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I POETI GIAMBICI
Sono gli autori di versi ingiuriosi ed osceni. Il nome deriva da giambo, il metro usato di solito
per esprimere il ridicolo, la maldicenza e l'oscenità. Il giambo è un metro di ritmo ascendente
(∪–∪–) e nel verso veniva ripeturo solitamente tre volte (trimetro) . La connessione di
ἴαμβος ἰάπτω
con (scagliare/assalire) è significativo del fatto che ne metro si avvertiva un
carattere agressivo; Ma è un'etimologia arbitraria, perchè la parte finale -αμβος connette il
θρίαμβος διθύραμβος,
termine con e con epitieti di Dioniso che designarono i canti in
suo onore. Il giambo sia come metro che come componimento fu collegato con il culto di
Dioniso e di Demetra, divinità rispettivamente del vino e del grano, cibi fondamentali per gli
ἴαμβος
uomini. Anche il racconto eziologico che deriva da Iambe- la donna operosa che
fece ridere con i suoi lazzi Demetra, disperata per la scomparsa della figlia Persefone-
riconduce alla divinità principale dei cereali, e cioè all'ambiente agrario, in cui buffoneria e
oscenità erano tradizionali e assolvevano due funzioni: allontanare le forze maligne,
sbeffeggiando e aggredendo gli indegni, e sollecitare la fecondità e la fertilità, parlando
esplicitamente di sesso. Di questa tradizione espressiva i giambografi fecero un raffinato
genere lettario: ne moltiplicarono i metri, usando trochei, asinarteti e coliambi, e ne
ampliarono i contenuti, parlando in tono giambico di valori, di amore e politica. La poesia
giambica è opposta a quella celebrativa e tuttavia svolge un ruolo inversamente simmetrico:
distoglie dai modelli negativi, così come l'altra propone modelli positivi.
ARCHILOCO
Archiloco di Paro, isoletta delle Cicladi, è il primo poeta greco di cui conosciamo una data:
in alcuni versi egli allude all'eclisse di sole del 7 aprile del 648 aC e in alcuni nomina Gige,
che regnò sulla Lidia, morendo nel 652 aC. Suo padre era il nobile Telesicle, che guidò una
colonia di Parii a Taso. Sua madre, Enipò, era una schiava, ma forse era una spiritosa
ἐνιπή
invenzione in quanto il nome è parlante: è connesso infatti con «biasimo» e sembra
alludere all'abitudine di Archiloco di attaccare tutto e tutti. Oggetti dei suoi attacchi fu
soprattutto Licambe, reo di avergli negato la figlia Neobule pur avendogliela promessa in
moglie. Visse a Paro e a Taso, esercitò il mestiere delle armi e morì combattendo contro
Nasso, in difesa di Paro. Biograficamente Archiloco è il poeta dalla doppia persoanalità:
degno sia di biasimo che di ammirazione, tanto che il pario Mnesiepe gli costruì un temenos
con due altari, uno dedicato alla Muse, ad Apollo Musagete e a Mnemosine, l'altro dedicato a
Dioniso, alle NInfe e alle Ore; E nel santuario collocò una biografia incisa su pietra, un'altra
ve ne collocò nel I secolo aC il pario Sostene, quando il luogo fu restaurato. Le due iscrizioni
citavano versi di Archiloco, sia per accreditare il racconto biografico, sia per sottolineare la
sua devozione alle diverse divinità. I moderni invece hanno tentato di ridurre a unità la sua
immagine spogliando i versi del loro valore biografico. Alcuni studiosi tedeschi infatti hanno
notato che lo scherno beffardo non era un dato puramente caratteriale, ma una componente
rituale delle feste per Demetra, divinità di cui la famiglia di Archiloco custodiva oggetti di
culto; In particolare Kenneth Dover nel 1964 ha richiamato l'attenzione su quattro
caratteristiche delle società pre-alfabetiche: in esse tutti si conoscono, le poesie esprimono
dei sentimenti, che però non sono sempre quelli dell'autore e non corrispondono sempre a
situazioni reali. Perciò si è sospettato che i nomi in Archiloco sia soprannomi inventati per
esprimere un ruolo e che siano vere le affermazioni degli americani Wellek e Warren,
secondo i quali nella poesia di verifica un processo di spersonalizzazione e l'io del poeta,
persino nella lirica soggettiva, è solo un'invenzione.
La scoperta a Taso della tomba di Glauco, a cui Archiloco si rivolge in alcune poesie, ha
rafforzato però la convinzione che Archiloco non sempre inventasse.
I grammatici alessandrini ordinarono i versi di Archiloco secondo il metro: elegie, trimetri
giambici, tetrametri trocaici catalettici, anasirteti, epodi e canti: Nel tetrametro trocaico
−∪−∪),
catalettico è ripetuto quattro volte il ditrocheo ( dove l'ultima silla manca; Con
ἀσυνάρτητος,
asinarteto ( «non connesso») si indica un verso composto da due cola
spesso diversi e separati dalla dieresi; Gli epodi sono in genere formati di due versi separati
non da dieresi, ma da pausa.
Di questa produzione sono pervenuti poco meno di 300 frammenti, di cui un'ottantina per
tradizione diretta, su paripi scritti tra III aC e III dC, tra cui spiccano due tesi: l'epodo di
Strasburgo e l'epodo di Colonia.
I generi di poesia coltivati da Archiloco furono tre: giambico, elegiaco e melico. Nella poesia
giambica (trimetri giambici, tetrametri trocaici catalettici, asinarteti ed epodi) non predomina
l'attacco, ma la schietta e risentita denuncia di molti aspetti della realtà contemporanea.
Archiloco critica e deride costruttivamente, per affermare e difendere princìpi e valori.
Condanna ad esempio l'invidia per le ricchezze di Gige, le imprese degne degli dei,
l'aspirazione a una grande signoria: viene quindi lodata la modestia; In altri versi è
ridicolizzato il capitano grosso o a gambe larghe e gli è preferito un capitano magari piccolo
e con le gambe storte, ma saldo e coraggioso: quindi la sostanza p preferita all'apparenza.
Nell'epodo di Strasburgo è condannata la slealtà verso il gruppo ed è difeso implicitamente il
suo contrario: a un compagno che ha tradito i giuramenti è augurato un mal viaggio per mare.
La poesia giambica ha come perno un soggetto inserito nel gruppo e nella comunità cittadina,
un convinto assertore di valori, come la modestia, la lealtà, l'amicizia e la misura. La
riflessione e l'esortazione, che nella poesia giambica si intrecciano con la denuncia, hanno
uno spicco particolare in quella elegiaca. Qui Archiloco in alcuni versi confessa di aver
abbadonato lo scudo in una battaglia contro i Sai, per aver salva la vita. Di fatto Archiloco
spoglia lo scudo del suo valore simbolico e lo riduce ad un bell'oggetto, ma non insostituibile
come la vita. Il suo però non antieroismo: anche gli eroi talora fuggono in Omero, ma non
rifletto, come Archiloco, sul valore dell'evento, anzi lo attribuiscono semplicemente a un dio.
Similmente, rivolgendosi all'amico Pericle, Archiloco esorta la città, in lutto per la scomparsa
in mare di molti concittadini, a smettere il pianto, perchè anche il dolore, come ogni altra
cosa umana, ha una sua durata limitata e non colpisce sempre le stesse persone.
Della sua poesia melica sappiamo poco: sappiamo che concorsa a Olimpia con un inno a
Demetra ed espresse la sua gioia per la vittoria improvvisando un inno a Eracle, fondatore dei
τήνελλα
giochi; E poichè non disponeva di uno strumento, ne imitò il suono con la parola
καλλίνικε,
ripetuta, insiem all'invocazione tre volte. Archiloco fu il primo che a Paro
compose un canto per Dioniso e lo eseguì durante una festa . L'epigrafe di Mnesiepe
racconta che i Parii, ritenendo sboccato il componimento, condannarono il poeta; Ma furono
a loro volta puniti dal dio nei genitali, finchè non fecero ammenda. A questa devozione per
Demetra, Eracle e Dioniso, va aggiunta quella per le Muse: quando era ragazzo, Archiloco
sarebbe stato mandato dal padre a vendere una mucca e in campagna avrebbe incontraro delle
donne che, in cambio della bestia, gli avrebbero promesso un dono: all'improvviso le donne
e la mucca sarebbero scomparse e per terra sarebbe apparsa una lira. È la solita leggenda
della consacrazione da parte delle Muse, solo che la la lira non era lo strumento del giambo o
dell'elegia, ma della melica: un segno che Archiloco era molto ammirato anche come poeta
melico. Nonostante questo, Archiloco qualche volta rappresentò una materia tradizionalmente
esclusa dalla poesia: nell'epodo di Colonia il soggetto racconta come convinse con
ragionamenti e complimnti la giovane sorella di Neobule a un rapporto sessuale su un prato.
Lingua e stile:
Archiloco usò il dialetto ionico dell'epica, riutilizzò parole ed espressioni omeriche e fu
ὁμηρικώτατος,
considerato, a ragione, poeta ma ne riplasmò il lessico con nuove
sfumature e nuovi ritmi.
SEMONIDE
Semonide nacque a Samo veros la metà del VII secolo aC e visse ad Amorgo, isola delle
Sporadi, dopo che vi condusse un gruppo di concittadini per fondare una colonia. Di
Semonide gli antichi conoscevano: Elegie, in due libri; Giambi, due libri; Archeologia dei
Sami, cioè una storia in versi delle loro origini.
Di queste opere sono sopravvissuti pochi frammenti, scritti in dialetto ionico dell'epica e tutti
appartenenti a componimeni giambici, eccetto uno elegiaco, che però potrebbe essere invece
di Simonide di Ceo.
Nei versi giambici ricorrono i motivi della giambografia arcaica: il componimento più lungo,
di 118 versi, è la cosiddetta satira contro le donne, che egli suddivide in dieci categorie e
deriva da un animale o da un elemento: le luride e avide dalla scrofa, le furbe dalla volpe, le
pettegole e le bisbetiche dalla cagna, le passive e ottuse dalla terra, le volubili dal mare, le
testarde e ninfomani dall'asina, le lascive e ladre dalla gatta, le scansafatiche dedite dal lusso
dalla cavalla, le sgraziate, ridicole e astute dalla scimmia, le dolci e operose dall'ape.
IL misoginismo di Semonide ricorda quello di Esiodo: la donna è un malanno assegnato da
Zeus; Esistono anche donne buone; beati coloro che le trovano. Ma manca in Semonide la
prospettiva religiosa e sono deboli le motivazioni morali. Al loro posto c'è la caricatura arguta
e perspicace dei vari comportamenti femminili e descrivendo i modelli negativi, esalta invece
il loro contrario.
Ma in Semonide tutto il genere umano, non soltanto quello femminile, appare frantumato in
tipi, casi e destini: In un altro componimento egli passa in rassegna una serie di sciagurati che
smaniano a vuoto, agitati da vane speranze: chi aspetta il giorno decisivo e che lascia scorrere