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COMPIUTA DONZELLA:
Le donne sono le protagoniste della poesia lirica dei primi secoli, sia come destinatarie sia come
oggetto dei componimenti, ma non è mai soggetto attivo come poetessa.
L’unica è quest’autrice di 3 sonetti.
BONAGGIUNTA ORBICCIANI*
GUITTONE D’AREZZO:
1235 – 1294. Nel 1263 è costretto a lasciare la toscana per motivi politici (è un guelfo militante). Pur
avendo moglie e figli, tra il 1265 e il 1266 entra nell’ordine dei frati gaudenti. Il suo canzoniere è il
più ampio del Duecento: 50 canzoni e 250 sonetti. Prima della conversione prevale la tematica
amorosa, dopo quella morale, civile e politica. È un fedele cultore del trobar clus. Nella canzone Ahi
lasso!, or è stagion de doler tanto lamenta la sconfitta dei Guelfi fiorentini a Montaperti nel 1260,
traendone spunto per una serie di addolorate considerazioni sulla decadenza dei tempi.
RAPPORTO CON DANTE:
Guittone viene sempre citato negativamente dal suo successore Dante, pur essendo il suo
precursore. Questo sistema di ripresa è simile al rapporto padre-figlio: il figlio può non essere, se non
c’è il padre prima di lui, perciò vi dipende, ma deve liberarsi del suo controllo per poter vivere; ne
segue le orme, ma deve separarsene in qualche modo. Si ha così un rapporto complesso fatto di
imitazioni e rifiuti.
Sebbene Guittone scriva le Lettere in volgare, dense di retorica come sono risultano simili alle
Epistole di Dante.
In questo rapporto letterario d’influenza, c’è una continua esclusione, negazione da parte di Dante
nei confronti di Guittone come autore. Ma erano entrambi guelfi, uomini del Comune e scrivevano
lettere; inoltre, entrambi reinseriscono argomenti di carattere morale e politico dopo la scuola
siciliana.
ELEMENTI PRE-DANTESCHI:
Il gioco di parole che si ritrova in una canzone di Guittone sull’origine del nome di Firenze (che
→ viene assimilata ad un fiore perché, come quello, si rinnova sempre) verrà usato anche da Dante.
Ad un certo punto, Guittone elenca tutte le città che vengono a poco a poco conquistate da
→ Siena e che erano di Firenze. Quest’esposizione crea un’alta tensione retorica che incontreremo
anche nel Canto sei del Paradiso di Dante, quando Giustiniano racconta al poeta le imprese
dell’Impero Romano. Non è importante tanto il contenuto, ma la sequenza stretta, veloce. È la
tecnica della brevitas e serve per dare un significato univoco a fatti distanti nel tempo,
facendogli assumere un’interpretazione univoca.
Guittone ha una visione della circolarità di bene e male, oltre che molta ironia.
→
3. STILNOVISTI:
È la più importante esperienza lirica manifestata nel volgare del sì. Dante lo chiamerà “dolce stil novo”. Si
tratta di un gruppo di sei-sette poeti distribuiti tra Bologna (Guido Guinizzelli) e Firenze (Guido Cavalcanti,
Dante Alighieri, Cino da Pistoia), quasi tutti esercitanti professioni giuridiche e con grande conoscenza della
filosofia e della cultura latina medievale. L’argomento pressoché esclusivo è l’amore, ma come fatto
individuale; anche se affiora lo spirito di gruppo, la forte solidarietà, lo scambio di consigli: l’amicizia si
sostituisce alla Corte come nuovo vincolo, perciò non tutti possono prenderne parte. E ciò vale anche per il
pubblico (persino Dante nella Vita Nuova individua una categoria alla quale è rivolto il suo messaggio, i
“fedeli d’Amore”).
GUIDO GUINIZZELLI:
Precursore dello Stilnovo, a lui si deve l’affermazione della centralità dell’amore. Nel Purgatorio,
Dante lo consacra “padre” iniziatore dell’”uso moderno”. In Al cor gentile rempaira sempre amore
Guinizzelli dice che, secondo lui, solo un cuore gentile può provare amore, perciò ruota tutto intorno
a questa nuova gentilezza: non più nobiltà di sangue, ma nobiltà di spirito.
Compare già in lui il motivo stilnovistico della lode, così come quelli del saluto e dello sguardo della
donna amata che suscita sentimenti salutiferi a coloro che la incontrano.
*Bonaggiunta Orbicciani gli scrive con l’intento di criticarne lo stile troppo contorto in Voi ch’avete
mutato la mainera, ma lo fa in un modo talmente oscuro da risultare lui stesso troppo complicato.
Guinizzelli gli replica con Omo ch’è saggio non corre leggero, in cui gli consiglia di non criticare senza
prima conoscere. Prosa lirica del Duecento
La prosa letteraria appare contraddistinta, al suo inizio, da un rapporto diretto e profondo con l’evoluzione politica e
civile dei Comuni. I suoi protagonisti sono giudici e notai, retori e grammatici, religiosi e mercanti. Nasce anche il
gusto per l’invenzione fantastica e per il divertimento.
Fondamentale, nella costruzione di una coscienza letteraria volgare italiana, è l’attività dei maestri di retorica e
grammatica che cercano di regolamentare la nuova lingua, soprattutto per le attività giuridiche e civili.
Guittone d’Arezzo scrive delle Lettere in cui l’attenzione per la retorica e le regole si accompagnano a una fede
→
appassionata e sincera, tanto da renderle dei veri e proprio sermoni.
Poesia comica e giocosa
Mentre lo stile alto riguarda generalmente l’amore, lo stile basso è impiegato per tematiche come la beffa, lo
scherzo e la canzonatura e si trova spesso nelle forme del sonetto. Non si tratta di un gruppo omogeneo di poeti,
ma di un insieme di tentativi che si concentra soprattutto in Toscana. Anche i poeti “alti” praticano questa poesia,
come Boccaccio con il suo Decameron.
CIELO D’ALCAMO:
→ Contrasto
Poesia lirica dalla struttura molto complessa, mai riportata integralmente nelle antologie. La datazione
viene collocata tra il 1231 e il 1250, perché Federico II viene dato per vivo (ed è morto nel 1250) e
perché vengono menzionate le leggi della Costituzione di Melfi (promulgate nel 1231). Siamo agli
albori della letteratura italiana alla corte fredriciana.
I personaggi subiscono un processo di oggettivazione e creano un dialogo con da una parte il poeta e
dall’altra una donna del popolo che lui tenta di “abbordare”. Apparentemente si tratta quindi di due
personaggi in contrasto: l’uomo cacciatore e la donna preda. Il poeta comincia a parlare per primo e si
capisce subito che è un uomo colto (paragona la donna ad un bellissimo fiore col quale tutte vorrebbero
ornarsi, la chiama “rosa fresca aulentissima”); la donna, invece, gli risponde secca, con un linguaggio
crudo e dialettale, popolareggiante (lo minaccia di farsi suora piuttosto che cedere alle sue “avance”). Il
volgare assume valore e coscienza poetica. Il dialogo, poi, procede come una Y in cui le due parti, un po’
alla volta, trovano un equilibrio (e la donna comincia a cedere), finché l’uomo ha la meglio sulla donna e
il tutto sfocia in una congiunzione carnale. Prima di questo, comunque, la donna gli fa intendere che
vorrebbe starci, ma è preoccupata che i suoi potrebbero prendere il poeta; lui le fa allora notare che,
grazie alle leggi prima citate, in casi analoghi di fuitina o semplice “abbordaggio”, se si pagava una multa
si rimaneva impuniti e qualsiasi delitto d’onore sarebbe stato considerato come un affronto al re. L’idea
era stata di Federico II che, avendo costantemente le casse dello stato vuote, pensò di modernizzare le
leggi e renderle meno efferate nelle punizioni, sul modello delle antiche leggi romane.
CECCO ANGIOLIERI:
Becchina, la sua amante attaccabrighe, rovescia il topos della donna angelicata.
Crea dei piccoli drammi il cui esito non è mai una risata fragorosa, ma un’amara contemplazione della vita
umana. Opere di narrazioni e di viaggi
IL NOVELLINO:
Ascrivibile ad un autore fiorentino che l’avrebbe composto tra il 1281 e il 1300, si tratta di una raccolta di
100 racconti. Per quanto l’autore del testo sia un cittadino, dunque, del Comune di Firenze, la civiltà a cui fa
riferimento è quella dell’aristocrazia declinante.
I racconti sono generalmente brevi, composti anche solo di poche righe. Lo stile è leggero, essenziale ma
efficace. L’intento morale sopravvive, ma per la prima volta tende a prevalere la ricerca di un divertimento
disinteressato: passaggio di storica importanza per la narrativa italiana ed europea.
IL MILIONE:
Marco Polo (1254 – 1324) è un mercante veneziano recatosi in Cina nel 1271 e tornato nel 1295.
Il titolo originario era Divisament du monde, ossia “composizione del mondo”, ma tradotto in quasi tutte le
lingue europee del tempo – e quindi anche nel nostro volgare – l’opera diviene universalmente nota col
titolo di Milione (forse era il soprannome dell’autore o della sua famiglia).
Oltre ad essere un libro di geografia e di viaggi, è anche un testo di scoperte e di avventura. L’atteggiamento
di Marco è quello di un laico: non giudica secondo il proprio metro, ma descrive secondo un criterio di
fedeltà ed esprime con sincerità il proprio stupore di fronte a ciò che gli sembra sorprendente. Fonde
efficacemente esattezza descrittiva e pura invenzione.
Brunetto Latini
1220 – 1294. Occupa cariche importanti nel Comune di Firenze e soggiorna a lungo in Spagna e in Francia. È maestro
di Dante. Scrive una Rettorica (traduzione del De inventione di Cicerone) e il Tesoretto, poesia didattico-allegorica
riduzione del Livre du trésor (enciclopedia compilata in francese che organizza le conoscenza del tempo mettendole
a disposizione di quel vasto pubblico che può ormai accedere solo al volgare). In quest’ultimo, Brunetto immagina di
aver incontrato a Roncisvalle un chierico proveniente da Bologna che lo informa che la parte guelfa è stata scacciata
da Firenze. Brunetto rinuncia a rientrare in Italia e ha una visione che usa per trasmettere al lettore consigli utili.
NELLA COMMEDIA:
Nel Canto 15, un dannato riconosce Dante e lo prende per un lembo dell'abito e grida "Qual maraviglia!". Il poeta lo
riconosce in Brunetto Latini, e gli si rivolge con la confidenza tipica di chi è in familiarità: "Siete voi qui, ser
Brunetto?".
"Ser" è comunque un segno di deferenza, dovuto tra l'altro al fatto che il Latini era un notaio e che fu per Dante un
→
maestro. Molti hanno sottolineato come quel "qui" indichi una certa sorpresa di Dante che forse fa finta di non
essere a conoscenza del peccato di Brunetto, ma nasconde anche una punta di sdegno, indicando un "proprio qui".
Assurdo, dato che ce l’ha messo lui.
Brunetto gli chiede se non gli dispiaccia fare insie