potere e sicurezza.

I pericoli dell'interdipendenza

Una politica economica aperta potrebbe essere rischiosa in quanto svilupperebbe una pericolosa dipendenza da fattori esterni e incontrollabili che potrebbero minare la capacità dello Stato di difendersi dai suoi pari. Secondo Rousseau, l'interdipendenza porta al sospetto, e proponeva agli stati un "benigno isolazionismo".

Nella letteratura contemporanea, i pericoli per la sicurezza degli Stati riguardo lo sviluppo di un'economia mondiale aperta sono tre:

  1. Un'economia capitalistica porta a un andamento ciclico dell'economia mondiale, con processi di espansione e contrazione oltre il controllo dei singoli

Stati. Questa instabilità economica può portare a improvvisi cambiamenti degli scenari politici domestici e internazionali, che potrebbero scatenare pericolose conseguenze sulle relazioni internazionali.

Il concetto stesso di interdipendenza implica una simmetria di condizioni che è raro riscontrare nella realtà. La "mutua dipendenza" dovrebbe essere una condizione di uguale stato che si verificherebbe qualora gli Stati assegnassero uguale valore all'interscambio reciproco, ma in realtà spesso accade che l'interruzione dei rapporti economici sia più costosa per una delle parti, e questo porta l'altra parte a detenere un "effetto influenza" con cui può manipolare per fini politici la sua minore dipendenza dalla relazione asimmetrica.

L'interdipendenza può generare conflitto in quanto la dipendenza verso l'esterno può essere vista come una forma di vulnerabilità. Una

strettainterdipendenza potrebbe essere fonte di sospetto o di guerra: coloro che dipendono da altri per risorse critiche temeranno un embargo o minacce in tempi di crisi o guerra.

La tradizione LIBERALE e il primato dell'economia

La teoria liberale giunge a conclusioni opposte rispetto al realismo per quanto riguarda gli effetti dell'interdipendenza, che nascono da una visione della politica più pluralista e meno determinista. Il libero commercio è un bene da perseguire e mantenere, anche se i liberali non sono contrari al protezionismo: esso costituisce un'eccezione, che dovrà essere giustificata e sarà comunque temporanea. Nelle relazioni internazionali, il liberalismo è ottimista sulla natura dell'uomo e della politica: l'uomo è socievole e collaborativo, che risolve conflitti d'opinione attraverso il dialogo. Il fulcro normativo del liberalismo è rappresentato dall'individuo e dalla necessità di liberarlo.

e una volta liberato potrà procedere a una sua piena realizzazione, che porterà allo sviluppo della società e al progresso. Secondo il liberalismo, non è lo Stato il punto di partenza, ma i singoli individui e le loro volontà: gli Stati rispecchieranno le preferenze degli attori al proprio interno. Il punto fondamentale di distinzione tra realisti e liberali è la minore forza, per i liberali, dei vincoli dell'anarchia. I liberali considerano l'anarchia come un elemento fondamentale ma con un'accezione diversa: essa rappresenta l'assenza di un'autorità superiore capace di punire gli Stati e che li lascia liberi di comportarsi in modo disfunzionale rispetto al sistema internazionale ma anche di conformarsi ad un comportamento più socievole. La maggiore libertà consente loro di non preoccuparsi troppo della loro posizione rispetto agli altri stati, ma di massimizzare i propri vantaggi assoluti (Stati come).

“egoisti razionali”). Si distinguono tre principali filoni di pensiero del liberalismo:

  1. Liberalismo repubblicano: enfatizza l’importanza della politica interna
  2. Liberalismo istituzionalista: enfatizza fattori più internazionali
  3. Liberalismo commerciale: enfatizza l’importanza dell’attenzione verso considerazioni di carattere economico

Le opportunità dell’interdipendenza – gli effetti del commercio a favore della pace e della stabilità

  1. Il libero commercio modifica gli incentivi degli Stati nell’arena internazionale. Da un lato, permetteva agli Stati di ottenere prodotti di cui abbisognavano senza correre rischi e costi di una guerra di conquista. Dall’altro lato, i benefici economici di una maggiore interdipendenza diventano un incentivo a mantenere la pace in quanto la guerra interromperebbe i flussi economici.
  2. Un’economia internazionale capitalista favorirebbe la comprensione reciproca tra gli Stati
l’immediato dopoguerra. Inoltre, il realismo non tiene conto delle dinamiche interne degli Stati, come l’emergere di regimi liberali e democratici, di classi borghesi meno interessate alla guerra. I limiti empirici del realismo e del liberalismo sono stati oggetto di critica. Alcuni studi hanno rilevato una correlazione positiva tra interdipendenza economica e conflitto. Ad esempio, Russett ha trovato su un campione di Stati nell’immediato dopoguerra una relazione positiva tra interscambio commerciale e probabilità di conflitto. Inoltre, uno studio ha evidenziato come la dipendenza riguardante i materiali strategici crei incentivi per gli Stati ad adottare politiche espansionistiche e strategie militari offensive. Un altro studio suggerisce che livelli più alti di interdipendenza portano a maggiori probabilità di una disputa militarizzata. Questi risultati mettono in discussione la visione realista secondo cui l’interdipendenza economica ridurrebbe le probabilità di conflitto. D’altra parte, il realismo stesso presenta dei limiti. Ad esempio, lo scoppio della Seconda guerra mondiale rappresenta un problema per il realismo, in quanto gli Stati erano probabilmente meno interdipendenti che nell’immediato dopoguerra. Inoltre, il realismo non tiene conto delle dinamiche interne degli Stati, come l’emergere di regimi liberali e democratici, di classi borghesi meno interessate alla guerra.egemonica sostiene che un attore dominante, o un gruppo di attori dominanti, sia in grado di mantenere la pace e promuovere la stabilità politica ed economica a livello internazionale. Questo avviene perché l'attore egemonico ha il potere di imporre le proprie regole e norme agli altri attori, e di fornire pubblici beni globali come la sicurezza e la stabilità monetaria. Secondo questa teoria, l'apertura economica è favorita dalla presenza di un attore egemonico che promuove la liberalizzazione degli scambi commerciali e degli investimenti. L'attore egemonico può farlo perché ha interesse a promuovere la crescita economica globale, che a sua volta contribuisce al suo potere e alla sua influenza. Tuttavia, la teoria della stabilità egemonica ha anche dei limiti. Innanzitutto, l'egemonia può essere instabile nel tempo, e l'attore egemonico può perdere il suo potere e la sua capacità di promuovere la stabilità. Inoltre, l'egemonia può essere percepita come una forma di dominio e sfruttamento da parte degli altri attori, che potrebbero reagire in modi che minano la stabilità. In conclusione, la teoria della stabilità egemonica sostiene che un attore dominante può promuovere la stabilità politica ed economica a livello internazionale. Tuttavia, questa teoria ha dei limiti e non può spiegare completamente i complessi rapporti tra sistema economico e sistema politico a livello internazionale.

egemonica interpretal'evoluzione del sistema internazionale in tre fasi:

  1. Nella prima fase di ascesa egemonica, i differenziali della crescita economica e la tendenza per le innovazioni tecnologiche ad influenzarsi a vicenda fanno sì che l'economia nazionale cresca più velocemente delle altre. Questa posizione di maggiore disponibilità permette allo Stato di accumulare risorse globali stabilendo la propria egemonia sugli altri Stati.

  2. Nella seconda fase di stabilità egemonica, l'ordine mondiale sarà pacifico e conservatore, in quanto l'egemone impedirà l'emergere di sfide alla propria posizione e manterrà le condizioni che preferisce. Il sistema internazionale tenderà ad essere liberale perché la chiarezza e la stabilità delle gerarchie indurrà i protagonisti ad occuparsi dei propri vantaggi e della propria ricchezza, mentre l'egemone cercherà di imporre un ordine economico.

favorevole a sé. 3- Nella terza fase di declino egemonico, vari processi spingono a ridurre l'asimmetria nella distribuzione delle risorse. La diffusione delle conoscenze tecnologiche erode la peculiarità del leader. I costi di mantenimento saranno sempre più pesanti per il leader. Sarà sempre più difficile mantenere l'egemonia, si genera incertezza sulla gerarchia tra stati, e ciò crea incentivi a sfidare l'egemone. L'egemone può reagire scatenando una guerra egemonica o può accettare il suo "declassamento". In ogni caso, l'egemonia è destinata alla crisi, finché non si svilupperà un nuovo ciclo. Il liberalismo istituzionalista Per il liberalismo istituzionalista, il conflitto nelle relazioni internazionali ha origine nell'assenza di un'autorità superiore capace di punire il free-riding, e quindi di assicurare e infondere fiducia negli Stati riguardo alleintenzioni altrui. La possibilità che le promesse non sian
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Publisher
A.A. 2022-2023
34 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/06 Storia delle relazioni internazionali

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher claudia.od99 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Issues in international relations e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pavia o del prof Clementi Marco.