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II. LE IDEOLOGIE E LE TRASFORMAZIONI DELLA POLITICA
Pur molto diverse tra di loro, le dottrine politiche analizzate in questa parte del capitolo
hanno in comune l'esigenza di affrontare la crisi del rapporto fra il soggetto e lo
Stato, intorno al quale ruota la politica moderna. Queste dottrine tentano di individuare nuove
forme di legittimazione del potere, al di là della rappresentanza politica parlamentare, che
viene percepita come inadeguata al fine di includere nella politica le masse e al fine di
prevedere la partecipazione alla vita politica dell'individuo integro, non soltanto nella sua
qualità di soggetto economico o di attore razionale. Queste dottrine sono gli strumenti
intellettuali attraverso i quali la politica cerca di legittimare le trasformazioni istituzionali e i
profondi mutamenti del rapporto fra economia, tecnica e politica che si sono verificati fra il
1880 e il 1945: le ideologie. E queste sono strumenti di azione e di lotta politica, ossia sono gli
apparati di pensiero, più o meno coerenti e sistematici, che - con valenza agitatoria e
mobilitante, oppure ordinativa e dogmaticamente stabilizzante, ossia con intenti polemici,
demistificatori e distruttivi dell'ordine esistente, oppure costruttivi e apologetici di un ordine
nuovo - servono a motivare, mobilitare ed orientare politicamente, insomma a governare, le
masse; a renderle protagoniste - o anche, nel caso dei totalitarismi, a renderle vittime - della
politica.
4. Gli elitisti
Sono i teorici delle élite a cogliere fra i primi il ruolo centrale dell'ideologia, facendone
l'espressione di un'esigenza di legittimazione connaturata ai reali meccanismi di funzionamento
della politica.
La teoria delle élite si propone infatti di spiegare su base scientifica il fatto, che confligge
con la teoria liberale parlamentare e con l'uguaglianza democratica, che in tutte le
organizzazioni sociali (dallo Stato al partito politico, dall'impresa al sindacato, dal Parlamento
alla burocrazia) una frazione numericamente ristretta di persone finisce inevitabilmente per
concentrare nelle proprie mani la maggior parte delle risorse potestative.
Che ogni società sia divisa tra una minoranza di governanti e una maggioranza di governati
è un motivo rintracciabile in tutti i pensatori che aderiscono a una concezione 'realistica' della
politica. Ma verso la fine dell'Ottocento questo orientamento inizia a pretendere di essere
'scientifico', in quanto ritiene di poter desumere dalla storia, in base all'osservazione oggettiva,
le leggi immutabili valide per ogni forma di aggregazione politica. La formulazione 'classica' di
questa teoria si deve a Gaetano Mosca.
4.1. Mosca 108
Secondo Mosca , ogni aggregato politico è retto dalla sua «classe politica». Il potere è
cioè espressione del volere e degli interessi di una minoranza omogenea «organizzata» - la
classe politica - che si impone a una maggioranza divisa e frammentata. Vengono in questo
modo a cadere le classificazioni tradizionali delle forme di governo: sia quella aristotelica
(monarchia, aristocrazia, democrazia), sia quella di Montesquieu (monarchia, repubblica,
dispotismo). Queste classificazioni, per lui, non esprimono null'altro se non la facciata legale di
là della quale vi è la realtà di una ristretta classe dominante - la «classe politica» - che esercita
il potere reale. Secondo la «legge» moschiana, tutti i governi consistono in una minoranza
omogenea e solidale che si impone su di una maggioranza divisa e frammentata. La dinamica
politica viene così a configurarsi come la storia delle lotte fra le diverse classi politiche, anche
se si deve distinguere la classe politica in senso stretto, ossia la classe «speciale» delle persone
che svolgono le funzioni politiche vere e proprie, dalla sfera più ampia della classe dirigente,
ossia da quell'insieme di persone che rivestono le posizioni dominanti nei diversi ambiti della
vita sociale.
Struttura e formazione della classe politica
Mosca ritiene infatti che la classe politica - quanto alla sua composizione - sia differenziabile
in un primo strato, molto ristretto, composto da coloro che «monopolizzano la direzione dello
Stato e occupano, alle volte a turno, le cariche più importanti», e in un secondo strato «molto
più numeroso che comprende tutte le capacità direttrici del paese» (Elementi di scienza
politica, p. 1015). Questo non significa che venga meno la distribuzione oligarchica del potere,
ma solo che è sempre indispensabile la presenza di una classe ausiliaria che esercita il potere a
«mezzadria», «per conto» della élite governante.
Per quanto riguarda la formazione della classe politica, Mosca evidenzia una regolarità
storica: quella che vede la storia politica dell'umanità come uno scontro tra due opposte
tendenze, quella democratica e quella aristocratica. Quando prevale la tendenza democratica,
la classe politica esistente viene rinnovata attraverso la cooptazione di individui collocati
originariamente ai gradi inferiori della piramide sociale; quando invece prevale la tendenza
aristocratica si giunge inevitabilmente a uno scontro vero e proprio tra la classe al potere e
quella che ne è esclusa. A seconda dell'esito del conflitto, si può avere il rinnovamento 'nella'
classe politica oppure il rinnovamento 'della' classe politica.
L'organizzazione della classe politica verso l'esterno può essere ricompresa in due tipologie
fondamentali: quella in cui l'autorità si impone gerarchicamente sugli strati inferiori della
piramide politica e quella in cui la maggioranza delega l'esercizio dell'autorità alla minoranza
che si trova al vertice. Il principio che governa la prima forma di organizzazione, in cui il potere
viene trasmesso dai governanti ai governati, viene definito «autocratico»; il principio opposto
viene chiamato «liberale». Questi sistemi di formazione e ricambio della classe politica possono
tuttavia, in certi casi, sovrapporsi e coincidere, almeno parzialmente.
I tipi ideali di organizzazione politica
Lo Stato rappresentativo moderno è, in questo senso, tipico: esso infatti unisce il principio
liberale della competizione elettorale con il principio autocratico che si esprime nella
burocrazia. Coniugando i modi di trasmissione dell'autorità con le diverse forme di esercizio del
potere, Mosca enuclea quattro tipi ideali di organizzazione dei sistemi politici:
•autocratico-aristocratico, quando la stabilità del potere politico è associata a
un'organizzazione che pone l'autorità al culmine della gerarchia;
•aristocratico-liberale, quando tale stabilità è unita a una qualche forma di partecipazione
politica;
•autocratico-democratico, allorché la tendenza al rinnovamento della classe politica si
compie nel quadro di una forte organizzazione gerarchica;
•liberale-democratico, nel momento in cui la caduta degli ostacoli che si oppongono
all'inclusione degli individui nell'area della classe politica permette forme effettive di
partecipazione dei governati alla vita politica.
Come si è visto, per Mosca la classe politica coincide con quella ristretta cerchia di persone
cui spetta, in ogni società, il potere politico, cioè il potere di imporre decisioni vincolanti per
tutti i membri del gruppo. Poiché tuttavia non è possibile che una minoranza imponga alla
maggioranza le proprie decisioni facendo unicamente appello alla costrizione, è necessario che
i governanti giustifichino il proprio potere attraverso una dimensione di consenso. Con
l'introduzione della teoria della «formula politica» (Teorica dei governi e governo parlamentare,
pp. 226-230, e Elementi, pp. 633-635), Mosca indica quindi l'insieme dei principi astratti che
garantiscono il potere della classe politica in accordo con le convinzioni prevalenti nella società
che governa. Si tratta, in sostanza, dell'ideologia, che serve ai governanti per giustificare il
proprio potere e per garantire la coesione sociale.
Questo non significa che le formule politiche siano una «pura e semplice mistificazione»
(Teorica, p. 226): esse corrispondono al principio, radicato nella natura umana, che invece di
piegarsi alla volontà di una persona concreta, preferisce giustificare l'obbedienza richiamandosi
a una norma astratta. Il fatto che esse debbano soddisfare le tendenze intellettuali e morali
delle masse dominate spiega la grande varietà di formule politiche, riconducibili tuttavia a due
tendenze fondamentali: quelle che si basano su un principio soprannaturale e quelle che si
fondano su un principio (in apparenza) razionale. A questa seconda tipologia Mosca
riconduce il principio che fa derivare ogni legittimo potere dalla volontà popolare.
4.2. Pareto 109
La teoria delle élite di Vilfredo Pareto , che riceve la sua prima formulazione
nell'introduzione all'opera sui Sistemi socialisti ( 1902) e la sua completa enunciazione
nel Trattato di sociologia generale (1916), trae origine da un'analisi dell'eterogeneità sociale e
dalla constatazione delle disuguaglianze, in termini di ricchezza e di potere, presenti nella
società. Pareto intende studiare 'scientificamente' queste disuguaglianze, percepite da lui come
'naturali'.
Nel corso del suo sviluppo, ogni società ha dovuto di volta in volta misurarsi Sviluppo delle
con il problema dello sfruttamento e della distribuzione di risorse scarse. L'ottimizzazione di
queste risorse è quella che viene assicurata, in ogni ramo di attività, dagli individui dotati di
capacità superiori, la «classe eletta» o élite ( Trattato di sociologia generale, par. 2031), che
Pareto distingue tra classe eletta di governo e classe eletta non di governo. Ai gradi più bassi
della gerarchia sociale, nei quali si raccoglie la maggior parte della popolazione, «stanno di
solito i governati» (Trattato, par. 2047), i quali costituiscono lo strato inferiore o classe non
eletta (Trattato, par. 2034). La stabilità o la decadenza dell'organizzazione sociale dipendono
dal modo in cui avviene il ricambio nelle posizioni di potere tra l'una e l'altra.
Classi dei residui
Pareto si riferisce a questo fenomeno di ricambio con l'espressione «circolazione delle
élite» (Trattato, parr. 2025 ss.). Questa allude a due fenomeni distinti: da un lato descrive gli
spostamenti 'orizzontali' all'interno della classe eletta di governo, dall'altro si riferisce a quella
dimensione 'verticale' che favorisce tanto l'innalzamento di individui meritevoli appartenenti
alle