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DISCORSO SOPRA IL VERO FINE DELLE
LETTERE E DELLE SCIENZE
PREAMBOLO
Tra il settembre e l’ottobre del 1753 Genovesi si reca in vacanza per un mese a Massa
Equana nella villa di Bartolomeo Intieri dove scrive a Romualdo de Sterlich a Chieti il 27
ottobre 1753. Una volta tornato a Napoli riferisce della compagnia, delle conversazione e del
silenzio dei luoghi. Fino al 1941 i libri dovevano essere pubblicati con la “licenza dei superiori” in
copertina, altrimenti dovevano essere modificati o non pubblicati: per questo motivo Genovesi
definisce il discorso un’“opericciuola”. Anticipa il problema dell’incompiutezza dell’opera
invitando il lettore a prendere in considerazione il tempo e il luogo in cui venne realizzata.
Il testo viene redatto tra novembre e dicembre in campagna, invece che in città perché “Napoli
oramai è diventata stanza poco sana e lieta” a causa dei ceti parassitari che vi sfruttano la
rendita agraria.
Il discorso è il Manifesto di Genovesi perché rappresenta una svolta: rappresenta una delle
maggiori opere dell’Illuminismo italiano. Affronta tematiche economiche, storiche e
filosofiche, anche se però non fa parte della letteratura in quanto di letteratura si inizia a
parlare nel 19esimo secolo.
LINGUA E STILE
Numerose distorsioni ottiche si sono accumulate nel tempo su Genovesi, che venne anche
accusato di “panteismo”: si difese, scrivendo a Romualdo de Sterlich, dicendo che chi lo
accusa o non ha letto i suoi libri o non li ha intesi. Infatti, contorcendo alcune poche parole,
poteva essere tradita la lettera del testo. Genovesi, accusato di essere sciatto nella scrittura,
era invece attento ai minimi fatti della lingua.
Scrisse il Discorso come premessa al “Ragionamento sopra i mezzi necessari per far rifiorire
l’agricoltura” di Ubaldo Montelatici per ragionare sul fine, quindi sull’utilità, della letteratura.
Critica i neghittosi che non vogliono fare nulla per la pubblica felicità e per tramandare l’utilità
della cultura e del lavoro
Il progetto di Genovesi circa il cambiamento linguistico favorisce la comunicazione tra classe
dirigente e popolo così da favorire anche l’economia nazionale. Voleva rompere il rapporto
troppo formale con i suoi interlocutori facendo comprendere ai giovani concetti filosofici prima
scritti e spiegati in latino. Egli vuole “rompere questo ghiaccio”, vuole combattere le scuole dove
l’insegnamento avveniva in latino: “Se dopo le tenebre, l’Italia fu la prima a ripulirsi, fu perché fu
la prima ad avere de’ buoni scrittori” scrivendo non in toscano ma in italiano. Ci saranno quindi
rivoluzioni ma in Italia si avrà la Restaurazione in quanto vecchio e nuovo coesistono: si
scaglia contro il latino proprio perché la definisce una lingua vecchia mentre l’italiano è
accessibile a tutti.
Genovesi dovette inventare una nuova lingua e per questo la sua prosa presenta idiotismi,
locuzioni familiari termini regionali poco dotti, poi modificati nel corso del tempo con alcune
modifiche dovute agli studi. Addebitava le carenze linguistiche e stilistiche non a “volontà” ma a
“mancanza di saper meglio farlo”, alla carenza di labor limae per la fretta del libraio e
soprattutto perché il suo obiettivo primario non erano lingua e stile, ma preferì scrivere
piuttosto che restare in silenzio. La sua salute però non gli permise di continuare lo studio della
lingua e dello stile e per questo accettò molto censure e critiche che gli vennero fatte. Si
ricorda quella del Baretti, propugnatore della sintassi lineare del francese e avversario della
prosa latineggiante. Genovesi si autoaccusava perché era consapevole di scrivere male,
ringraziando ironicamente gli autori delle censure che lo incitavano a fare meglio.
RETORICA
Genovesi si rifà all’ars poetica oraziana, utilizzando molte citazioni e riferimenti a poeti e autori
italiani ma anche stranieri latini e greci.
Per rendere più autorevoli le sue argomentazioni ricorre anche proverbi, consuetudini e
massime che rendono veritiero il suo pensiero e la sua struttura mentale. Usa le massime
come norme dell’agire per promuovere la sua saggezza poiché esse conferiscono al
discorso un carattere etico.
Usa i proverbi (brevi massime divenute popolari), che conferiscono un principio etico o una
norma di vita comunitaria desunta dall’esperienza, utile sia per la formazione dei dotti che
dei popolari: essi cristallizzano la realtà e la fissano ideologicamente. Sono presenti anche
figure retoriche e interrogative retoriche nelle quali è implicita la risposta.
FORMA
Per quanto riguarda la forma, essa è quella di un discorso (di moda nella tradizione letteraria
del Settecento), un ragionamento intorno a un determinato argomento. E’ un breve
intervento su una questione e quindi non può essere considerato un libro. E’ un testo di
cose, non di parole. Rientra nelle scritture dell’io come gli altri testi di Genovesi: è di genere
saggistico in quanto contiene diverse tipologie di comunicazione: discorso filosofico, tecnico
e autobiografia. Importanti sono le note che fanno un testo a sé e diventano un vero e proprio
genere letterario. Le note autoriali hanno la funzione di completamento, di digressione e molto
raramente di commento, che si possono quindi integrare nel testo.
Per Genovesi ogni pensiero si realizza in una forma e per questo egli lavora molto su di essa
apportando diverse correzioni, anche se a volte sembra contraddirsi, ma questa
contraddizione è apparente.
Il Discorso è un discorrere, organizzato per antitesi e confronti per meglio evidenziare i ritardi
del Regno. In modo apparentemente spontaneo Genovesi divaga da una questione all’altra,
ma secondo un piano che rappresenta la sintesi del suo programma di lavoro. Esso è un finto
dialogo con l’interlocutore Bartolomeo Intieri; è una conversazione, e Genovesi consiglia ai
lettori di non sottovalutare la costruzione dl testo.
Genovesi manifesta la philosophandi libertas: non ci doveva essere la censura. E’ un
riformatore dell’editoria.
TRADUZIONI
Genovesi mette risalto l’importanza della cultura: per questo egli leggeva, traduceva per
ampliare il suo sapere e le sue conoscenze e per combattere l’arretratezza culturale.
La traduzione avrà sempre due gravissimi difetti, uno nascente dalla natura delle lingue,
l’altro dalla negligenza del traduttore cagionata dalla lingua nella quale traduce: le parole di
una lingua non suoneranno mai quel che suonano quelle d’un’altra. La miglior via
d’imparare le arti è comunque la pratica.
Leggere significa studiare e assimilare, a cui bisogna accompagnare un altro metodo di cultura:
la meditazione.
COMPITI E RUOLO DEL FILOSOFO
Sintesi del suo progetto di riforma e di disgusto verso una forma antiquata di cultura. Si apre
con una critica verso Napoli e l’ozio degli uomini impoltroniti, mentre elogia il lavoro e la
fatica soprattutto dell’industria e dell’agricoltura, segnali dello sviluppo di una società.
L’agricoltura è un mezzo per educare, il commercio un’arte: nel regno di Napoli non sono state
sfruttate le ricchezze di queste due attività.
Il lavoro era sia quindi intellettuale che manuale e Genovesi voleva superare questa
distinzione: il filosofo doveva prima formarsi intellettualmente con lo studio della sapienza
coltivando la ragione – unico aspetto che lo differisce dalle bestie. La ragione regola il
funzionamento della “macchina umana” partendo dalle “mani”, simbolo del lavoro manuale. In
esse, e non nella mente, risiede la ragione: è la ragione delle mani ad essere messa in
pratica.
Successivamente egli deve acquisire quelle virtù quali umanità, grandezza di cuore e fortezza
tenendo a mente i modelli di uomini illustri (Gesù, Patriarchi, Profeti). Il filosofo deve avere
grazia, gentilezza e urbanità, essere cortese, affabile, manieroso e non cadere nel buffonesco.
ESORDIO-PROEMIO-DEDICA
Già nel proemio emerge la svolta di Genovesi: egli abbandona le tematiche della metafisica
dedicandosi all’importanza dell’agricoltura e del lavoro pratico, vero fine per giovare alla
felicità pubblica. Vuole quindi tentare di unificare lavoro (popolo) e cultura (intellettuali) per
farle collaborare, perché le arti sono fatte sia di pensiero che di azione. Vuole rendersi utile per
giovare alla società.
Genovesi nel pubblicare testi a getto continuo, intende vivere del suo lavoro, lo paga a sue
spese, si muove tra vecchio e nuovo e si mostra legato al mecenatismo.
CULTURA-LAVORO E PUBBLICA FELICITA’
Genovesi si cimentò nel Discorso in diverse materie: filosofia, economia, storia, raggruppate
in un unico rampo del sapere. Egli delimita il pubblico alla “studiosa gioventù” di Napoli
trattando argomenti non complessi ma comprensibili dai principianti, poiché essa era la futura
classe dirigente e il Discorso doveva essere utile per loro, ed anche per questo scrisse in
italiano. Genovesi vuole animare la gioventù a fare uso della ragione attraverso cui nasce la
felicità degli uomini: la cultura deve diventare pratica, bisogna sviluppare la ragione attraverso
le utili arti (si rifà a “La pubblica felicità” di Muratori).
“Il più grande ostacolo alla perfezione delle cose umane è credere, che sieno perfettissime:
tutte le nostre cose hanno avuto piccoli e rozzi principi. Il desiderio del meglio le ha portate a
quel segno ove sono”
MODA OPINIONI E PREGIUDIZI
L’importanza della ragione porta Genovesi a non curarsi né dell’opinione altrui né delle mode
letterarie del tempo, infatti non si ritiene contemporaneo a sé stesso e all’ambiente che lo
circonda. Genovesi rappresenta una visione agraria del mondo, visto che il suo pensiero è
fondato sulla visione ciclica e circolare nascita-morte-rinascita circa il tempo che corrode e
consuma ogni cosa. Egli vuole dare importanza e far prevalere la scienza, la ragione e
l’esperienza andando contro le teorie astratte dei filosofi che si erano fatti guidare dalla
fantasia piuttosto che dalla ragione.
Gli ostacoli contro il progresso per Genovesi sono i pregiudizi, dovuti alla grande ignoranza:
vuole cercare di combatterli anche se sono infissi nelle menti delle persone, ma capisce che
ciò è impossibile perché a prevalere sono le opinioni e le mode che governano il mondo.
Negli ultimi anni guardò con occhio pessimistico la realtà che lo circondava.
ELOGI
Genovesi confessa il suo allontanamento dalla metafisica: perde la cattedra di metafisica<