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ANDOCIDE
Andocide non fu un logografo e un professionista, ma un uomo più volte costretto a
difendersi pubblicamente. Le tre orazioni che possediamo di lui infatti riguardano tutte la sua
persona. Andocide nacque ad Atene intorno al 440 aC da famiglia nobile. A venticinque anni,
nel 415, fu coinvolto nel processo per la mutilazione delle erme e per evitare la condanna a
morte denunciò quattro presunti colpevoli: condannato con un decreto a non frequentare
l'agorà, l'assemblea e le cerimonie religiose, andò in esilio a Cipro; tentò di rientrare con
regime oligarchico dei Quattrocento, ma senza riuscire; tentò di nuovo con il regime
democratico nel 407 e pronunciò davanti all'assemblea il discorso Sul suo ritono, ma non
convise i presenti e dovette tornare in esilio. Ritornò invece nel 402, grazie all'amnistia
generale seguita alla caduta di Atene e alla fine della guerra del Peloponneso. Tornato ad
Atene, partecipò alla vita pubblica e si acquisto benemerenze con elargizioni e costole
liturgie, respinse nel 399 l'accusa di aver violato i riti misterici dimostrando nell'orazione Sui
misteri che il vecchio interdetto spiccato nel 415 contro di lui non era più validoe e, scoppiata
la guerra corinzia (392-391), fu inviato come ambasciatore a Sparta per trattare la pace.
Andocide ottenne buone condizioni, ma rinunciò segretamente alle colonie d'Asia e fu
sospettato di corruzione. A nulla valsero le argomentazioni che egli svolse in sua difesa
nell'orazione Sulla pace: fu condannato e dovette riprendere la via dell'esilio. Il suo stile
manca di artifici e di figure retoriche e, per rendere più credibile il quadro e per meglio
persuadere, insiste sui piccolissimi particolari secondari e intreccia alla propria esperienza
quella di altri e dello stesso uditorio.
IPPOCRATE E LA LETTERATURA MEDICA TRA V E IV SECOLO
A partire dagli ultimi decenni del V secolo si affermò una prosa scientifica di argomento
medico. Verso la metà del V secolo la medicina era esercitata fra i Greci a tre livelli: magico,
templare e sperimentale. La medicina magica era quella dei guaritori che curavano le malattie
e le ferite pronunciando scongiuri e formula. Secondo questa concezione le malattie erano
inferte da divinità e da forze maligne che si aggiravano fra gli uomini. Queste credenze
presto fare i conti con la religione olimpica che cercava di svalutarla. Il prevalere della
concezione religiosa a scapito di quella magica è chiaro già in Omero che, narrano nell'Iliade
la peste diffusasi nel campo acheo, ne attribuisce la causa ad Apollo: la malattia è vista come
una punizione divina inflitta a tutti per colpa di un solo. È interessante notare che nel
racconto omerico le preghiere per invocare il castigo o per farlo cessare hanno una struttra
fissa che ricorda le formule magiche. In altre parole, già in Omero i tre livelli della medicina
arcaica coesistevano e si influenzavano. Tradizionalmente il dio che più di ogni altroi poteva
guarire era Asclepio, titolare di santuare frequentati da malati in attisa di guarigioni
miracolose: il suo santuario più famoso sorgeva a Epidauro nel Peloponneso e il dio fu
introdotto nel 420 ad Atene e temporaneamente ospitato da Sofocle. Questa medicina
templare fu a sua volta attaccata e indebolita dalla nuova medicina sperimentale, per opera di
Ippocrate di Cos.
IPPOCRATE E IL CORPUS HIPPOCRATICUM
Di Ippocrate non sappiamo quasi nulla; Nacque a Cos e visse tra il 460 e il 370 circa, viaggiò
molto ed esercitò la professione in varie città. Morì e fu sepolto a Larissa in Tessaglia. Scrisse
certo dei libri, ma la tradizione gli ha attribuito anche quelli dei discepoli, sicchè è defficile
distinguere che cosa è veramente autentico fra le cinquantatre opere del Corpus
Hippocraticum. Gli scritti sono tutti in dialetto ionico e solo in minima parte risalgono agli
ultimi decenni del secolo V aC. Tra le opere che si possono datare al tempo di Ippocrate si
distinguono i libri I e III delle Epidemie, che illustrano il rapporto tra clima e malattie, e il
Prognostico, che descrive analiticamente il decorso delle malattie acute al fine di aiutare il
medico nelle sue previsioni. Le tre opere rivelano in vario grado gli aspetti fondamentali
della nuova medicina: l'organismo umano e gli umori che ne regolerebbero il funzionamento
vi sono visti in stretta connessione reciproca e in connessione con l'ambiente fisico e col
clima, in una concezione globale. Non sono di Ippocrate e neppure della scuola di Cos, ma di
quella di Cnido alcuni antichi scritti del Corpus di argomento finecologico e quelli Sulle
malattie: mentre la scuola di Cos partiva da una concezione generale della malattia, la scuola
di Cnido studiava il morbo singolo e lo riferiva a uno schema fisso. Appartiene alla scuola di
Cos ma risale al secolo IV aC il libro Sulla natura dell'uomo che va attribuito a Polibo,
genero di Ippocrate. Tra gli scritti più famosi e noti anche ai profani è il cosiddetto
Giuramento di Ippocrate che per secolo ha costituito la base dell'etica professionale: esso
impone al medico di mantenere il segreto sulla malattia del paziente e di astenersi da
qualunque pratica dannosa, anche da quella anticoncezionale.
Fra gli scritti ippocratici più importanti e più antichi va segnalato Il morbo sacro, che studia
l'epilessia e la spiega esclusivamente secondo i principi della medicina sperimentale. Nella
medicina tradizionale l'epilessia era una manifestazione del divino: contro questa
convinzione e contro tutti i metodi magici e religiosi impiegati nei suoi confronti, l'autore
combatte un'aspra battaglia, condannando i maghi e i purificatori come accattoni e
vagabondi. Il rapporto fra scienza e religione ha qui la sua prima formulazione: all'autore è
chiaro che la ricerca scientifica non implica affatto la negazione degli dei; egli introduce
nella sfera della medicina lo stesso distacco fra livello umano e livello divino che Tucidide
negli stessi anni introduceva fra religione e politica. Un'altra opera importantissima del
Corpus è lo scritto Sulle arie, le acque e i luoghi, in cui l'autore spiega che le caratteristiche
fisica e morali dei popoli sono determinate dalle condizioni climatiche e fisiche del loro
ambiente. Il medico che arrivando in un luogo vuole prevedere quali malattie dovrà curare,
deve anzitutto studiare i venti, le acque e gli altri aspetti fisici di quel luogo; solo così potrà
capire quale è la costituzione fisica della popolazione e a quali malattie vada soggetta.
L'autore tuttavia introduce in questo determinismo ambientale un forte correttivo storico,
ammonendo che a formare il carattere di un popolo concorrono non solo le immutabili
condizioni dell'ambiente fisico, ma anche le sue istituzioni, che sono invece mutevoli: ad
esempio gli abitanti dell'Europa sono più combattivi anche per le istituzioni politiche, visto
che non sono soggetti a re come gli Asiatici. La scuola di Cos ebbe il merito di elaborare una
teoria unitaia dei fenomeni fisiologici e morbosi che ha variamente influenzato gli studi
successivi fino a Galeno. Il quale poi, al tempo di Marco Aurelio, muovendosi nel solco
dell'insegnamento ippocratico e diede un nuovo impulso all'osservazione e alla
sperimentazione medica. Marginale restò invece per secolo la pratica diagnositica, che tornò
in onore col secolo XIX sviluppando gli aspetti già fiddati o prefigurati da Ippocrate:
minuzioso interrogatorio del malato ed esame semeiotico con ispezione, palpazione,
auscultazione e percussione.
POESIA EPICA E POESIA ELEGIACA TRA SECOLO V E IV
Tra il V e il IV secolo la tradizionale epica rapsodica di argomento eroico-narrativo continuò
a fiorire. Di tutti i poeti epici di cui rimane una qualche memoria meritano di essere ricordati
Paniassi, Cherilo e Antimaco.
PANIASSI E CHERILO
Paniassi, parente di Erodoto, nacque ad Alicarnasso, partecipò alle lotte politiche della sua
città e fu mandato a morte verso il 450 aC dal tiranno Ligdami. Oltre a un poemetto in circa
Ἰωνικά
settemila versi elegiaci sui fatti della Ionia ( ), ne scrisse uno sulle imprese di Eracle
in circa novemila esametri, che merità la lode di Dionisio di Alicarnasso e di Quintiliano: del
primo non resta nulla, del secondo solo pochi frammenti. Nell'Eraclea Paniasi probabilmente
distingueva le dodici fatiche che diverranno canoniche.
Per la sapiente strutturazione del racconto, l'ispirazione profetica e la novità di alcune sue
espressioni, Paniasi segna il punto di maggiore sviluppo dell'epica rapsodica tardoantica.
Cherilo creò un'epica diversa, simile all'epica dell'attualità, sostituendo alle narrazioni
tradizionali i recenti eventi delle guerre persiane. Cherilo nacque a Samo poco prima del 480
e morì tra il 404 e il 399 alla corte di Archelao di Macedonia. Il suo pema in esametri I fatti
di Persia parlava sempre delle guerre persiane. Presso i contemporanei ebbe tanto successo
da essere recitato ad Atene alle Panatenee insieme a Omero: era una glorificazione di
Salamina e gli Ateniesi ricompensarono il poeta con uno statero d'oro per ogni verso. Come
un poeta della decadenza, Cherilo invidia i poeti di un tempo e li proclamava beati, perchè
potevano disporre di campi ancora intatti in cui cogliere e mietere. In questo orizzonte
Cherilo sostituì l'epica eroica con l'epica storica, contrappose alle favole antiche i fatti recenti
e preferì al mythos il logos. Dopo Eschilo ed Erodoto, che avevano descritto le variopinte
schiere di Serse, Cherilo ne propose un'immagine nuova e le paragonò a sciami d'api che si
avventano roteando vorticosamente. E insieme alle altre nominò anche le schiere dei Solimi,
che avevano le chiome ispide e rasate in torndo e portavano teschi di cavalli induriti al fuoco.
Σόλυμοι
Lo storico Giuseppe Flavio scorse in essi gli Ebrei, in base alla somigliama fra e
Ἱεροσολυμῖται, «abitanti di Gerusalemme», anche se è un'identificazione dubbia.
ANTIMACO DI COLOFONE
La diffusione del libro e l'incremento della lettura, nella seconda metà del secolo V aC, ebbe
effetti decisivi sulla cultura degli autori e sulle loro opere. Davanti alla grande massa di opere
antiche Cherilo si chiese se fosse ancora possibile trovare qualcosa da dire e per innovare
cambiò i contenuti creando l'epica storica. Invece Antimaco riprese i contenuti tradizionali,
diede a essi una solida base erudita e creò un'epica dotta. Nel comporre in esametri la
Tebaide, un poema lungo forse ventiquatto libri, aveva come punti di riferimento non solo
l'arcaica Tebaide ciclica, ma anche l