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Per quanto riguarda Guzmán si è trasformato nel modello del romanzo picaresco come “picaro letterario”.
Alcuni tratti del picaro ci obbligano ad associarlo a una struttura narrativa (esempio serie dei padroni), implicano una
determinata costruzione, identificando la picaresca come romanzo.
L'eroe del romanzo picaresco può essere definito come combinazione di un carattere e di uno schema letterario – a tale
eroe viene riconosciuta una entità propria nata dalla finzione e imitata dalla vita. Rispetto a questo punto Cervantes
denuncia nel picaro un ibrido di realtà e letteratura; sapeva che gli intrecci della storia si potevano superare dal lato della
realtà, ma il personaggio doveva adattarsi alla letteratura per non diventare un altro. In questa luce, quando il picaro ci si
rivela come creatura letteraria: il Lazarillo de Tormes è il 1° romanzo picaresco → è riuscito a selezionare e a assemblare
tipi e temi dando ad essi unità e senso nella dipendenza da una figura centrale.
Altri scrittori indovinarono le possibilità della sintesi proposta nel Lazarillo, ma sono Aleman le combinò in un genere
noto a tutti. Il Lazarillo fu imitato dal Guzmán con il fine di sovrapporsi l'uno all'altro ed essere in grado di riconoscere i
tratti comuni e palesare la formula elementare del romanzo picaresco. In questa sovrapposizione l'uno arricchisce l'altro.
La voce del padrone
Il romanzo picaresco conteneva il Guzmán e il Lazarillo ma non si esauriva in nessuno dei due. I primi che ricorsero al
nuovo genere furono Quevedo e Lopez de Ubeda → si servirono di questo genere perché favoriva una ricchezza
linguistica che poteva dimostrare il loro talento.
Rico ritorna su un dato essenziale del personaggio ovvero quel fattore che trasforma il picaro in una creatura letteraria.
Nel racconto anonimo, la prima persona:
forniva il pretesto di storicità
rafforzava l'illusione realista
era al servizio di un umanesimo
ecc ecc
Nel libro di Aleman serviva a romanzare le prediche; faceva si che la trama e la dottrina si confermassero reciprocamente;
portava ad approfondire l'interiorità dell'eroe.
In entrambe le opere l'autobiografia presentava tutta la realtà in funzione del punto di vista.
Soffermiamoci sul libro “Libro de entretenimientos de la picara Justina” di L. de Ubeda → fin dal prologo si fa
riferimento al Lázaro, ma l'influenza profonda è quella del Guzmán. Essa ha un picardia congenita dalla nascita. Justina
nega al facchino (Guzmán) il titolo di picaro contro l'usanza comune della Spagna nel 600; questo perché Ubeda applica
il termine ad un atteggiamento vitale e perfino ereditario.
In effetti nella picara Justina l'autobiografia è un elemento fittizio che non scaturisce dagli altri fattori del libro (carattere,
trama ecc ecc) ne aggiunge loro alcun senso.
Inoltre nulla la giustifica; essa è una figura di incoerenza quasi scandalosa e le figure di osservatrice e scrittrice sono
aspetti superflui. Un tratto del libro è quello di diluire il racconto, ma né lo stile né la prospettiva hanno un rapporto con
Justina: sono caratteristiche esclusive di Ubeda. L'autore fa notare più volte questo aspetto con annotazioni ai margini dei
periodi o massime. Questa continua ambiguità dell'io narrativo può, per esempio, essere intesa come sintomo di altre
ambiguità di contenuto. Secondo Bataillon il travestimento dell'io svolge la missione di segnalare che molte persone,
luoghi e cose appaiono mascherati preparando il lettore al gustoso esercizio di togliere loro la maschera.
A Rico, comunque, interessa sottolineare che nel “Lazarillo” e nel “Guzmán” l'autobiografia integra in un punto di vista
stile, carattere e piano, mentre nella “picara Justina” non aveva funzione primaria.
Consideriamo l'opera “La vida del Buscon, llamado Don Pablos” di Quevedo.
Attua una riforma sul piano del concetto e del linguaggio piuttosto che affrontare temi globali come si può vedere dalle
sue altre opere che comprendono osservazioni isolate o vignette sciolte. Nel tentare di scrivere un opera picaresca
riconosce i tratti essenziali ma li incorpora come frammenti dispersi senza indovinare la loro connessione profonda.
Utilizza un modello autobiografico, ma l'appello iniziale (<Yo, senor, soy de Segovia>) e le restanti apostrofi a
Vossignoria non significano nulla per i lettori (a differenza del Lazarillo), il senor di Pablos non fa parte del romanzo, è
semplicemente un nome.
Ma perché scrive Pablos? Perchè gli manca uno stimolo esterno compatibile con quello di Lazaro. Pablos sembra non
avere altra “vita interiore” invece l'autore del Lazarillo e Aleman avevano realizzato i “loro” picari conservando il decoro
del protagonista ovvero avevano fatto corrispondere a determinate conseguenze nei loro atteggiamenti delle rispettive
cause.
(come già detto)Invece, Quevedo mantenne le tappe principali di tale itinerario ma non la connessione.
Il problema è che ricorrendo al genere del romanzo picaresco e privandolo delle componenti che lo rendevano efficace,
Quevedo rinunciò a creare per sé una forma propria e disgregò il libro in piani sconnessi.
Lato di Pablo solido → desiderio d'onore(voleva diventare cavaliere) e preminenza sociale (cancellare le tracce del suo
disonore) → “negar la sangre”
Quevedo non comprese né il Lazarillo né il Guzmán; non comprese che essi raccontano il passato per chiarire il presente.
Non fu infastidito incoerenza del fatto che Pablos scrivesse memorie nelle quali tradisce regolarmente la sua credibilità
come protagonista e come narratore. Quevedo non rispetta il punto di vista del suo personaggio.
La tragicommedia del romanzo picaresco
Con la Picara Justina e la Vida del Buscon si era entrati in una situazione di stallo. La formula del Lazarillo e del Buscon
veniva adottata senza giustificazione e risultava troppo monotona. Il romanzo picaresco offriva ben poco che non si
potesse trovare e cessò di interessare.
Nel 1612 Barbadillo pubblica “la hija de la Celestina” → opera che narra lo svolgimento e le conseguenze immediate di
una frode di tre malfattori e si chiude con una breve appendice sul loro destino (non può essere inserita nel romanzo
picaresco perché l'autore comprime lo schema narrativo del romanzo fino a ricondurlo ad un episodio e usa tratti che gli
autori precedenti si erano impegnati a superare)
“Alonso, mozo de muchos amos” → Nel libro il punto di vista è romanzato anche se risulta ovvio che Alcalá Yanez
prende spunto da Aleman ma non risulta all'altezza di scrivere un'opera altrettanto bella.
Dopo il 1626 la produzione di opere picaresche diminuisce. L'ultima opera è “La vida y hechos de Estebanillo Gonzales,
hombre de buen humor” (1646) → estabanillo era un uomo burlone (considerato come un giullare medievale o un clown
moderno) e senza pudore; ammesso nei palazzi dei re e nelle case dei signori; tutte le sue libertà le paga con il fatto di
essere maltrattato in mille modi
Concludendo → Dal medioevo fino al 1600 si considerava che la dignità dell'opera letteraria fosse determinata dalla
dignità sociale dei suoi protagonisti.
La gerarchia dei temi e degli stili replicava la gerarchia di ranghi di una società costituita da differenze di nascita. I
personaggi erano concepiti come già tipificati.
Ai plebei era proibito l'accesso alla letteratura con la piena personalità della vita reale. Erano ridotti ad aspetti
peggiorativi per la burla
i nobili avevano una fisionomia complessa
il villano era monotono e grottesco
Riconoscere il romanzo picaresco come genere significava confinarlo del dominio del comico. Sappiamo che in realtà
non era così. In ogni caso, la forma autobiografica e la rappresentazione della realtà in funzione di un punto di vista resero
possibile “pensare dall'interno, con profonda simpatia romanzesca, un personaggio come il banditore di Toledo”.
Mateo Aleman dichiara che tutti gli uomini sono uguali e godono di identità libertà, perciò in quanto uguale a tutti gli altri
descrive il Guzmán de Alfarache come individuo compiuto e intero.
Nell'opera:
Il suo personaggio è concepito dall'intero
viene raccontato con tratti tragici
rigorosa fedeltà alla 1° persona Poscritto
Il romanzo picaresco e la storia del romanzo
Paradosso del romanzo
La finzione richiede finzione, ne esige sempre di più. Non deve sorprendere che per migliaia di anni l'umanità abbia
preferito i racconti estranei ai limiti e alle noie quotidiane. In realtà, il realismo ottocentesco che in confronto a tutte le
epoche precedenti è un periodo brevissimo ci ha lasciato un'eredità ancora presente oggi. Esso fornisce il paragone per
saggiare altra modalità narrative. Tutti conosciamo la sua impostazione → raccontare storie reali e di proporre finzioni
che non siano tanto distanti dalla vita abituale.
Nel rinascimento quando la Spagna e l'Italia costituivano un unico spazio culturale i generi maggiormente diffusi erano:
libri di cavalleria
romanzi pastorali
storie di amanti disperati
pellegrini eterni
Gli elementi di verità che si potevano notare erano molto lontani dall'essere considerati obiettivi primari. Semplicemente
un racconto veniva riconosciuto fittizio. L'umanesimo del resto aveva divulgato una letteratura fondata sull'imitazione
della realtà basata su 3 principi:
1. verosimiglianza
2. costanza
3. decoro
Il poeta non aveva il compito di ritrarre il mondo così com'è ma come dovrebbe o potrebbe essere, e questo dover essere
riguarda: la morale, i personaggi, i fatti, il linguaggio. (ispirazione Aristotelica)
è in rapporto ai capolavori di questa tradizione che si riesce ad apprezzare il romanzo realista (ovvero il suo contrario).
Quest'ultimo infatti cerca di sostituire le categorie della finzione con le categorie della vita e per fare ciò deve rompere
con la letteratura classica. Il proposito di abbattere le frontiere tra ala letteratura e la realtà procurò al romanzo realista un
prestigio che nessun altro genere si era guadagnato.
Solo alla fine del 900 si riuscì a riconciliare il romanzo realista con la finzione e con la letteratura → per arrivare alla
conclusione che quel progetto era solamente un'illusione.
Punti di vista
La dottrina del “punto di vista” che applica Rico è una serie di dati storici.
In ogni caso il nucleo fondamentale del L. (Lazarillo) e del G. (Guzmán)