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Amore percuò non può essere considerata disonorata.
Da Satana alla vergine – Armida
Subisce il maggior numero di trasformazioni psicologiche, è messa sotto il segno di Proteo (V, 63).
Costante etica nella rappresentazione della maga virtù donnesca che si esprime prescindendo
trasgressivamente dalla pudicizia (unico personaggio femminile che non sente il bisogno del
matrimonio per perdere la verginità) e che solo alla fine del poema sembra approdare a una
conversione cristiana, conformando la sua voce alle parole di Maria (“ecco l’ancilla tua”, XX, 136).
I) canti IV-V, Armida incarna un eroismo finalizzato all’interesse collettivo dei pagani, ossia è
esponente di una virtù donnesca votata alla causa di Satana della quale è esplicita emissaria (al
contrario di Erminia). Lo zio Idraote lusinga la nipote riconoscendole un eroismo di specie
superiore, maschile (IV 24). Per mezzo di una rifunzionalizzazione del modello petrarchesco,
Armida è chiamata a svolgere una funzione virile analoga, ma senza armi, a quella di Clorinda. La
virtù donnesca di Armida consiste nell’uso fraudolento della bellezza.
Tasso insiste però sulla complementarietà dialettica Armida/ Sofronia: entrambe, in nome di una
causa epica di ordine collettivo, mettono a repentaglio la verginità introducendosi tra i nemici, ma i
principi ispiratori delle due eroine sono opposti:
- Sofronia, intimamente pudica, dissimula onestamente la vergogna;
- Armida la vergogna la simula e tenta di ammaliare i crociati, riuscendoci perché dissimula
l’impudicizia.
Al contrario di Erminia ( privata e pudica trasgressione del pudore), Armida offre al pubblico dei
crociati e di lettori l’impudica simulazione del pudore (IV, 31). Usa l’arte seduttrice dello scoprire e
ricoprire (ars est celare artem). Armida inganna con il corpo e con le parole, tessendo un racconto
per impietosire le arme pietose. Il punto di forza del falso racconto consiste nel presentarsi come la
pudica principessa di Damasco e di affidare la propria verginità ai crociati, facendo riferimento a un
valore morale (l’onestà) che accomuna mussulmani e cristiani.
Da un punto di vista meta-poetico, l’arte di Armida è anche quella di Tasso, il quale sa o intuisce
che non può più ammaliare i lettori coevi, sensibili al clima di un crescente disciplinamento dei
costumi, con la rappresentazione di una maga lasciva (Alcina di Ariosto per es); e che l’occhio
cattolico ha bisogno di essere adescato non con l’impudicizia palese, ma per mezzo di una falsa
immagine di pudore, tale da rendere acuto il fascino dell’errore e della trasgressione morale.
Nella fase del racconto tra IV e X mette a rischio la verginità ma riesce a conservarla grazie al cor
virile, che le consente di attuare il fine epico, cioè far prigioniero un ambio numero di crociati. Il
volto eroico più autentico di Armida è quello serio e feroce che la donna riserva ai crociati suoi
prigionieri, quando si accinge a trasformarli in pesci e polemizza ideologicamente contro Goffredo
per indurre i crociati ad abbandonare la fede cristiana (X).
II) Gli equilibri tra pudicizia e virtù donnesca di Armida cambiano quando la donna viene meno al
proprio dovere di pagana innamorandosi di Rinaldo (XIV 66-68) e decidendo di non ucciderlo ma
farlo suo prigioniero per assoggettarlo al proprio eros presso le Isole Fortunate. Armida cessa di
agire in nome dell’interesse collettivo, per spendere la propria virtù donnesca in vista di una causa
privata, erotica e sentimentale (= Erminia). Armida è vergognosa del suo amor perché sa di tradire i
piani bellici dello zio (diversamente da Erminia), compiendo un errore nei confronti del suo popolo
Pur trasgredendo la logica di Satana sul piano bellico-collettivo, Armida continua a applicarla sul
piano romanzesco-individuale, costruendo nelle isole Frotunate una peccaminosa anti-Gerusalemme
basata sul culto individuale dell’eros e fondata sulla soggezione impudica del maschio alla figura
femminile.
Differenze Erminia/Armida:
- Erminia: la virtù donnesca produce un romanzesco infantile, trasgressivo e pudico
- Armida: la virtù donnesca conduce a un matriarcato adulto e feroce, apertamente lascivo.
Inizialmente a Carlo e Ubaldo l’eros di Armida sembra rispondere alla logica di dissimulazione
dell’impudicizia (non a caso le natrici al servizio di Armida tentano di distrarli simulando pudore,
XV). Nel giardino incantato, i due crociati incaricati di recuperare Rinaldo ascoltano il canto del
pappagallo che invita ad abbracciare la morale edonista espressa dalla sirena di Armida in XIV
(“solo chi segue ciò che piace è saggio”), ma lo fa invitando il proprio ascoltatore ideale a cogliere
la rosa modesta e verginella quando dissimula con più arte l’eros di cui è simbolo (XVI, 14-16).
L’impudicizia ala base del giardino si manifesta quando Armida manifesta un dominio erotico
assoluto su Rinaldo che appare trasformato in succube amante. Ora la donna ha donato se stessa a
Rinaldo, quindi non ha più senso simulare pudicizia di fronte a un’aperta trasgressione, ma non
abdica al comando né alle arti di seduttrice, né al narcisismo.
Armida sfrutta intellettualisticamente il ruolo di dominatrice per tenere avvinto il proprio
amante.
Ancora più scandalosa è la scena di nudo integrale, evocata di scorcio, che stimola l’immaginazione
del lettore a raffigurare la donna-dominatrice armata del solo cinto di Venere (strumento di
seduzione).
III) XVI, quando Rinaldo rinsavisce, vuole abbandonare le isole e Armida muta forma. A causa
della conversione di Rinaldo alla pudicizia, Armida perde i privilegi connessi al proprio ruolo di
amata dominatrice e inizia a sentire i dolori della condizione di amante-passiva.
La virtù donnesca legata all’ethos pagano di Armida si esprime in nuove forme in attrito con la virtù
femminile ordinaria e mettono in risalto la morale dell’eroina pagana. Armida cerca di trasformare
la sua condizione di debolezza in titolo di merito, ossia di sfruttare il proprio dolore di amante
abbandonata per impietosire e lusingare l’amato. La donna è ancora calcolatrice, si riconosce
nemica dei cristiani ma ammette la propria impudicizia attribuendo la colpa a Rinaldo (XVI,46).
La rappresentazione che Armida dà di sé come vittima soggetta a Rinaldo-tiranno è propedeutica
alla richiesta amorosa di Armida: potersi imbarcare con l’amato per tornare a Gerusalemme non
come nemica dei crociati, ma come schiava di Rinaldo (48-50). Al contrario di Erminia, Armida non
fa alcun cenno alla volontà di convertirsi al cristianesimo. Si proclama in forme già
melodrammatiche non più in grado di usare il noi dei mussulmani, per implorare Rinaldo di
accettarla come serva, facendo ricordo al genere lirico-elegiaco. Così facendo però, si offre nel
ruolo subalterno che il maschio aveva avuto fino a poco prima, sperando implicitamente, di poter
continuare a comandare sull’altro sesso anche da una posizione di inferiorità. Rinaldo resiste anche
a questa più subdola tentazione, adducendo le motivazioni dell’epos collettivo. Agli occhi di
Armida e del lettore cristiano le ragioni dell’eroe cristiano appaiono insultanti: prima di riferirsi a
un imprecisato divieto di Carlo e Ubaldo che impedirebbe a Armida di salire sulla barca della
Fortuna, Rinaldo fa la morale a se stesso e all’amata invitandola a riflettere sull’errore che li ha
accumunati, scusando la donna perché natia da legge islamica e debole in quando donna.
La virtù donnesca dell’ultima fase si manifesta in opposizioni alle ragioni di Rinaldo, che
la donna considera una ferita al proprio orgoglio e al proprio eros narcisistico e possessivo.
IV) I sentimenti di ira e vendetta legati all’eros e al narcisismo frustrati inducono la maga, dopo
essere stata abbandonata esanime dai crociati sulla spiaggia, a un’ulteriore metamorfosi, quella in
guerriera vezzosa al campo di Emireno (XVII, 34).
Trasformazioni di Armida:
1) si finge pudica ma in realtà agisce con cor virile in nome di una causa collettiva (come Sofronia)
per difendere la sua gente
2) il cor virile sembra perduto o si rivela indebolito da quell’individualismo che caratterizza sia i
cristiani in errore, sia i pagani incapaci di quell’unanimismo che serve a vincere la guerra (al campo
di Emireno si finge amazzone, ma con il vero scopo di uccidere Rinaldo per il proprio amore ferito).
Quindi mentre prima si era finta pudica, ora è costretta a fingersi guerriera per stimolare l’eros dei
pagani ai fini di una causa privata. Armida sceglie un’armatura scoperta da arciera, cercando di
attizzare il desiderio dei campioni di Emireno attraverso una simulazione delle armi di Diana. La
mise epica di Armida ogni dettagli finalizzato a suscitare l’eros dei campioni pagani e a ravvivare
sul campo quello di Rinaldo; nel contempo la mise fasulla da amazzone procace serve a Armida per
rifarsi una verginità islamica, ossia per ricostruirsi un’identità pubblica e mascherare la vergogna
che ha delle proprie motivazioni private (es pag. 37).
Al contrario di Clorinda, il valore in armi di Armida è posticcio e simulato. Prima di offrirsi in
moglie a chi le porterà in dono la testa mozzata di Rinaldo, la bella pagana è costretta a simulare
ferocia; e dopo aver accampato i meriti di seduttrice di campioni, per legittimare la metamorfosi in
guerriera, è costretta a dissimulare l’eros impudico che la spinge verso il nemico. Quel che suona a
Emireno come motivazione epica dignitosa e regale nasconde una motivazione privata
inconfessabile.
3) Nella battaglia finale (XX, 67, allusione Metamorfosi di Ovidio). Quando pronuncia queste
parole Armida è disperata perché si è resa conto che il proprio amore per Rinaldo non è stato
annullato dall’odio; sia perché intuisce che nessuno tra i campioni di Emireno sarà in grado di
uccidere il nemico-amato.
4)Contro le proprie aspettative Armida sarà capace di un’ulteriore metamorfosi, quando il pudico
Rinaldo dopo la conquista di Gerusalemme e dopo aver esaurito i propri obblighi da campione della
fede, salva la donna dal suicidio e le propone di convertirsi diventando sposa cristiana (XX, 135).
Armida diventa remissiva (XX, 146).
Il narratore lascia in sospeso anche questo matrimonio e preferisce lasciare la sua prospera
conclusione all’immaginazione e al desiderio dei lettori più schivi. Al lettore rimane il dubbio che
Armida lo stia ancora ingannando; ma se allora si era proposta elegiacamente come sprezzata
ancella, ora si ripropone evangelicamente come umile serva (ancilla). Nel momento in cui propone
un’ellissi diegetic