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LO STATO DELLA CHIESA
Nell'Italia centro-settentrionale c'era una divisione tra le terre imperii e le terre ecclesiae. In entrambe i Comuni avevano una vita istituzionale autonoma. Il dominio temporale della Chiesa era labile e, per questo, i Comuni poterono seguire la loro evoluzione. Ma i Comuni delle terra ecclesiae erano inseriti, nel Medioevo maturo (dal XII secolo), in un progetto istituzionale unitario.
La consistenza del dominio della Chiesa era incerta: alla Santa Sede di riconosceva una potestà temporale su una fascia territoriale che andava dall'Adriatico al Tirreno, ma i confini di questa fascia non erano mai stati definiti con esattezza. Il dominio temporale della Chiesa era legittimato dalla Donazione di Costantino (Constitutum Constantini), una falso canonistico redatto tra l'VIII e il IX secolo (infatti è inserito nelle Decretali Pseudo-isidoriane): secondo questo documento, l'imperatore Costantino avrebbe donato a papa Silvestro I il
Palazzo del Laterano (era il palazzo imperiale), Roma, delle terre dell'Italia centro-meridionale e delle isole e anche il "soglio imperiale" (inteso principalmente come grandi onori). Già i giuristi medievali espressero dei dubbi sulla sua autenticità, in quanto illeggibile. Lorenzo Valla, nel 1440, ne dimostrò la falsità con l'opera De falso credita et ementita Constantini donatione. Il potere temporale della Chiesa non era messo in dubbio nella Marca d'Ancona, in Umbria e nel nord del Lazio. Dei dubbi esistevano, invece, sulla Romagna e sull'Emilia (il papa rivendicava la sua autonomia in contrapposizione all'imperatore e agli stessi ordinamenti locali: il Comune di Bologna, ad esempio, entrò a far parte della Lega Lombarda, riconoscendo l'imperatore come autorità temporale) e la zona del sud del Lazio (la Campagna e la Marittima, che nel 1186 furono occupate dall'imperatore Enrico).
VI). L'Umbria (con Perugia) e l'Emilia-Romagna (soprattutto con Bologna) ebbero una storia comunale come quella dei comuni dell'Italia settentrionale. Nel Lazio e nelle Marche, invece, si svilupparono pochi comuni e nessuna grande città, ma solo signorie territoriali tradizionali. Nelle terre demaniali della Chiesa, gli amministratori (i castellani) avevano molte libertà rispetto al papato. Alle terre demaniali (le terre di dominio diretto della Chiesa) si devono aggiungere quelle che formavano i benefici delle grandi dignità ecclesiali e che spesso erano molto estese: le libertà che l'ordinamento canonico garantiva a vescovati e a monasteri rendevano immuni tali fondi da un controllo diretto e immediato della Santa Sede. La debolezza del possesso fondiario impediva alla Chiesa di dar vita ad un sistema signorile territoriale che facesse a lei capo. Nella seconda metà dell'XI secolo (il periodo della riforma gregoriana), soprattutto nel Lazio,
i pontefici cercarono di imporre vincoli di dipendenza feudale dalla Santa Sede ai signori che dominavano in quella regione, ma i successi raggiunti furono presto vanificati. L'evoluzione sociale, infatti, portò ad una trasformazione dell'oligarchia signorile e alla nascita di nuove dinastie che attenuarono i vincoli di soggezione alla Chiesa, affermando la natura allodiale del loro dominio. Grazie a matrimoni, alleanze ed acquisti questi signori formavano vaste signorie territoriali. Anche a Roma il papa aveva un limitato controllo perché nel corso del XII secolo era nato un Comune che rivendicava il pieno governo. Il papato, dunque, era solo signore feudale sulle sue terre. Le pretese della Santa Sede riguardavano solo l'esercizio dei diritti signorili su singoli fondi e su singole terre, come è attestato dalla compilazione, alla fine del XII secolo, del Liber Censuum, la raccolta ufficiale dei documenti comprovanti la legittimità dei diritti.fondiari vantati dalla Santa Sede nelle regioni ecclesiastiche. La ricca pluralità di ordinamenti locali non era stata riunita in alcuna struttura istituzionale più ampia. Mancava, quindi, un ordinamento unitario regionale: non lo avevano fondato né le signorie locali, né i Comuni; non lo aveva fondato nemmeno la Chiesa. Con il papato di Innocenzo III (1198-1216) ci furono dei cambiamenti. Innocenzo provò, infatti, a dare un ordine all'assetto dello Stato della Chiesa. Egli divise le terre ecclesiastiche in mediate subiectae (di dominio indiretto: si tratta delle signorie territoriali) e immediate subiectae (di dominio diretto: si tratta delle terre demaniali). Nei confronti delle prime il papato non avanzò nessuna richiesta rilevante: accettò la giurisdizione signorile e si accontentò di un semplice riconoscimento della sua autorità, che si accompagnava, in modo saltuario ed episodico, al versamento di un censo. Le terre didominio diretto, invece, vennero divise in circoscrizioni (rettorati) con a vertice un rappresentante del pontefice (rettore): i primi rettorati stabili furono quelli di Campagna e Marittima (a sud di Roma), del Patrimonio di San Pietro (Tuscia), il Ducato di Spoleto (Umbria) e la Marca d'Ancona. Nel 1278, quando l'imperatore Rodolfo d'Asburgo rinunciò alla Romagna, anche essa formò un rettorato a sé. Rettorati occasionali, solo in alcuni periodi, furono la contea di Sabina (cioè la diocesi di Rieti, che in questi periodi si separò dal Patrimonio di San Pietro in Tuscia o dal ducato spoletino ai quali fu unito in altri momenti), il Ducato di Urbino, la Massa Trabaria (piccola zona tra la Romagna, la Toscana, il Ducato di Spoleto e la Marca d'Ancona). I rettori erano, in genere, ecclesiastici titolari di una alta dignità (molti cardinali), ma anche laici (nobili). Essi provvedevano al governo delle terre e dei diritti.signorilispettanti alla Chiesa, alla riscossione delle entrate, all'amministrazione della giustizia. Presiedevano una corte itinerante ed erano aiutati da giudici e da altri ufficiali (come il maresciallo). Dal 1233-34 si avvalsero di vicari e di rettori in spiritualibus (incaricati solo della trattazione di questioni spirituali). Tra gli ufficiali provinciali, particolare importanza aveva il tesoriere, rappresentante diretto della Camera Apostolica (era l'organo centrale dello Stato Pontificio per le entrate: quindi il tesoriere non era dipendente dal rettore), messo al vertice di una circoscrizione che poteva anche non corrispondere perfettamente con il rettorato, che si occupava della gestione delle entrate. Le terre di dominio diretto comprendevano anche dei Comuni demaniali, governati come quelli dell'Italia meridionale in età normanna: al vertice del Comune c'era un magistrato scelto dal Comune ma nominato dal papa, anche se nella pratica né ilpapané i rettori esercitarono mai il diritto di nomina dei magistrati cittadini nei comunimaggiori. I pontefici si accontentarono, quindi, di ottenere da questi il riconoscimentodel diritto medesimo e il versamento di una somma come ricompensa per aver concessolibere elezioni al governo comunale. Nei riguardi dei Comuni minori, invece, la Chiesaesercitò con frequente il suo diritto di nomina: è il caso dei comuni di Campagna eMarittima. Anche nel Comune di Roma, nella seconda metà del XIII secolo, i ponteficiriuscirono ad imporre definitivamente la norma per cui il senatore (cioè il capo delgoverno comunale) fosse di nomina papale.
L’amministrazione della giustizia sarebbe dovuta spettare ai rettori ma, nei Comunimaggiori, essa era, di fatto, nelle mani dei magistrati cittadini. La linea di separazione trale due sfere di competenza era incerta. Si può dire che il rettore vantava l’altagiurisdizione penale e il potere d’appello.
In campo civilistico: ma tali competenze erano contestate dai Comuni, spesso con successo. Per la Campagna e la Marittima la questione venne disciplinata, dal 1295, dall'istituto della preventio, introdotto Bonifacio VIII, in virtù del quale il rettore non poteva avocare in sé una vertenza già iniziata presso una corte cittadina.
Un'altra istituzione provinciale dell'ordinamento temporale della Chiesa era il Parlamento, un'assemblea generale composta da signori territoriali, dignitari ecclesiastici e rappresentanti delle città demaniali della circoscrizione. Il compito di queste assemblee era quello di tutelare i diritti degli ordinamenti locali del rettorato, risolvendo le vertenze in atto tra loro ed intervenendo contro le violazioni delle loro potestà, di migliorare la protezione del diritto vigente mediante la promulgazione (da parte del rettore e del papa) di ordinamenta (costituzioni che integravano o modificavano le norme generali precedenti).
di valutare la legittimità della richiesta elettorale di versamento straordinario per la difesa della regione (tallia militum). Il Parlamento provinciale pontificio, comunque, non aveva un potere legislativo. Inoltre, esso non riuscì ad evitare la labilità e l'incertezza del diritto e non venne istituito in tutti i rettorati.
Le magistrature provinciali consentirono alla Santa Sede nelle terre immediate subiectae un miglior governo delle entrate demaniali ed una più regolare riscossione delle entrate della giustizia. Le magistrature provinciali pontificie, inoltre, esercitarono con maggior costanza i diritti demaniali di passo e i cancelleria. Nei riguardi dei Comuni demaniali, l'autorità esattiva della Chiesa si limitò a sovrapporsi a quella municipale: solo il Comune doveva versare alla Chiesa dei tributi e non le persone singolarmente. A queste entrate si aggiungevano poi i censi che erano versati dai signori delle terre di dominio.
indiretto. Il sistema unitario introdotto da Innocenzo III riguardava soprattutto le terre demaniali e servì a migliorare la riscossione delle entrate (anche spirituali, cioè quelle che provenivano dai benefici ecclesiastici sparsi in tutte le terre cattoliche). Ma la Chiesa continuava ad essere debole per tutto il XIII secolo: il papato, infatti, non costituiva una signoria territoriale in nessuna regione perché non aveva abbastanza terre. Il papato non riuscì ad impedire lo sviluppo di autonomie locali (sul modello dei Comuni dell'Italia settentrionale) nelle terre demaniali, ma si limitò a prenderne atto e a confermarle a fatti già avvenuti (soprattutto il Romagna, in Emilia e in Umbria). Per far riconoscere la sua autorità superiore, il papa (come l'imperatore) concesse ai signori il vicariato apostolico: tale concessione garantiva alla Chiesa il vantaggio di garantirle la fedeltà formale dell'ordinamento locale e il
riconoscimento della sua alta potestà temporale; accentuava, però, la separazione di questo ordinamento dal controllo dell