Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
E poi la musicalità del linguaggio che suggerisce ai critici stranieri contemporanei continui accostamenti ai
ruoli canonici dell'opera. Il virtuosismo del grande attore non è minore di quello del cantante d'opera. Il grande
attore, per imporsi, deve gareggiare con il tenore, assimilarne le caratteristiche e le tecniche. E tuttavia il
riferimento al teatro d'opera è qualcosa di più di una necessità storico-congiunturale o di una metafora critica
suggestiva. C'è qualcosa di più sfuggente ma anche di più significativo che avvicina i due modi di lavorare.
Nel melodramma sono compresenti due dimensioni, due coerenze, quella musicale e quella relativa
all'intreccio drammatico. Il lavoro del grande attore punta a definire uno spettacolo di questo tipo, in cui la
voce non è sempre necessariamente rispondente al senso delle battute, in cui il piano scenico può anche
risultare sfasato rispetto alla logica del personaggio. Il prodotto del grande attore è memorabile, non solo per
l'oltranza dell'immedesimazione e per la forza dell'interpretazione psicologica del personaggio, sibbene anche
per una “tessitura cosciente e precisa di fili diversi” in cui consiste appunto la poesia dell'attore ottocentesco.
5. Il compositore e il librettista.
Fra tanti nuovi motivi che determinano la crisi dell'attore italiano a metà dell'800 c'è anche l'assenza del
repertorio. Non esiste drammaturgia italiana al di là degli scontati Alfieri e Goldoni. Ma il grande attore
rovescia l'elemento di debolezza in elemento di forza; inventa un modo di fare teatro fondato sulla pratica del
palcoscenico piuttosto che sulla pagina scritta, sugli autori. Può anche intrattenere relazioni costanti con
qualche autore – ad es. Giacometti – ma sono sempre rapporti di forza tutti sbilanciati a favore dell'attore che si
limita a commissionare dei testi. I committenti sono Ristori, Rossi e Salvini. Per la prima Giacometti compone
una mezza dozzina di drammi storici, centrati su eroine del passato; per il secondo crea lavori come Sofocle o
Michelangelo Buonarroti. Giacometti ha la velleità di servire fedelmente la storia; per il grande attore invece la
storia è pura cornice, che deve servire a valorizzare al massimo il protagonista, i sentimenti esterni, le passioni
divoranti ed elementari. Ristori e Salvini incalzano, sovrintendono, impongono modifiche, tagli, aggiunte.
L'esempio più significativo di collaborazione tra grande attore e autore è quello di Giacometti alle prese con la
Ristori a proposito di Maria Antonietta. L'attrice ha già effettuato una prima tournée negli USA nel '66-67 e si
appresta a farne un'altra. Il pubblico americano ha mostrato di apprezzare molto i drammi storici, ed ecco la
Ristori ordinare a Giacometti un'altra storia di regine, Maria Antonietta appunto. Non solo il capocomico
chiede un testo, ma fissa l'argomento. L'attore chiede (e ottiene) un collaudato strumento che commuova il
pubblico e lo faccia piangere; è in fondo la stessa struttura operante nel melodramma. Dalla prima lettera con
cui Giacometti risponde alla proposta si evince che la Ristori ha stabilito non solo l'argomento, ma anche il
taglio da dargli. Le missive della marchesa Ristori martellano in questo senso, ribadiscono con forza il
diagramma di un percorso emozionante di sventura, leggerezza, ma poi di riscatto morale, di purificazione. Il
capocomico arriva a fornire anche i supporti libreschi. Ma fa di più ancora, predispone tutta una serie di
spezzoni drammaturgici. Le scelte della Ristori hanno un riferimento specifico, il palcoscenico. Ciò che per
l'autore è un limite invalicabile, la negazione pura del dramma, per l'attrice è un punto di partenza, è la
condizione di una comunicazione che fa a meno della parola. Insomma, la Ristori finge di avanzare semplici
consigli, ma in realtà punta a imporre i frammenti del testo in costruzione. Il margine di creatività concesso
all'autore è tendenzialmente quello del collage. Questo perché è l'attore che ha l'esperienza di scena, che ha la
sapienza occulta delle cose, che conosce gli ingredienti che devono entrare nel “pasticcio”. Per questa via la
pratica del grande attore si scontra con il nascente timido orgoglio professionale del drammaturgo di mestiere.
Quest'ultimo è espropriato del proprio lavoro; da artigiano della penna è precipitato ora a operaio specializzato
che lavora a cottimo. Non è padrone dell'argomento intorno a cui si affatica, e non è nemmeno padrone del
proprio tempo – la Ristori gli ha ingiunto scadenze strettissime. Siffatto assoluto dispotismo dell'attore sull'
autore è infine gustosamente vistoso nella pretesa del capocomico di avere indicazioni su scenari e costumi
prima che il testo sia stato scritto. È la materialità del teatro reale, fatto da attori, che vince sui fantasmi
interiori del poeta. Ma è anche il fatto che alla luce della poetica e della prassi del grande attore la scrittura è
una semplice variabile dipendente.
6. Shakespeare and Shakespeare.
Eppure, se il grande attore inventa un teatro che fa a meno del testo, se riesce a realizzarsi e ad esprimersi
anche mettendo in scena il modestissimo Giacometti non è men vero che si cresce scontrandosi con i forti e
non già con i deboli. Il teatro dell'attore è il teatro che scopre e fa conoscere Shakespeare in Italia. Il punto di
partenza è ancora Modena, che nel '42 a Milano mette in scena l'Otello. La rappresentazione di quest'ultimo fu
portata a buon punto, ma non terminata, perché il pubblico non gradì l'opera – Modena non tentò mai altri
Shakespeare. Egli persegue una strategia del silenzio, si mantiene estraneo a un pubblico incolto e superficiale,
si rifiuta di commercializzare il suo Shakespeare. Per Rossi, Salvini e Ristori Shakespeare avrà invece valore
di scambio, sarà il prodotto di maggior successo del nuovo mercato internazionale del teatro. L'anno decisivo è
il '55 quando la Ristori va a Parigi con la Compagnia Reale Sarda. Accanto alla Ristori c'è il giovane Rossi che
ne approfitta x andare a vedere alcune rappresentazioni di shakespeariane offerte dalla compagnia di Wallack.
Contemporaneamente anche Salvini si sta macerando intorno a Shakespeare da un paio d'anni. L'ultima a
muoversi è la Ristori. Nel '56 è a Londra, in tournée, e da critici e letterati inglesi viene la proposta. Nel giro di
tre anni ('53-56) si gioca dunque il destino di Shakespeare in Italia. Mentre la Ristori riflette sul testo che le
può essere più congeniale, in quello stesso '56 Rossi e Salvini passano all'azione, dando entrambi sia l'Otello
che l'Amleto. La Ristori debutterà un anno dopo a Londra col Macbeth.
Nonostante la riscoperta romantica di Shakespeare, nel primo '800, i testi del drammaturgo inglese faticano ad
essere accettati sulla scena da pubblici come quello italiano e francese, più legati alla tradizione classicista.
Questo spiega anche perché le scelte si orientano su una serie di drammi determinati, quelli cioè che hanno già
avuto una qualche mediazione nel gusto e nelle consuetudini del pubblico. Si pensi in questo senso alla
funzione capitale che gioca il melodramma. Ma anche la tradizione drammaturgica presenta dei calchi entro i
quali è più facile ricondurre le scandalose novità shakespeariane. Naturalmente il filtro ulteriore, e decisivo, è
quello dell'interprete, che non esita di fronte a semplificazioni e a tagli anche risoluti. In tutti gli allestimenti
shakespeariani del grande attore è sempre brutalmente rimossa la dimensione storico-politica. Il moralismo
ottocentesco sopprime oscenità e doppi sensi. La maggior concentrazione del plot, il potenziamento dell'unità
d'azione finiscono per normalizzare in qualche modo Shakespeare.
Il personaggio è la chiave di volta dell'interpretazione shakespeariana del grande attore, perché è la garanzia di
umanità e quindi di universalità del messaggio rispetto ad un pubblico tendenzialmente internazionale.
Shakespeare è riconoscibile nella misura in cui la sua drammaturgia offre personaggi che incarnano sentimenti
e passioni elementari: amore, gelosia, ambizione, etc. La costruzione del personaggio da parte dell'attore è
l'intuizione di una passione. Ma di una passione il più possibile umanizzata, e quindi emozionante ma catartica.
Il grande attore persegue un progetto complesso e articolato, che implica, al tempo stesso, coerenza psicologica
e decoro formale. Il gusto della verità non può andare a discapito della bellezza. L'armonia estetica non può
essere infranta dalla bruttura della violenza e della morte. Certo, c'è nel grande attore il puntiglio di una
ricostruzione archeologica sia nel costume che nello scenario.
Il punto di partenza della riflessione sembra essere una preoccupazione filologica scenico-letteraria, ma poi si
impone, dapprima, la coesione e la credibilità psicologica del personaggio, e poi, il gusto della soluzione a
sorpresa, del gesto indimenticabile. Nonostante i suoi limiti di esibizionismo e i suoi narcisismi talvolta
eccessivi, Rossi porta un contributo fondamentale alla diffusione di Shakespeare cui dedica un vero e proprio
culto. Salvini si limita sostanzialmente ad alcune grandi tragedie, dopo l'Otello e l'Amleto, Macbeth e Re Lear,
ma Rossi allarga di molto il ventaglio: non solo queste quattro, ma anche il Romeo e Giulietta, e persino testi
scarsamente frequentati, dal Mercante di Venezia a Giulio Cesare. Per amore di Shakespeare Rossi si mette a
studiare l'inglese, per poter maneggiare i libri di critica shakespeariana. Arriva a porsi il problema della
traduzione, comprendendo che questa può essere uno sbarramento determinante. Ultima ad accostarsi a S. è la
Ristori. Nella drammaturgia shakespeariana la figura femminile non ha mai un rilievo protagonistico; al
massimo c'è una bipolarità di personaggi principi in alcune tragedie: Romeo e Giulietta, Antonio e Cleopatra,
Macbeth. Non per nulla dunque le due attrici più grandi dell'800 (Ristori e Duse) si fissano proprio intorno a
questi titoli. La Duse si concentrerà su Antonio e Cleopatra, la Ristori punta invece su Macbeth. E si sa come
la R. amasse e psicologie contorte e stregate. Naturalmente lo spartito è prosciugato del suo spessore storico-
politico, nonché riordinato intorno alla figura di Lady Macbeth. Sembra che Ristori abbia chiesto al traduttore
Carcano una ventina di versi in più per poter morire in scena e che abbia anche pensato di presentare la
tragedia con l'inedito titolo di Lady Macbeth. Carcano