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Balcani, vi furono rassicurazioni.
Uno dei temi della stampa interventista era quello del “dovere di civilizzazione” e della nuova
guerra santa contro l’islam, questa volta condotta sotto l’egida del tricolore italiano. Vi erano
evocazioni del passato romano che nelle terre africane aveva tratto la sua ricchezza e,
quest’immagine, veniva contrapposta alla figura distruttrice e repressiva dell’Impero Ottomano.
Altro tema, innovativo, sarà quello della “bontà” araba: secondo gli interventisti erano gli stessi
libici ad essere in attesa della liberazione italiana. Molte di queste notizie si basavano sui resoconti
degli inviati, dei viaggiatori e degli esploratori. 7
Il mito che si rivelò presto più falso, fu proprio quello della bontà araba. Gli arabi diedero vita,
infatti, ad una sanguinosa rivolta il 23 Ottobre a Sciara-Sciat affiancandosi alle forze armate
ottomane. Improvvisamente lo spettro di Adua tornò ad aleggiare ed un senso di sbandamento
colpì il paese, anche se le condizioni diverse portarono ad una semplice guerriglia. La stampa
nazionalista però affrontò la questione accusando gli arabi di tradimento, di essere stati sobillati
dalle forze turche contro gli italiani e di aver approfittato della troppa bontà italiana.
Altra novità sarà quella dei resoconti sul campo di battaglia, con interviste ai soldati italiani che
opponevano le atrocità commesse dagli ottomani ai gesti di valore e umanità degli italiani. La Libia
veniva inoltre presentata come una terra fertile, la “Terra promessa” all’Italia. La potenziale
produttività libica era un argomento di primaria importanza, dato che su quella terra si sarebbe
potuto inviare il flusso migratorio, soprattutto dal Sud, rappresentava dunque una valvola di sfogo.
Proprio per questo sarà la stampa meridionale a farsi promotrice di quest’aspetto.
Per avvalorare la tesi di una Libia produttiva, tornavano i richiami al passato e a Roma che, in quelle
zone, aveva uno dei principali domini fertili dell’Impero. Altra questione era quella della posizione
geografica dell’Italia che, nel momento della rinascita del continente africano, avrebbe avuto una
posizione privilegiata conquistando la Libia, fungendo da anello di congiunzione fra Europa e Africa
e arrivando persino a prospettare una nuova epoca storica in cui l’Italia sarebbe stata padrona del
Mare Nostrum.
Proprio questo tema tornerà in auge a guerra iniziata: l’Italia aveva perso la coscienza mediterranea
e, ormai, essa era pronta per riconquistare il dominio del Mediterraneo. Proprio la conquista libica
venne considerato come il primo passo verso questo obiettivo. A questo proposito, venne
nuovamente rievocato il passato della penisola, esaltando le doti marittime di veneziani e genovesi
(Repubbliche Marinare) e il loro dominio del Mediterraneo.
4 - Mare Nostrum: la nazione Italia alla ricerca dell’identità perduta (Olga Tamburini)
Il Mediterraneo, dal punto vista di un’Italia alla ricerca della propria identità, era sia un polo
d’interessi economici e politici, sia una rievocazione di glorie passate e speranze avvenire. Fin
dall’ultimo ventennio dell’’800 il Mare Nostrum era diventato un serbatoio di miti e simboli che
avevano lentamente contribuito a costruire una mentalità mediterranea, influendo sulla stessa
costruzione dell’identità nazionale.
All’alba del XX secolo l’Italia subiva profonde trasformazioni passando da un’economia prettamente
agricola ad una industriale, l’avvio dell’alfabetizzazione delle masse, la creazione di un apparato
burocratico e militare e di processi di stratificazione sociale che avevano portato a una diffusa
uniformità della cultura e dei sistemi di comportamento. 8
L’attenzione degli intellettuale si spostò verso la creazione di un’identità nazionale e sui modi per
farlo. A tal proposito, il Mare Nostrum aveva assunto i caratteri di “spazio vitale” che a volte
indicava l’Adriatico mentre altre volte tutto il grande bacino interno. Il Mediterraneo si legava
indissolubilmente alla ricerca della propria identità attraverso il recupero delle glorie di Roma e
delle Repubbliche Marinare, influenzando i discorsi politici, le parole di poeti e scrittori e gli articoli
dei giornali.
La sconfitta di Adua nel 1896 portò ad una forte delusione italiana, costretta all’immobilismo
coloniale nel Mediterraneo. Ma tra questa data e il 1911, la volontà di riscattare questa tragica
sconfitta si era intensificata: la stessa Adua veniva definita come un “esperimento nazionale”
indispensabile alla costruzione dell’unità morale del paese.
La guerra di Libia assumeva il significato di rinnovamento morale della nazione. Sulla scia di un
recupero del passato, l’Italia di inizio Novecento presentava un insieme di idee e aspettative,
percezioni destinate a contribuire alla creazione di una comune identità. Autori come Pascoli e
politici come Bissolati e Bonomi, idealmente lontani da concetti nazionalisti, appoggiarono la guerra
di Libia e nello stesso Parlamento erano circolate le idee di Mare Nostrum e di ritorno alla
grandezza di Roma. Si chiedeva perciò all’Italia di recuperare il primato nel Mediterraneo, un mare
latino che stava alla base della grandezza e potenza del glorioso Impero Romano.
Questi miti ed ideali solo agli inizi del Novecento erano confluiti in un vero e proprio sistema volto a
sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi di politica estera, immersi nell’ideologia nazionalista.
L’assenza di una politica estera matura, le disfatte coloniale e la necessità di legittimare il proprio
ruolo di potenza avevano portato l’Italia ad attivarsi per la conoscenza dell’Africa e a concretizzare
queste aspirazioni acquistando la Baia di Assab nel 1889. Anche se sul finire dell’’800 le mire
espansionistiche non si erano concretizzate, il mito del Mare Nostrum continuava ad essere
esaltato.
Dopo l’apertura del Canale di Suez si ripresero tematiche legate alla riconquista di un Mediterraneo
che rischiava di diventare un “lago francese o inglese”. L’idea di una nazione protesa nel
Mediterraneo come un grande molo aveva costituito una motivazione ricorrente tesa a giustificare
il ritorno dell’Italia nel suo bacino. La posizione dell’Italia sortiva tre effetti in particolare: la
distinzione tra i due bacini del Mediterraneo, orientale e occidentale, la diversa ingerenza politica
della nazione in essi e la considerazione che l’Italia per la sua conformazione si presentava come
una regione marittima.
La situazione politica della parte orientale del Mediterraneo era molto variegata perché al suo
dominio erano interessati diversi stati: oltre le due appendici dell’Adriatico e del Mar Nero, dove
risiedevano gli interessi di Italia, Austria, Russia e Turchia, c’era il bacino greco ad essere oggetto di
forti interessi. In Occidente invece l’Impero coloniale francese faceva da padrone, creando quindi
una situazione in cui l’Italia si vedeva accerchiata da tutte le grandi potenze. 9
Abbandonata subito l’idea della conquista del bacino occidentale, l’attenzione si rivolse a quello
orientale, tornando a conquistare l’Adriatico, un tempo luogo privilegiato di scambi orientali e
gloria delle Repubbliche Marinare. Proprio l’Adriatico, data l’eredità lasciata da Roma, doveva
divenire un lago dove era possibile per l’Italia navigare tranquillamente senza rischi.
Il Mediterraneo doveva essere un mare appannaggio esclusivo delle potenze che vi si affacciavano
ed in particolare quelle discendenti da Roma, tra le quali l’Italia deteneva il primato quale erede
diretta. In occasione poi dello scoppio del conflitto italo-turco, il legame tra Roma e quello che era
considerato il suo mare si accentuava ulteriormente: il ritorno sulle strade percorse da Roma
contribuiva alla costruzione di un’identità nazionale.
5 - Nazionalismi balcanici e spazio mediterraneo: dalla “megali idea” greca al “načertanije” serbo
(Francesco Caccamo)
Fernad Braudel diceva che la Penisola Balcanica rappresenta una realtà autonoma rispetto al
mondo cristiano da una parte e l’Islam dall’altra, ma non riusciva a coglierne l’essenza. Finiva per
generalizzare chiamando la regione balcanica “universo greco o ortodosso” e trascurando la
presenza di molteplici componenti etniche, religiose e culturali. Ma quando vogliamo esaminare le
vicende del mondo mediterraneo, il ruolo della Penisola Balcanica non può essere trascurato a
causa del suo ruolo fondamentale nel frazionamento del Mediterraneo orientale e meridionale,
nella decadenza dell’Impero ottomano e nell’affermazione dei movimenti nazionali e nazionalisti.
Addirittura i nazionalismi balcanici potrebbero aver rappresentato il modello cui si sarebbero
ispirate altre componenti all’interno dell’Impero, per rivendicare l’indipendenza e, inoltre,
sarebbero all’origine del tentativo di realizzare spazi etnicamente omogenei e privi di minoranze.
Il caso più ovvio è quello dei greci: il Mediterraneo era da sempre un mare ellenico e le stesse
fortune di Bisanzio derivavano dal controllo degli Stretti e del Mediterraneo orientale. Con
l’avvento degli ottomani le cose cambiarono ma i greci fanarioti riuscirono comunque a mantenere
un ruolo privilegiato grazie alle proprie competenze marittime. Greche erano anche alcune cariche
della gerarchia ottomana come il Patriarca Ortodosso di Costantinopoli che, col sistema del Millet,
detemeva un potere anche più elevato rispetto al passato; c’era poi il Gran Dragomanno della
Porta, che era una sorta di ministro degli esteri; il Dragomanno della Flotta era il ministro della
marina; infine, i principi di Moldavia e Valacchia. I greci riuscirono a creare anche diverse colonie
attraverso l’intero Mediterraneo e proprio da questi gruppi cominciarono a sorgere progetti
indipendentistici.
Quando, dopo la rivolta greca, nacque il piccolo stato greco nel 1830 (con solo il Peloponneso e
l’Attica) le aspirazioni greche non erano di certo soddisfatte: la Megali Idea, il grande progetto
espansionistico del nazionalismo greco, avrebbe dovuto comprendere il Mediterraneo orientale,
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l’Egeo, lo Ionio per poi propagarsi verso gli Stretti in direzione del Mar Nero (discorso del primo
ministro Kolettis).
Queste aspirazioni saranno alla base di tutto il nazionalismo greco dei successivi ottanta anni e
questa ideologia porterà il Re Giorgio I ad essere definito “Re degli Elleni”, suo figlio si chiamerà
Costantino (ovvio riferimento a Costantinopoli) e il più influente politico greco dei primi anni del
Novecento, Venizelos, sarà un irredento di Creta batt