vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Alla vigilia della première, Antoine confessa “ho fatto dei tagli, ma preoccupandomi di non toccare nulla di
essenziale”. La regia, in quanto operazione critico-interpretativa, non è per nulla innocente. L'impressione che
A. ha di Spettri: uno studio sull'ereditarietà che assume la grandezza cupa della tragedia greca. La sifilide che
colpisce il giovane Alving, nonostante gli sforzi della madre di allontanarlo dall'influsso di Alving padre,
mostra il profilo oscuro del fato degli antichi. Osvald è una sorta di Edipo, ma Helene non è da meno, vittima
anch'essa del destino crudele.
L'alleggerimento messo in campo da Antoine su un segmento particolare del testo – vedi: Helene che si getta
tra le braccia del pastore, scena che toglie decoro sublime a quella che dovrebbe essere un'eroina magnanima,
dedita all'educazione del figlio – risponde a una logica interpretativa discutibile ma coerente. Lo stesso accade
con Manders, portatore di valori superati, che non deve essere figura ironica e caricaturale – per questo Antoine
esegue delle sforbiciate su alcune battute che rischierebbero di mettere in luce un fondo di ipocrisia del pastore.
Eliminare o scorciare questi passaggi significa attenuare la negatività del personaggio, presentarlo più serio. In
Spettri A. sembra eccellere in maniera magistrale nella ricostruzione dei particolari psicologici e ambientali;
ripercorre con lo zelo di un investigatore tutte le cause morali e fisiche che scatenano la crisi finale di Osvald,
ma non riesce a cogliere il segreto del testo ibseniano. Osvald non è la vittima innocente, è un origliatore
impudico del salotto materno, donnaiolo impenitente e un po' perverso, bevitore e fumatore incallito; ha vissuto
a Parigi, da solo, facendo il pittore, attorniato da modelle compiacenti e donnine allegre. Non è provocatoria
l'ipotesi che la sifilide non l'abbia affatto ereditata dal padre, ma che se la sia conquistata sul campo del
disonore – ma A. è deciso a non vedere questo risvolto notturno del personaggio. Perrin si attarda ancora a
difendere la scienza della messinscena in quanto sistema di fedeltà all'autore, mentre Antoine è già oltre,
capisce che occorre interpretare il testo, e non esita per arrivare a questo a inciderlo, spostarlo, tagliarlo. Ciò
non toglie però che l'occhio di quest'ultimo sia un occhio miope, rispetto all'occhio della mente di Stanislavskij.
5. Il grande padre della regia: Stanislavskij
Stanislavskij è un nome d'arte, in realtà si chiama Alekseev, della ricca famiglia di industriali ed è teatralmente
autodidatta. I suoi veri maestri sono i Meininger e i grandi attori italiani (Salvini, Rossi, Duse). Nel 1897 si
incontra in un ristorante di Mosca con Vladimir Nemirovic-Dancenko, insegnante di teatro e regista. In 18h si
misero d'accordo su tutto, gettando così le basi del Teatro d'Arte di Mosca, che inizierà la propria attività nel
1898 e in cui confluirono il gruppo di dilettanti che Stanislavskij aveva organizzato e i migliori allievi della
scuola diretta da Nemirovic-Dancenko. Il primo punto su cui i due si trovarono concordi fu la necessità di
riformare la condizione stessa della vita materiale dell'attore. Quest'ultimo quasi non aveva spazio per sé; i
camerini erano piccoli bugigattoli sporchi. Ogni artista ha invece diritto ad avere un camerino dignitoso,
piccolo ma pulito, confortevole e completo, e fornito di una bibliotechina. S. si pone coscientemente l'urgenza
del riscatto dell'attore da una secolare tradizione di dissipazione morale e professionale. S. e N-D dichiararono
guerra a tutti i vizi consueti dell'attore: ritardo, pigrizia, bizze, imperfetta conoscenza della parte. Essi
rifiutarono le gerarchie dei ruoli: gli attori dilettanti offrono il grande vantaggio di non essere condizionati dai
clichés insopportabili del mestiere. La battaglia è contro tutti i guasti della tradizione attorica 800esca: il pathos
e la declamazione affettata; la teatralità come sinonimo di falsità scenica; le scenografie raffazzonate; i costumi
sommari e casuali.
Essi fanno delle scelte, come: la possibilità di non mostrare sempre il viso al pubblico; la collocazione di alcune
scene in un quadro di oscurità; lo studio minuzioso e fanatico x le ambientazioni degli spettacoli. Sin dall'inizio
si rivela decisivo il contributo di uno scenografo di valore come Simov, che utilizza modellini 3D che gli
consentono di accertare meglio la funzionalità del décor progettato rispetto alle esigenze e ai movimenti degli
attori. Il primo periodo del Teatro d'Arte dà i suoi frutti migliori nella realizzazione di testi di carattere storico o
di costume, con un riscontro notevolissimo di critica e pubblico che valse però a etichettare un po' il nuovo
teatro, a vederlo come saldamente legato alla matrice naturalistica. Quest'ultima in realtà fu solo una fase, un
momento di crescita degli attori e del regista → la forte preminenza registica difende gli interpreti inesperti, ne
cela i difetti; in S. c'è un influsso evidente dei Meininger.
Il salto da realismo esteriore a r. interiore avverrà solo con l'incontro con Checov, cioè con una drammaturgia
assolutamente originale e diversa. I drammi di C. sono privi di appoggi in svolgimenti concreti, in accadimenti
fattuali vistosi. Non succede mai nulla di decisivo ai suoi personaggi praticamente statici. Ciò che conta è
l'atmosfera, cioè il complesso e struggente paesaggio delle stagioni, del tempo, dell'ora, dell'ambiente, che
Stanislavskij evoca attraverso una ricchissima e quasi maniacale partitura sonora. Il regista funzionalizzava la
vita di oggetti, suoni, illuminazione all'individuazione dell'animo umano, come percorso di avvicinamento al
nucleo profondo del sentimento → egli la chiama la linea dell'intuizione e del sentimento. Da tutto ciò deriva
una svolta radicale sul piano della recitazione, che ha bisogno di un modo di porgere le battute assolutamente
diverso dallo stile del tempo, nasce una recitazione fatta di tonalità sfumate, lunghe pause, silenzi, un rallentato
guardarsi negli occhi. Ne discende la scoperta della centralità assoluta dell'attore all'interno della macchina
costituita dalla scrittura scenica. Siamo di fronte a una rivoluzione che ribalta l'attenzione del regista, dal testo
all'attore. La missione profonda del regista è di secondare l'attore, aiutarlo a esprimersi, perché l'essenziale è
nelle mani degli attori. Nel 1904, quando il Teatro d'Arte allestisce l'ultima pièce di Checov, Il giardino dei
ciliegi, il Sistema (o Metodo) di Stanislavskij non è ancora nato, ma la sua origine autentica è qui.
Il Sistema è esposto in due volumi: Il lavoro dell'attore su se stesso e Il lavoro dell'attore sul personaggio.
L'obiettivo principale è strappare l'attore alla routine, alle ripetizioni meccaniche, ai clichés, alle risorse del
mestiere. Il punto è fare in modo che l'attore non reciti, ma viva il personaggio, immedesimandosi in esso.
Reviviscenza è il processo attraverso cui l'attore rievoca e rivive un'esperienza in qualche modo autobiografica,
almeno analoga a quella del personaggio, che gli serve per calarvisi dentro. S. fissa un principio capitale:
l'efficacia della recitazione, che lo spettatore coglie nelle sue espressioni esteriori, è in effetti il frutto di un
habitus interiore. Solo se nel suo cuore è scattata una scintilla autentica gesti e movimenti del corpo riusciranno
a tradurre, all'esterno, questa felicità di ispirazione. Il corpo è lo strumento dell'anima.
Negli anni '30 rovescia completamente il Sistema e comincia a parlare di “metodo delle azioni fisiche”. C'è
sempre l'intreccio fra spirito e corpo, ma il regista si è reso conto che il percorso dal sentimento alla dimensione
mimico-gestuale è arduo. Agli attori è fatto divieto, inizialmente, di imparare la parte a memoria. È sufficiente
che conoscano solo lo stretto contenuto di intreccio di ogni scena. E sul fondamento del semplice plot, devono
improvvisare una serie di azioni fisiche. Solo una volta che la successione delle azioni fisiche è fissata verrà il
tempo di sostituire le battute improvvisate dall'attore con quelle del testo drammaturgico. Una determinata
partitura corporea non potrà non corrispondere a un certo livello emozionale.
Stanislavskij mette in scena l'Otello di Shakespeare nel 1896, recitandovi la parte di Otello, ma questa è ancora
la fase giovanile. Questa messinscena nasce dalla fascinazione di Salvini, ma il piano registico nasce invece dai
Meininger, dal culto delle scene di massa. E. Rossi assiste allo spettacolo e si complimenta misuratamente con
S. Il senso della contrapposizione, tra teatro dell'attore e teatro di regia è spiegata così: da un alto uno spettacolo
che si impone per una decodifica raffinata del testo drammaturgico, per la costruzione di un ensemble, per una
macchina scenica nuova e convincente; dall'altro lato un flusso ipnotico che cattura misteriosamente il pubblico
a partire dalla presenza carismatica di un grande attore, lasciando in secondo piano ogni altra considerazione.
S. sogna per tutta la vita di rimettere in scena l'Otello, specie nel 1929, malato di cuore. Spedisce una fitta serie
di lettere per un allestimento di tale opera che debutterà nel 1930. Nelle lettere che invia al primo attore
impegnato a impersonare Otello, Leonidov, si pone come un exemplum perfetto per comprendere come lavora
e opera. In primo luogo rifiuta i cliché, ossia la soluzione scontata, teatralmente convenzionale. Arriva fino al
minimo dettaglio, fino a giungere al gusto maniacale di elaborare un romanzo anche per un'anonima comparsa.
Poi, la prima cosa che deve essere vera è la scenografia; il paesaggio, l'ambiente, spiegano il personaggio.
L'Otello non è solo una storia privata, passionale, è anche un frammento di storia coloniale, di dura vicenda
sociale. La grande di Stanislavskij è costituita dallo scavo nel personaggio, dall'individuazione e dalla
ricostruzione di ciò che egli chiama sottotesto → il testo dice il presente, ma il sottotesto dice il passato (che
spiega il presente). Si ha bisogno perciò di un sottotesto che spieghi il testo, che renda ragionevolmente ragione
della battuta. Più interessante è quando il sottotesto svela l'enigma del testo, motiva ciò che a prima vista non è
motivabile, non è ragionevole. Il sottotesto è suggestivo ma non è fine a se stesso.
La linea psicologica si raccorda con la linea sociologica. Stanislavskij riprende gli spunti del suo spettacolo del
1896, ma nel 1930