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SUNTI DI LETTERATURA SPAGNOLA I
Università di Pisa - Professore esame: Giulia Poggi
LIBRO: IL ROMANZO PICARESCO E IL PUNTO DI VISTA di Francisco Rico
1. Lazarillo de Tormes, o la polisemia
E’ intorno al 1554 che le stampe danno alla luce La vida de Lazarillo de Tormes, il cui
protagonista ha di certo una vita notevole, ma lontana da quelle narrate nei libri di cavalleria.
L’apice della fortuna è un matrimonio mediocre, un posto come banditore, e le imprese che
popolano la vicenda non abbagliano il lettore. La prosa letteraria non offriva precedenti prossimi di
un’attenzione così sostenuta ed esclusiva a una personaggio della miserabile qualità di Lazaro
Pèrez. Da sempre, però, esisteva una forma letteraria adatta a conciliare la tradizione retorica e la
modesta storicità: la lettera. Il Lazarillo, più che un racconto puro, è una “relazione” o rapporto
fatto da un uomo intorno a se stesso, il prologo lo indica proprio nella conclusione: “Vossignoria
scrive che le si scriva e racconti il caso molto per esteso”. Vossignoria si è rivolta a Lazaro con
una lettera per ottenere notizie intorno a un argomento ancora imprecisato, e il protagonista
risponde a sua volta, non dimenticando mai a chi si rivolge, per cui il racconto è punteggiato di
appelli al destinatario. La lettera si è sempre prestata alla confidenza e alla confessione, ed era
inoltre ben ritagliata sull’autobiografia. Si possono distinguere due tipologie di lettere: una “gravis
et severa” spesso scritta per giustificare un determinato atteggiamento o situazione osservandoli
nella prospettiva di una vita intera; l’altra “otiosa” che tendeva a concentrarsi su un solo episodio
in cui l’oggetto di burla era l’autore stesso, prediligendo le costruzioni proverbiali, il pettegolezzo,
l’allusione. E’ proprio a questa tradizione che si appoggia il Lazarillo de Tormes per identificarsi
come entità letteraria. Come lettera autobiografica, non solo soddisfaceva quella esigenza di
storicità che caratterizzava la finzione, ma la potenziava con una decisiva iniezione di realismo. La
lettera di Lazaro aspira a spiegare proprio il perché gli abbiano chiesto di scrivere.
Era chiara la necessità di un pretesto per la scrittura della lettera: il caso che ha suscitato la
curiosità di Vossignoria. Proprio questa figura fa capolino nella narrazione nell’ultimo capitolo,
come “signore e amico del signor Arciprete di San Salvador”, e l’arciprete non è che l’unico punto
di contatto fra il protagonista e il destinatario della lettera, per cui la richiesta della lettera era
dovuta succedere nel periodo di vita di Lazaro in cui il picaro e il signore arrivarono a conoscersi. Il
caso è presto svelato: gira la voce che la domestica dell’arciprete, che il protagonista ha sposato,
entri ed esca dalla casa dello stesso più volte durante la giornata, e che questa abbia partorito tre
volte prima di sposarsi. Il caso è alimentato dalle dicerie che corrono per la città sull’equivoco
terzetto, voci che Lazaro ripudia e che accetta di discutere solo nella sua relazione epistolare,
rivendicando l’onore di sua moglie. L’autobiografia dipende dal caso, e nello stesso tempo lo
giustifica, il protagonista assume il suo passato in funzione del suo presente e decide di affrontarlo
partendo dal principio, organizzando la lettera nella convergenza dei diversi episodi verso il caso
del capitolo finale.
Il cieco
Naturalmente non ogni informazione sulla preistoria di Lazaro si lascia intendere direttamente in
rapporto al proprio sgradevole presente: a questo, però, sono subordinate tutte le cellule narrative
che fissano la struttura dell’insieme. Le disavventure al servizio del cieco si ordinano intorno a
cinque motivi fondamentali: la zuccata contro il toro di pietra, le astuzie per bere il vino, la burla
dell’uva, il furto del salame e l’urto del cieco contro il pilastro. Il primo e l’ultimo sono le due facce
della stessa medaglia, mentre il secondo e il penultimo ripetono uno stesso schema. Entrambe le
coppie acquistano rilevanza nell’intelaiatura in quanto riferite al caso finale. Il nucleo del primo
motivo è noto e contiene il primo fondamentale insegnamento al protagonista, che è obbligato
a prendere coscienza dell’ostilità del mondo e da forma al suo atteggiamento di fronte alla vita. A
questo proposito il narratore aggiunge: “Mi compiaccio di raccontare a Vossignoria queste
bambinate per mostrare quanto sia grande la virtù di quegli uomini che, dal basso, riescono a
salire in alto”, stabilendo un collegamento col caso finale. Così, gli appelli al destinatario
svolgono una triplice funzione: precisano il carattere epistolare, proiettano i ritagli della vita sul
caso del protagonista e rafforzano l’illusione di storicità e verosimiglianza. L’altra coppia di vicende
assicurano il vincolo fra la prima e l’ultima (beffa e vendetta), e si unificano per l’esistenza del
motivo del vino, il quale si pone al principio del caso: il protagonista trova lavoro al servizio
dell’arciprete come banditore di vini. Nella vicenda di mezzo niente sembra avere una missione
strutturale definita, ma allora perché fra tante burle raccontare proprio quella del grappolo? Per fini
esemplificativi a Lazaro basta raccontare un caso, uno che ben dimostri la sottigliezza e la
scaltrezza del cieco, senza proseguire oltre, poiché esso si riferisce al padrone piuttosto che al
ragazzo, ma non di lui a Vossignoria interessa sapere.
Per la poetica del Lazarillo
Il parallelismo fra le pagine iniziali e quelle finali è fissato attraverso determinati procedimenti. Suo
padre rubava il grano e subì persecuzioni per mano della giustizia, e adesso suo figlio proclama i
delitti di coloro che subiscono le persecuzioni della giustizia e ottiene che gli mettano in casa “circa
una somma di grano”. La madre decide di mettersi “sotto il patrocinio dei buoni”, affittando una
casuccia, lavando la biancheria, fino a finire concubina del “moreno” Zaide, così il figlio sposa una
concubina, che si occupa di “fare pulizie e da mangiare”, e ottiene una piccola casa a Toledo. Così
anche Zaide, che provvede alla famiglia con i propri furti, è il corrispettivo dell’arciprete, che
favorisce Lazaro con i soldi malguadagnati con l’abuso del suo ministero. La ripetizione, il
parallelismo e il contrasto sono alcune delle risorse più universali per potenziare il carattere
dell’opera letteraria. Come la rima induce a ricordare elementi che sono rimasti indietro, ponendoli
in mutuo rapporto, così fanno simmetrie e opposizioni in un romanzo: le analogia fra il primo e
l’ultimo capitolo mettono in rilievo la connessione di tutte le componenti del romanzo. Un altro
mezzo per delimitare l’oggetto letterario, ribadendo la sua indipendenza, consiste nel creare
un’aspettativa sostenuta e soddisfarla con imprevista compiutezza, in modo che il punto finale
si faccia sentire con maggiore evidenza. Questa caratteristica appartiene a molti sonetti, ma è
presente anche nel Lazarillo: le varie tappe funzionano come una sorta di frasi condizionali
orientate verso un futuro che deve colmarle di significato; ognuna delle tappe accumula nuovi
elementi che precisano la personalità del protagonista. Tutto il romanzo mette in evidenza la
stessa unità di tendenza: tutti i tratti dei dodici anni di bambino addormentato (la persecuzione,
l’appoggiarsi ai buoni, le entrate e le uscite di Zaide) riappaiono come ingredienti del caso; le
pagnotte che il terzo padrone negava al bambino sono le stesse evocate in rapporto all’arciprete; i
due mesi con lo scudiero insegnano al ragazzo quanto sia inutile la mania dell’onore, ma alle
prese con il caso lui sacrificherà il buon nome sull’altare delle necessità, in beneficio della vita
facile; il servizio offerto allo spacciatore di bolle rafforza la lezione del trarre profitto dal proprio
silenzio, e così non fa più motto della faccenda a sua moglie. Lazaro de Tormes raccoglie e
applica al caso tutti gli insegnamenti ricevuti, e lo spazio del romanzo resta definitivamente
chiuso e unificato.
Il trompe l’oeil
Se nel medioevo l’artista arriva alla realtà attraverso la tradizione, che gli fornisce gli schemi
fondamentali per rappresentare qualcosa, nel rinascimento è l’esperienza a prevalere, l’opera
d’arte non è più mera obbedienza a un codice tradizionale, ma come un frammento dell’universo
così com’è visto da una persone, da un punto di vista, in un dato momento. Anche nel Lazarillo la
realtà verosimile è subordinata al punto di vista del protagonista. Proprio il problema della
verosimiglianza caratterizzava la letteratura d’immaginazione degli umanisti, la cui sfida era
rappresentare una realtà che avesse colore di verità pur non essendolo. Il realismo e
l’autobiografia si implicano nelle pagine dell’opera, e ogni osservazione del mondo trova
accoglienza solo attraverso i sensi di Lazaro e Lazarillo. La coerenza quindi si impone per
mantenere la finzione, e negli episodi in cui i fatti accaduti non sono certi (il protagonista perde i
sensi), il narratore li presenta vuoi come ipotesi ben fondate, vuoi come riferiti a lui da altri, o come
combinazione di fiuto proprio e informazioni altrui; ciò che è certo viene sempre ben separato da
ciò che è dubbio.
Ogni vicenda è filtrata attraverso la percezione del protagonista, la realtà non vale nulla se il
soggetto non la incorpora: Lazaro bambino non lascia testimonianza d’altro che di ciò che vede e
sente, a cui conferisce realtà e senso solo in quanto lo riguarda. Questa presentazione di eventi
permette che il lettore sia burlato e confuso così come il protagonista, come si vede
chiaramente nell’episodio dello spacciatore di bolle: l’intero episodio è frammentato in due tempi,
uno di percezione pura in cui le vicende vengono raccontate come uno qualunque dei personaggi
raggirati, e uno in cui il protagonista assume un fattore addizionale, l’inganno, che altera il senso
della scena. Questa tecnica domina tutto il romanzo: Lazaro propone dati che interessano in se
stessi, e nell’ultimo capitolo introduce un nuovo elemento, il caso, che dà un’altra significazione
ai materiali allegati fino a quel momento.
La scatola cinese
Nel romanzo la prospettiva è una delle componenti della realtà, il mondo non è univoco ma
esiste in quanto riferito alla persona, e così è lo stile linguistico, che capta con malizia la polisemia
della vita, con formule comparative di interpretazione mutevol