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Arte e scienza, Pirandello sostiene che queste componenti non sono fra loro incompatibili, ma possono interagire

fra loro. Secondo Pirandello, obiettando la posizione di Croce, l’opera d’arte non può limitarsi ad una forma

sterile, ma il processo creativo in sé porta ad un continuo flusso che va da emozione ad emozione. Inoltre, in

numerosi saggi, riallacciandosi alle posizioni linguistiche di Graziadio Ascoli, Pirandello ritiene che in Italia non

esista una lingua viva, ma i colti conoscono quella artificiale dei libri e gli incolti solamente il dialetto natio. Per

questo motivo, tutta la sua opera è pervasa da un continuo sforzo di creazione linguistica, sì colta, ma il più

possibile viva e caratterizzata dalla coloritura del dialetto. Novelle per un anno è la raccolta dei racconti

pirandelliani, caratterizzata da una straordinaria sistematicità. Il titolo suggerisce che l’autore avrebbe

raccogliere 365 racconti, quanti sono i giorni di un anno. Tuttavia il piano non fu portato a compimento in

quanto i racconti raccolti sono poco più di 200, riordinati un po’ alla rinfusa, senza ordine tematico né

cronologico. Vi sono novelle lunghe e corte, descrittive e dialogiche. Quelle che colpiscono di più sono quelle

che descrivono le bizzarrie e le contraddizioni sia fisiche sia psicologiche dei personaggi rappresentati, con lo

scopo di far riflettere il lettore sulla natura dei casi umani. Tra i romanzi più importanti di Pirandello ricordiamo:

I quaderni di Serafino Gubbio operatore, Uno, nessuno e centomila, Il fu Mattia Pascal e I vecchi e i giovani.

Ne I quaderni di Serafino Gubbio operatore il protagonista, un operatore presso la casa di produzioni

cinematografiche Kosmograph, vive un intenso malessere derivante dal suo mestiere di operatore, perdendo la

sua personalità in quanto la lente della telecamera arriva sempre di più a coincidere con il suo occhio. Uno,

nessuno e centomila descrive le vicende di un ricco borghese di provincia che, dopo numerose scomposizioni

psicologiche del suo essere, si degrada e finalmente tranquillo finisce in un ospizio per i poveri. Il capolavoro

indiscusso di Pirandello è Il fu Mattia Pascal: è la storia di un poveraccio di provincia che, creduto morto, decide

di approfittare dello stato di cose per cambiare nome (Adriano Meis) e cambiare vita. Dopo vari viaggi, si

stabilisce a Roma in una pensione e qui si innamora della figlia dell’oste, Adriana. Poco dopo, però, si rende

conto dell’insostenibilità di quella vita e, tornato al suo paese, decide di svelare la sua esistenza: scopre, tuttavia,

che la moglie ha sposato il suo migliore amico e che ormai niente può tornare come prima. Egli, così, diviene

l’ombra di se stesso, incapace di vivere la nuova vita e impossibilitato nel tornare nella vecchia. Vi è quindi, alla

base, una volontaria perdita d’identità non reversibile. Pirandello narra, dunque, come vera una storia che fa di

tutto per apparire falsa, ed anche il narratore, che pure è vero, fa di tutto per apparire inventato: in ciò sta la

maestria di Pirandello, nella capacità di far apparire la realtà come qualcosa di illusorio, e l’illusione come

qualcosa di reale. I vecchi e i giovani hanno un’impostazione più tradizionale, riallacciandosi a I Viceré di De

Roberto; esso ritrae gli stati d’animo del ceto intellettuale del paese a seguito dei moti risorgimentali. La raccolta

delle opere teatrali di Pirandello prende il nome di Maschere nude: il nome sta a rappresentare che l’esistenza,

quando è liberata dalle apparenze, rivela la sua autentica verità, spesso dolorosa. Il gioco della finzione investe

tutto: in Sei personaggi in cerca d’autore, i personaggi, che sono attori, diventano autonomi, si svincolano dal

loro ruolo principale, per esternare sul serio le loro sofferenze e i loro dolori. La natura sospesa dei personaggi

viene portata all’estremo, rendendo la realtà illusione e viceversa. E si tratta in ogni caso di una comunicazione

che diviene forte e pervasiva in quanto si instaura diretta con il pubblico, senza alcun filtro. Italo Svevo nacque a

Trieste nel 1861 in una famiglia numerosa. Figlio di un benestante commerciante ebraico, il suo vero nome era

Ettore Schmitz. Il suo pseudonimo sta a testimoniare la duplice identità della sua esistenza: esso infatti sta a

significare “italianotedesco”. Svevo non fu mai uno scrittore di professione: nella vita si occupò soprattutto di

commercio e industria. Sin da piccolo studiò i classici tedeschi e frequentò un istituto superiore commerciale.

Collaborò con qualche testata giornalistica e si occupò di teatro (recensì il Mastro-don Gesualdo di Verga). Nel

1890 iniziò a lavorare al suo primo romanzo, Una vita, che fu tuttavia respinto dell’editore Treves. Così Svevo

fu costretto a pubblicarlo a proprie spese presso un editore minore. Nel 1896 sposa Livia Veneziani, figlia di un

ricco industriale triestino e, in questo periodo, legge i romanzi francesi contemporanei e studia Schopenhauer.

Nel 1896 pubblica il suo secondo romanzo, Senilità, di impianto autobiografico. I primi due romanzi dell’autore

furono del tutto ignorati dalla critica, a tal punto che egli si vide costretto ad abbandonare per molti anni la

scrittura dedicandosi ad attività commerciali. La coscienza di Zeno, tuttavia, ottenne sin da subito un grande

successo, anche internazionale. Italo Svevo morì nel 1929 a seguito di un non grave incidente stradale, che

tuttavia peggiorò le sue già scosse condizioni cardiache. Una vita e Senilità sono romanzi molto simili tra loro,

entrambi caratterizzati dalla narrazione in terza persona e in cui vi è la descrizione di una situazione e di un

protagonista (maschile). Una vita è la storia di un giovane provinciale colto ma povero, Alfonso Nitti, giunto in

città per fare fortuna. S’impiega in una banca e qui si innamora della figlia del proprietario, Annetta. La

relazione tuttavia non dura molto, sia per il carattere volubile della ragazza, sia perché Alfonso viene osteggiato

da coloro che gli stanno attorno. Così, pervaso da un profondo disagio esistenziale, il giovane, piuttosto che

sfidare in duello il fratello di Annetta, preferisce uccidersi. Senilità è la storia di Emilio Brentani, impiegato con

passioni letterarie, che vive con la sorella Amalia, ormai non più tanto giovane. Il protagonista si innamora di

Angiolina, una bella e sensuale ragazza del popolo e ne diviene l’amante. Anche Balli, amico di Emilio, è

profondamente attratto da Angiolina e, al tempo stesso, Amalia cova un forte sentimento nei confronti dell’amico

del fratello. Amalia così, non ricambiata e in preda alla disperazione, decide di suicidarsi; anche Emilio rimane

solo dopo una notte d’amore e nel ricordo confonde Angiolina e Amalia. Si tratta di storie di personaggi

mediocri, già destinati alla sconfitta, a cui si contrappongono figure femminili dominanti, dotate da una

prorompente intelligenza e sanità. La coscienza di Zeno, pubblicata nel 1923, è anch’essa la storia di uno

sconfitto. Il romanzo si apre con la Prefazione, in cui un medico psicanalista dichiara di aver spinto il proprio

paziente (Zeno) a scrivere un’autobiografia per motivi terapeutici. Dal secondo capitolo (Preambolo), quindi, la

narrazione si svolge in prima persona e il protagonista inizia a raccontare la sua storia, scandendola per tappe

ben definite. Seguono, infatti, altri sei capitoli, ognuno dei quali riporta un evento fondamentale della vita di

Zeno. Rispetto a Pirandello, in Svevo si attenua il conflitto con il reale e le sofferenze umane vengono affrontate

con l’ironia: Zeno Cosini è un inetto e, prima di affrontare i problemi della realtà circostante, deve risolvere tutte

le sue contraddizioni, le proprie debolezze, la propria inettitudine e le sofferenze fisiche. E l’unico modo con cui

Zeno combatte la propria inettitudine è l’arma dell’ironia, che porta il protagonista a prendere le cose non troppo

sul serio. L’inettitudine, così come la malattia, è uno stato d’essere che non può essere superato da Zeno e col

quale egli deve convivere per sempre. Proprio l’ironia è il vero carattere della coscienza sveviana, lo spazio entro

cui l’inettitudine viene relegata pacificamente. Infatti, solo scherzando Svevo può descrivere i mali e le

sofferenze del suo protagonista. E’ un dato particolare il dato che in Italia, in pieno Novecento, la coscienza della

crisi si manifesti tramite la comicità piuttosto che con la tragicità e ciò ci fa supporre che lo scrittore

novecentesco, abbandonato il titanismo superomistico e magniloquente, si scopra nient’altro che un uomo

mediocre, al pari dei personaggi dei suoi romanzi. Si assiste quindi a un generale abbassamento piscologico ed

esistenziale dei personaggi; inoltre, l’intreccio tra riso e lacrime è una condizione peculiare del romanzo italiano

del Novecento. La coscienza di Zeno fu accolta favorevolmente della critica e fu molto apprezzata anche da

James Joyce e da Eugenio Montale. Il conflitto bellico dà luogo ad una letteratura che mostra il dramma di una

guerra spesso dissennata e feroce. Alla fine di esso, molti erano della convinzione che tutta la vecchia Italia, con

la classe dirigente al completo, dovesse essere spazzata via, affinché il sacrificio di tante vite umane non

risultasse vano. E’ con questo groppo di rancore, dolore, lacrime ed insoddisfazione che la cultura italiana del

Dopoguerra dovette fare i conti e, inevitabilmente, da lì ripartire.

Capitolo sesto – La crisi del regime liberale e l’età del fascismo (1919-1943)

La guerra aveva danneggiato la produttività e la situazione finanziaria del Paese. Oltre a ciò, il vecchio ceto

dirigente liberale continuava a reggere l’Italia con metodi tradizionali, che dovevano necessariamente essere

superati. Nascono in questo periodo i partiti di massa: il Partito socialista e il Partito popolare. In tale

contesto, Giovanni Giolitti tentò di neutralizzare le ali estreme della politica e di irrobustire l’equilibrio dello

Stato. Al contempo cresce e si afferma il movimento fascista quando, nel 1919, Benito Mussolini fonda a

Milano i Fasci di combattimento. Il fascismo ebbe un così grande successo perché andava incontro alle esigenze

dei più reazionari e conservatori in quanto, da un lato si opponeva allo Stato liberale, dall’altro si scontrava con i

partiti popolari, che avevano dei programmi contraddittori con il suo. Nel 1922, Vittorio Emanuele III diede a

Mussolini l’incarico di formare il governo: l’Italia che Mussolini portava al re era quella della borghesia

conservatrice, nazionalista e reazionaria. Al fascismo aderirono tutte quelle forze contrarie allo Stato liberale,

riten

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Publisher
A.A. 2014-2015
19 pagine
24 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/11 Letteratura italiana contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lineamenti di letteratura italiana contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Zancan Marina.