Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PARTE QUINTA FIRENZE E L'UMANESIMO CIVILE ALL'INDOMANI DELLA CRISI
CAPITOLO XVI
LA LIBERTA' DELLO STATO-CITTA' CONTRO LA TIRANNIDE UNIFICATRICE
Il periodo in cui Firenze nella sua lotta contro Gian Galeazzo Visconti difese la libertà civile e
rimase alla fine la sola antagonista della minaccia del dispotismo fu un'esperienza di brevissima
durata. Ma la situazione politica fu mutata solo temporaneamente dalla sua morte. Gli eventi della
fine del secolo precedente avevano operato una irrevocabile trasformazione nelle relazioni fra gli
Stati della penisola. La minaccia mortale contro l'indipendenza delle repubbliche cittadine italiane e
delle tirannidi minori da parte dell'imperialismo dei principati più forti riapparve a più riprese, si
ripetono molte delle scene e delle situazioni del periodo di Gian Galeazzo anche se con attori
differenti. Il ruolo di Gian Galeazzo venne assunto da altri potenti, prima dal sovrano del regno
dell'Italia meridionale e in seguito dal figlio e successore di Gian Galeazzo. Quindi il ricordo
dell'epoca di Gian Galeazzo riuscirà a rimanere vivo.
Il decennio 1410 1420: il re Ladislao di Napoli assunse il ruolo di Gian Galeazzo Visconti. Quando
l'impero dei Visconti si dissolse, Venezia cominciò ad occupare gli Stati nord orientali ormai abituati
alla dominazione straniera. Firenze adottò la stessa politica in alcune parti della Toscana. Nel 1405
e 1406 il suo stato territoriale in espansione incorpora la città di Pisa.
Parteggiando per Gian Galeazzo Pisa aveva quasi deciso la sorte di Firenze nel corso della lotta
passata ed aveva di nuovo messo in pericolo Firenze nel 1404 quando il signore pisano, un figlio
bastardo di Gian Galeazzo, cedette i suoi diritti sul porto di Livorno e la sovranità di Pisa alla
Francia.
Prima che finisse il 1408 tutta l'Umbria comprese Perugia e Assisi e molte località delle altre
province settentrionali dello Stato pontificio erano sotto il dominio di Napoli.
L'anno successivo Gregorio XII cedette al re l'amministrazione dello Stato pontificio con un atto
formale. Prima della primavera del 1409 Cortona, avamposto meridionale della Toscana, cadde
nelle mani di Ladislao e le sue truppe furono postate presso Arezzo e Siena.
Ciò che alla fine arresta il re nella sua avanzata verso il Nord fu una lega conclusa tra Firenze e
Siena per la reciproca protezione dei loro territori. Firenze si trova ancora una volta a far parte di
un'alleanza Toscana in difesa della libertà repubblicana.
Il re di Napoli morì nel 1414 e gli avvenimenti connessi a lui appaiono relativamente insignificanti
nello sviluppo politico generale del Rinascimento, ma bisogna sottolineare l'importanza dei loro
effetti psicologici. Le speranze, i timori e le idee politiche del periodo di Gian Galeazzo erano stati
riaccesi prima che il loro ricordo fosse impallidito nella mente dei fiorentini.
Quando Leonardo Bruni nelle sue memorie cioè nel Rerum suo tempore gestarum commentarius,
arrivò a trattare questi avvenimenti, descrive questi due momenti in termini pressappoco identici.
Solo la morte prematura liberò i fiorentini e le altre città libere dal pericolo certo, infatti finché egli fu
in vita non c'era alcuna via di scampo che non conducesse alla fine alla necessità di sottomettersi.
Possiamo dire che la concezione storica del primo grande libro dell'opera Historiae florentini populi
dovette la loro origine all'esperienza del periodo di Gian Galeazzo visto con occhi che si erano
venuti affinando attraverso la ripetizione al tempo di Ladislao di Napoli di un ciclo di avvenimenti
politici quasi identico.
1420 1427: Filippo Maria Visconti rinnova la sfida milanese.
Pochi anni dopo la morte del re di Napoli l'espansione tirannica riprese a minacciare la Repubblica
Fiorentina dal Nord, di nuovo dalla sede dei Visconti. Lo stato di Milano si era ripreso dal declino in
cui era caduto dopo la morte di Gian Galeazzo. Intorno al 1420 Milano aveva raggiunto una
posizione tale che ogni ulteriore espansione avrebbe necessariamente rappresentato un passo
avanti da quelli condotti da Gian Galeazzo nella conquista della supremazia in Italia.
A questo punto Filippo Maria per dare assicurazione della limitatezza dei suoi intenti offrì di
demarcare le rispettive sfere di interessi in un trattato formale. Se Firenze gli avesse concesso
mano libera a nord della linea che essa stessa aveva proposto a Gian Galeazzo negli anni 80 e 90
del secolo precedente, linea che passava a nord della cresta degli Appennini e che lasciava
Bologna e la Romagna pontificia a sud e della sfera viscontea, il duca prometteva di astenersi da
ogni interferenza in Romagna e in Toscana.
Questo era uno stratagemma ormai ben noto di concentrare l'espansione in un solo settore per
rivolgersi in un secondo tempo al resto con una potenza raddoppiata? Gli umanisti fiorentini
ammonivano di non abbandonare alla mercé di Filippo Maria gli Stati minori dell'Italia
settentrionale che già chiedevano aiuto e che erano gli alleati potenziali di Firenze nel caso di un
nuovo attacco milanese.
L'offerta del duca venne alla fine accettata troppo era radicata la profonda avversione a venire
coinvolti in una nuova situazione la quale avrebbe posto fine alla prosperità che appariva come la
meritata ricompensa della resistenza Fiorentina contro Gian Galeazzo.
Con un'azione di sorpresa Firenze acquisto nel 1421 il porto di Livorno, l'unico punto di notevole
importanza sulla costa Toscana che appartenesse a Genova. Allo stesso tempo il denaro pagato
da Firenze in quell'affare avrebbe rafforzato le possibilità di resistenza di Genova mentre Firenze
agiva in conformità letterale con i suoi impegni e non interferiva negli affari dell'Italia nord
occidentale… ma ripetendo l'esempio di tante città del tempo di Gian Galeazzo, Genova con tutte
le sue dipendenze tranne Livorno, venne incorporata attraverso negoziati nello Stato visconteo.
Ben presto l'influenza di Francesco Maria andò quindi oltre la linea di demarcazione.
Il Machiavelli nei discorsi giudicò in seguito che Filippo Maria il quale aveva fatto affidamento sui
dissensi fra i fiorentini era stato privato dei frutti della sua grande impresa perché la guerra rese
sempre uniti i fiorentini. Infatti è uno solo lo stato d'animo espresso dai documenti fiorentini a
partire da quel momento in poi: un continuo ricordo dell'esperienza del periodo di Gian Galeazzo e
una forte fede nella missione della Repubblica Fiorentina per impedire la vittoria finale del Visconti.
Nel maggio 1423 fu proposta la nomina dei 10 di balia i 10 con poteri dittatoriali la cui
designazione equivaleva alla mobilitazione della città.
Il duca di Milano aveva osato impadronirsi di Forlì violando la linea di demarcazione convenuta.
Ora che le cose erano giunte a questo punto la reazione Fiorentina doveva essere risoluta. I 10
furono eletti con somma concordia e unità, e furono eletti i successivi 10 cinque mesi più tardi. Il
loro compito era proteggere Firenze contro i tentativi di assoggettamento. Essi venivano eletti "per
fronteggiare le azioni astute e malvagie piene di frodi e di macchinazioni " progettate dal tiranno
milanese. Il suo ultimo scopo era quello di schiacciare la libertà del popolo fiorentino "come era
sempre stato nella volontà di tutti gli antenati di questo simulatore che sa nascondere la tua mente
e la sua intenzione con parole contraddittorie e false". Mentre i preparativi di guerra si
intensificavano il governo invia ambasciatori a Milano e al Papa con istruzioni di dichiarare che
"Firenze era decisa a mantenere quella libertà la quale ci hanno lasciata i nostri padri, perché
come le esperienze passate possono dimostrare in tale proposito in eterno persisteremo"
(parafrasi libera). Dalle lettere private di questo periodo si capisce che questo linguaggio non era
soltanto retorica ufficiale.
Nel luglio 1424 le forze fiorentine inviate in Romagna per liberare Forlì furono annientate nella
battaglia di Zagonara, il condottiero straniero che comandava le truppe fiorentine defezionò e si
mise al servizio del duca di Milano. L'anno seguente dopo che si era districata dai gravi pericoli
seguiti a questa sconfitta, Firenze forma un forte esercito sotto la guida dei più noti condottieri
d'Italia ma anche queste truppe subirono una disfatta completa; uno dei quattro condottieri morì e
gli altri tre finirono prigionieri dei milanesi. Due anni più tardi la cattiva sorte si aggravò a causa
della morte di Nanni degli Strozzi avvenuta nel corso di un'azione militare nel 1427, la lega
Fiorentina perse quindi l'unico efficiente generale che non era un mercenario stipendiato ma un
fervente sostenitore della resistenza contro il Visconti e l'anima della guerra condotta dalla
coalizione. Fu la morte sul campo di questo fiorentino che ispirò al Bruni la composizione di un
discorso funebre che rappresenta il maggior monumento letterario dedicato allo spirito di Firenze
nel corso della sua lotta contro la tirannide viscontea. La lotta per la ricostruzione delle fortune
fiorentine negli anni che seguirono la catastrofe del 1424 contribuì a plasmare la fede
appassionata nella patria che pervade l'orazione Bruniana.
La salvezza Fiorentina nel 1424 e 1425 fu dovuta all'intervento di Venezia. Ma tale intervento non
fu casuale, esso rappresentò piuttosto il vittorioso coronamento della politica perseguita da Firenze
dagli anni ‘90 del secolo precedente in poi; cioè un programma volto a creare un'alleanza fra i
popoli liberi della penisola.
Dopo il 1425 la speranza di una permanente cooperazione fra i popoli liberi d’Italia era divenuta un
attivo ideale politico presso gli umanisti sia veneziani che fiorentini. A Venezia il principale autore di
questo programma fu Francesco Barbaro uno degli uomini politici più eminenti e il maggior
promotore dell'umanesimo civile veneziano nella generazione fra il 1420 e il 1450.
Per il Barbaro parlare di libertà italiana aveva un duplice significato: la conservazione di un sistema
di Stati indipendenti nella penisola e la confederazione delle repubbliche superstiti per la salvezza
della libertà civile.
il culmine di questo sentimento repubblicano fu raggiunto durante gli anni 40 quando Milano dopo
la morte di Filippo Maria senza discendenti nel 1447, fece un tentativo per risuscitare il suo
passato antecedente ai Visconti proclamando una Repubblica Ambrosiana.
Il governo veneziano si affrettò a mandare un inviato e a dichiarare che Venezia benché fosse
stata inflessibile nella lotta contro il defunto distruttore della libertà, era disposta a stringere
amicizia e alleanza con una Repubblica milanese.
La situazione presente sosteneva il Barbaro, era esplosiva. Con