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Un altro filone di pensiero era quella panarabista, che costituiva una ricompattazione attorno alla
comune appartenenza araba. Questa concezione prevedeva, in chiave nazionalista, l’indipendenza
dal dominio dell’Impero Ottomano e considerava necessaria qualche forma di dialogo con
l’Occidente. Insabato però aveva condiviso le battaglie dell’islamismo più intransigente e aveva
quindi assunto un atteggiamento contrario a qualsiasi tipo di riforma. Per questo aveva chiesto di
appoggiare l’Impero Ottomano che, almeno fino all’arrivo al potere dei Giovani Turchi,
rappresentava il riferimento istituzionale dell’islam più tradizionale. Questo perché egli era
convinto che arrivare ad ottenere l’amicizia con le Confraternite più influenti avrebbe garantito una
grande potenzialità d’azione e d’influenza. Addirittura in questo appoggio all’Impero, Insabato
chiedeva anche di difendere quelle che erano i massacri perpetrati contro gli armeni e i macedoni.
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Le prospettive d’azione dell’agente lo avevano spinto a vagheggiare l’istituzione di un Ufficio degli
Affari d’Oriente per raccogliere informazioni e studi sul mondo musulmano. Insabato aveva una
visione dell’Islam molto evoluta rispetto a quella che c’era in Italia, dove era un soggetto
trascurabile: aveva colto le potenzialità, la convenienza di una maggiore conoscenza. Egli credeva
che l’Italia avrebbe dovuto abbandonare le ipotesi di conquista territoriale e giocare un ruolo di
influenza tramite scambi commerciali e penetrazione economica e non coloniale.
Importante per Insabato nel suo lavoro al Cairo, era la benevolenza di Giolitti e la diffusione del suo
giornale “Il Convito”. Giolitti aveva sostenuto la rivista chiedendo al ministro degli Esteri Tittoni che
fosse diffusa dai consoli che operavano nei paesi musulmani. La rivista prendeva le distanze dal
colonialismo perché era una forma oppressiva e incapace di produrre ciò che di buono proponeva
realizzare. Secondo Insabato l’unica forma possibile era quella economica: inserirsi così nel mondo
islamico avrebbe permesso all’Italia di avere risultati positivi anche perché possedeva le capacità
per inserirsi nel mondo orientale, non aveva compiuto azioni coloniali, si era di recente liberata
dall’oppressione straniera ed era conservatrice di un’antica civiltà che, assieme a quella islamica, ne
poteva produrre una nuova, universale. Insabato pensava che non si poteva imporre la civiltà
europea ad un mondo che aveva la sua antica cultura e tradizione.
Il Convito aveva un taglio polemico e spregiudicato: criticava il colonialismo difendendo l’integrità
dell’Impero Ottomano e presentando le buone relazioni di questo con l’Italia. La redazione del
giornale pensava che vi fosse bisogno di una maggiore conoscenza della religione musulmana e dei
suoi nemici: tra questi ultimi vi erano la Chiesa e il mondo clericale. Infatti, il giornale era critico
verso l’opera dei missionari e affermava che l’Italia non andava identificata col Papato, contro il
quale anzi, la nazione aveva lottato.
Nemici erano anche i levantini, prevalentemente cristiani inseriti nel contesto orientale, che
avevano aderito al panarabismo ed erano riusciti a coinvolgere parecchi gruppi colti musulmani
minando all’integrità della “umma” islamica.
Questa corrente “panislamica” suscitava però preoccupazioni tra le potenze europee; Insabato
cercherà di fugare questi timori dicendo che questo movimento avrebbe rafforzato la umma
islamica ma senza comportare l’unione politica e militare.
Nella redazione del suo giornale entravano in contatto con lui esponenti islamici orientati verso
una visione rigorista legati alla scuola giuridica malekita o ai movimenti di ispirazione mistica. Uno
di questi è lo shaykh Abd Raham ‘Ilisc, il cui padre era considerato il restauratore del rito malekita
in Egitto, che riteneva gli italiani gli unici europei in grado di stabilire buone relazioni con l’Oriente
e, addirittura, avrà l’idea di creare una moschea alla memoria di Re Umberto. L’edificio sarebbe
stato destinato anche ad accogliere gli allievi che dalle colonie italiane venivano a studiare
nell’Università di al-Azhar. Insabato poi, oltre a difendere ‘Ilisc dalle critiche di alcuni ambienti
riformisti, prospettò la fondazione al Cairo di una scuola di italiano per arabofoni, l’incremento
dell’attività culturale e la creazione di una moschea a Roma.
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Altro personaggio che aveva collaborato con Insabato era Elui Bey, un egiziano del Cairo che
conosceva l’italiano e che aveva stabilito un contatto personale con i capi della Senussia, riuscendo
in un ruolo di mediazione tra essi e l’Italia (almeno fino allo scoppio della guerra italo-turca). E così
Insabato grazie a questi personaggi era riuscito ad avvicinare membri di confraternite, spie ed
informatori alla causa italiana.
Ma le attività di Insabato, volte ad appoggiare l’islamismo tradizionale legato all’Impero Ottomano,
avevano provocato le preoccupazioni delle autorità britanniche in Egitto allarmati dal suo attivismo
anti-occidentale e così, anche a causa del cambiamento della politica turca, il tentativo di Insabato
era destinato a fallire. Inoltre l’azione dell’agente era malvista anche dagli agenti diplomatici italiani
al Cairo che chiedevano l’allontanamento definitivo dall’Egitto di Insabato.
Con lo scoppio della guerra italo-turca venivano meno tutte le possibilità di mediazione tra Italia e
mondo islamico:
I capi della Senussia divennero diffidenti e meno disponibili a inviare messaggi concilianti.
Giolitti si decise a inviare Insabato nell’oasi di Kufra per avere un incontro col capo della
Senussia ma il tentativo non andò a buon fine;
Non c’era più fiducia negli italiani ormai;
E l’azione di Insabato venne aspramente criticata all’interno del paese, fino al punto che la
possibilità di utilizzarlo era stata completamente scartata nel 1913 dopo un articolo apparso
su “Il Secolo” in cui si denunciava la sua scarsa rappresentanza.
Nei mesi successivi allo scoppio della guerra si fece sempre più evidente il fatto che gli italiani
avrebbero dovuto confrontarsi anche con l’elemento autoctono animato proprio dalla Senussiyya.
Con lo scoppio della guerra, i già deboli appoggi da parte delle autorità italiane all’attività di
Insabato, saranno praticamente nulli. L’Italia era considerata una nemica che, come le altre potenze
europee, voleva estendere la sua influenza coloniale a tutto il mondo musulmano. Non solo dai
paesi colpiti dal conflitto si levarono voci critiche, ma anche da paesi lontani come lo Yemen e l’Iraq.
Addirittura l’Egitto, la cui neutralità era stata decisa dall’autorità britannica, si era opposta
all’aggressione italiana. La popolazione aveva boicottato i commerci e le attività professionali della
comunità italiana e particolarmente colpito fu il Banco di Roma, accusato di sostenere l’operazione
coloniale in Libia. Molti gruppi italiani in vari paesi arabi, furono costretti ad abbandonare i loro
luoghi di residenza e recarsi all’estero.
Da parte italiana, la comprensione dell’elemento islamico si era ulteriormente smorzata in seguito
alla conquista libica, dato che tutte le forze erano state spese per gli ambiti diplomatici, militari ed
economici. A questo si aggiungeva la consapevolezza che la corrente di riforma del panislamismo
non aveva più grandi speranze di attuazione, limitata nei mezzi e nella volontà di agire. Inoltre, il
Sultano aveva ormai perso la presa sui musulmani, sia sui sudditi, sia su quelli al di fuori
dell’Impero. 21
Le autorità italiane si erano distaccate dalle missione cattolica, nella volontà di rispettare il più
numeroso popolo musulmano e non l’esigua realtà cattolica. A causa della resistenza animata dalla
confraternita senussa, i responsabili coloniali italiani sostenevano la necessità di attuare una
politica di attenzione al mondo musulmano perché non rispettare l’islam sarebbe stato un grave
ostacolo all’impresa italiana.
Così, l’Italia giolittiana cercava di gestire la difficile situazione libica, dove la resistenza era sostenuta
da motivazioni religiose. Si cercava quindi di impostare il rapporto con la popolazione autoctona su
una base di collaborazione, con un accordo che si fondasse soprattutto sulla crescita del benessere
per le popolazioni della colonia e sulla neutralità in materia religiosa. In questo modo si sarebbe
evitato ogni conflitto con l’islam ed eventuali mire di propaganda o rivendicazione religiosa
cattolica. Queste idee spingevano i responsabili coloniali a non concedere spazi ai missionari
cattolici.
Gli Statuti Libici (1919-1920) segnarono il momento di massima politica di favore verso l’islam, nel
tentativo di mettere sullo stesso piano i metropolitani e gli indigeni e di far acquisire loro la
cittadinanza italiana. Ma già dopo la Prima Guerra Mondiale questa politica verrà sconfessata e,
durante il periodo fascista, aspramente criticata. Di fronte al persistere della resistenza, l’azione
militare prenderà il posto della collaborazione.
Nonostante la resistenza libica, durante l’occupazione si diedero all’islam tutte le attenzioni di cui
doveva godere una fede largamente dominante. Le altre religioni presenti nel territorio avevano sì
lo stato di autonomia di cui godevano all’interno dell’Impero Ottomano (Millet), ma non potevano
assolutamente essere privilegiate rispetto all’elemento arabo per non suscitare malumori e
risentimenti. Va osservato che l’attenzione al mondo musulmano era diventata, dopo l’impresa
libica, un fatto legato esclusivamente all’ambito coloniale. Solo durante il fascismo vi sarà una
politica islamica ma non in riferimento ad un disegno di amicizia, ma sarà un semplice tassello di
politica di potenza dell’Italia per il predominio del Mediterraneo contro Francia e Gran Bretagna.
6 - Tra Roma e Costantinopoli: Pio Leonardo Navarra missionario nell’Oriente Ottomano
(Clemente Ciammaruconi)
Pio Leonardo Navarra entrò in seminario a 12 anni e poi nei frati minori conventuali in un periodo
in cui, sul finire dell’’800, vi era una forte crisi di vocazioni. Per questo l’Ordine, per uscire da questa
situazione, decise fare maggiori sforzi verso il reclutamento e la formazione della gioventù.
Un’iniziativa intrapresa in un clima culturale influenzato dalla dottrina tomista che stava
conoscendo un forte impulso dall’enciclica Aeterni Patris. Questa dottrina, con implicazioni s