vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Omero e Archiloco sono progenitori e teorici della poesia. Il primo è un vecchio sognatore apollineo
e il secondo è l’artista della soggettività sempre opposto al primo, dalla cultura greca. Il più
importante fenomeno della lirica antica è l’unione dell’identità del poeta lirico e del musicista, è
normale. Spiegazione poeta lirico (vari step):
1 prima c’era l’artista dionisiaco che si identificava con l’uno originario e il suo dolore, riproducendo
l’immagine dell’originario in musica.
2 sotto l’influsso dell’apollineo, del sogno, gli diventa di nuovo visibile come un’immagine simbolica
del sogno la realtà
3 l’artista ha già abbandonato la propria soggettività nel dionisiaco, l’immagine che ha di fronte è
quella di contraddizione (male e bene)
4 il poeta lirico e la sua soggettività sono pura immaginazione ora
Non è la passione delirante a creare il poeta lirico, ma una prodigiosa volontà dionisiaca. Le
immagini che appaiono e che fioriranno di fronte ai suoi occhi, si chiameranno tragedie e ditirambi
drammatici. L’essere dionisiaco è in messo al dolore, il solo nel dolore. Lo scultore osserva e
guarda le immagini come apparenti e quindi lo specchio dell’apparenza gli impedisce di unirsi alle
figure(pericolo). Schopenauer vede il canto come l’inseguirsi della volontà e della vera natura, per
questo la lirica è un’arte a metà, mai completamente realizzata. Nietzsche afferma che il fatto che
Schopenauer divida le arti secondo i criteri di valore soggettivo- oggettivo, non è pertinente in
estetica(conoscenza del bello naturale artistico, uso dei sensi), dato che il soggetto che vuole e
persegue i suoi fini egoistici può essere pensato solo quale avversario e non origine dell’arte. Nella
misura in cui il soggetto è artista, è già affrancato alla sua volontà. Il nostro sapere è in fin dei conti
provvisorio, in quanto noi, nel conoscere non siamo una cosa sola con quell’essere. In quanto
unico creatore e spettatore di quella commedia dell’arte si procura un godimento eterno, solo
quando il genio durante la creazione artistica si fonde con quell’artista originario del mondo, sa
qualcosa dell’essenza eterna dell’arte; poiché in quello stato ha una prodigiosa somiglianza con
quell’immagine inquietante della fiaba. Adesso l’artista è soggetto e oggetto, poeta, attore e
spettatore.
6 cap.
Archiloco introdusse il concetto di canto popolare, canto mosso da correnti dionisiache ma anche
apollinee. Il canto popolare è la melodia originaria, in cerca di una manifestazione onirica parallela
che esprime in poesia. La melodia è l’elemento primo e universale, in grado di sopportare
molteplici oggettivazioni- la melodia è una continua generatrice d’immagini che nel loro
manifestarsi mostrano una forza estranea all’apparenza epica. Per questo la musica e la poesia
erano tenute d’occhio dagli omerici, per non arrivare alla perdita dionisiaca. Sono esistite due
correnti di pensiero greco: quella della parola che imita il mondo delle immagini e dell’apparenza
oppure il mondo della musica. La prima corrente aiuta a concepire la natura della seconda. Nella
seconda le persone che cantano non sono interessate a far capire agli altri il significato delle
parole, ma a portarceli dentro, tramite estasi. La musica è volontà, contrapposta all’animo estetico.
Apparenza: volontà come appare, come sembra essere, Essenza: da escludere dall’arte in quanto
totalmente naturale, da origine all’arte non è parte di essa. Il lirico tramite il medium contempla
l’apollineo e scorgendovi se stesso gli si presenta un’immagine di sé inappagato. Il volere.
L’anelare è per il lirico un’analogia con la quale interpreta la musica. Il fenomeno del poeta lirico in
quanto genio apollineo interpreta la musica attraverso l’immagine del volere . queste
considerazioni si attengono al principio che la lirica dipende dallo spirito della musica tanto quanto
la musica stessa, nella sua assoluta illimitatezza, non ha bisogno d’immagini e concetti ma li tollera
accanto a sé. Il linguaggio è organo e simbolo d’apparenza ma non raggiungerà mai la profondità
della musica e neanche l’eloquenza lirica.
7 cap.
Iniziamo a parlare dell’origine della tragedia greca. La tragedia è nata dal coro tragico, che non era
rappresentazione della legge morale, né come dive Schlegel, come lo spettatore ideale(in quanto
rappresentante delle leggi e dello spirito nazionale). Si pensa al coro come ad un pubblico
cosciente di essere di fronte ad un’opera d’arte, ma il coro riconosce i personaggi come esseri in
carne ed ossa e non come attori. Il coro senza la scena però non può esistere. L’uomo è salvato
dall’arte. Per questo l’uomo agisce senza consapevolezza, perché se aspirasse alla verità,
capirebbe che nessuna azione cambierebbe le cose. Ed è in questo momento che giunge l’arte,
che è in grado di piegare i pensieri colmi di disgusto e mutarli in rappresentazioni con le quali è
possibile vivere, queste sono il sublime( ammansi mento del dolore), il comico (sfogo artistico della
ripugnanza per l’assurdo).
8 cap.
Il satiro è il pastore idilliaco. Il satiro per i greci era qualcuno di solenne e quasi divino. Secondo
Schiller, il coro rappresenta un muro contro l’irruzione della realtà, in quanto i satiri riproducono
meglio l’unica realtà. I greci dionisiaci si vedono trasformati in satiri, la costituzione più tarda del
coro è l’imitazione artistica di quel fenomeno naturale, nel quale in ogni caso si rese necessaria
una separazione tra spettatori dionisiaci e gli incantati di Dioniso. I satiri sono gli spettatori di
Dioniso il pubblico sono gli uomini civilizzati che presi dal canto dei satiri nel teatro greco, vedono
tutto e si sentono in questo tutto una cosa sola. Il fenomeno drammatico originario è questo:
sentirsi trasformati in qualcosa d’altro e agire come se si fosse davvero in n altro corpo( così fa il
coro). Ci sta davanti una comunità d’attori inconsapevoli che contemplano se stessi nella
contemplazione degli altri. L’esaltato di Dioniso vede se stesso come satiro e contempla a sua
volta il dio, vale a dire, nella sua trasformazione ha fuori di sé una nuova visione come
compimento apollineo del suo stato. Con tale visione il dramma raggiunge il suo compimento. La
tragedia greca è come un coro dionisiaco che si scarica incessante in un mondo apollineo
d’immagini. Coro: simbolo dell’intera massa in preda all’eccitazione dionisiaca. Dioniso si esprime
in sofferenza e sregolatezza di fronte ai satiri (servitori) che guardano la natura e condividono la
sofferenza e la saggezza del dio. Inizialmente il centro della scena era Dioniso, ma non era
presente, quindi il coro stava all’origine della tragedia, poi introdussero la figura di Dioniso e il coro
aveva il compito di estasiare il pubblico. Col tempo Dioniso oggettiva se stesso nell’eroe epico.
9 cap.
Nella parte apollinea della tragedia greca, nel dialogo è tutto trasparente e bello. Ma come Sofocle
in “Edipo a Colono” mostra (per esmpio: l’uomo guarda il sole e poi vede nei suoi occhi buio e
forme colorate, che si celano quando guardi la bella luce del sole) Edipo, uomo saggio e giusto
che non commette alcuna colpa, è colui che farà cadere le leggi, la maschera di un mondo falso
per giungere alla serenità superiore. Il mito ci dice che ciò che vive Edipo, le sue tragedie vitali
servono a riunire presente e futuro. La sapienza dionisiaca è un binomio contro natura, colui che
sa, deve provare su di sé la disgregazione. Tutto ciò che si è fatto, ha portato alla passività. Il
Prometeo di Eschilo invece, è ancora più forte perché con al sua elevazione a livello titanico ,
costringe gli dei ad allearsi con lui. Con la sua saggezza tiene in pugno l’esistenza e i suoi limiti, si
pensa a un crepuscolo degli dei. Prometeo è irreligioso e la storia appartiene alle comunità ariane.
Ma le popolazioni religiose decidono che il fuoco è dono divino e non un talento umano, quindi
l’uomo lo ruba al dio. La donna per i semiti è peccato, in quanto punta ad una cosa, ad una natura
che le porterà sofferenza, fa rubare la mela. L’uomo è per gli ariani il peccatore attivo, in quanto
cerca per sé il bene universale e ottiene sofferenza. Il prometeo eschileo è sia dionisiaco sia
apollineo e commette crimine contro il limite.
10 cap.
L’uomo vive in una tragedia, ma può essere vista come commedia quando la si guarda da fuori.
Dioniso resta sempre il protagonista nella tragedia greca. La dottrina misterica della tragedia si
sviluppa con Dioniso: la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto quello che esiste,
l’individuazione considerata come la prima causa del male, l’arte come gioiosa speranza che si
possa rompere l’incantesimo dell’individuazione e come presentimento di un’unita ristabilita.
Euripide è colui che cerca di riportare quello che sta morendo a galla, ma per farlo farà parlare il
titano Prometeo con uno Zeus più che spaventato e così inizia la morte della religione greca. Il
passato che ritorna al presente, ha un futuro nuovo e oscuro, ma molto, quello della fine di una
storia.
11 cap.
La morte della tragedia lasciò un grande vuoto nella cultura greca. Euripide fu colui che combatté
la battaglia con la morte della tragedia, cercando di creare un genere artistico che ne ricordasse gli
aspetti: la Commedia Attica Nuova. Euripide fu colui che portò sulla scena lo spettatore. Quello che
Euripide si attribuisce come merito nelle “Rane” di Aristofane, e cioè di avere liberato l’arte tragica
grazie ai suoi espedienti casalinghi dalla sua sfarzosa pinguedine(versetti e giri di parole), ce lo
lasciano percepire innanzitutto i suoi eroi tragici. E così l’Euripide di Aristofane ascrive a suo vanto
di aver portato in scena la vita e l’agire comune, quotidiano, su cui ciascuno può dare e formulare il
suo giudizio(il linguaggio non è più quello di dio “Dioniso” o di un semidio “satiro”). Se ora l’intera
massa si metteva a filosofare era grazie ad Euripide. Ma con la morte della tragedia, nessun greco
era più in grado di aspirare a qualcosa di più alto, esisteva solo l’apparente serenità greca, che
fece indignare le profonde e terribili nature dei primi 4 secoli del cristianesimo. Non c&rs