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All'interno della comunità clandestina le attività erano spesso caratterizzate da una divisione dei compiti in
base al genere; molte antifasciste comuniste svolgevano lavoro di assistenza nell'ambito del Soccorso rosso,
prestando aiuto ai prigionieri politici e alle loro famiglie. Inoltre le donne erano corrieri efficienti, perché
destavano minori sospetti; ma viaggiare da sole comportava altri problemi, come la possibilità di essere
importunate. Ma correvano anche rischi reali; molte caddero nelle mani dell'Organizzazione per la vigilanza e
la repressione dell'antifascismo – 500 donne furono condannate per reati politici durante il ventennio, alcune
trascorsero anni in carcere o al confino. Le vicende di militanti di spicco come Teresa Noce o Adelaide Bei
sono quelle più ricordate, ma vi erano anche molte altre donne che si consideravano antifasciste, anche se non
si impegnarono in alcun tipo di attività politica. Vi era un buon numero di donne che partecipava agli scioperi
(illegali sotto il fascismo). Il persistere delle pratiche abortive si potrebbe interpretare come una forma di
resistenza alla politica del regime. Le priorità stabilite per le donne dal regime spesso erano in contrasto con le
priorità delle donne stesse. Contribuirono a gettare i semi della Resistenza in tempo di guerra e produssero un
piccolo gruppo di donne politicamente mature. Il numero di donne coinvolte era tuttavia modesto.
Di gran lunga più imp. sotto il profilo numerico furono le organizzazioni delle donne cattoliche, che offrivano
l'unica vera alternativa al regime. In contrasto con la posizione critica di Pio X nei confronti dell'attivismo
femminile, Benedetto XV lo incoraggiò nell'ambito dei tentativi della Chiesa di adattarsi ai mutamenti. Il papa
affermò che le mutate condizioni dei tempi chiamavano le donne a svolgere un'azione al servizio della Chiesa
al fuori delle pareti domestiche. Una novità fu la decisione delle org. cattoliche di cominciare a mobilitare le
ragazze, oltre alle donne adulte. Nel 1918 Armida Barelli fu nominata vicepresidente dell'Udci col compito di
dirigere una nuova sezione giovanile. Nel 1919 l'Udci prese il nome di Unione femminile cattolica italiana
(Ufci), che fu suddivisa in 2 rami: l'Unione donne di Azione cattolica (Udaci) e la Gioventù femminile (diretta
dalla Barelli); anni dopo si aggiunse un terzo ramo, le Universitarie. L'Ufci era subordinata alla gerarchia della
Chiesa. L'Ufci crebbe rapidamente e al suo primo congresso, nel 1919, la Gioventù femminile contava 50mila
iscritte e l'Udaci 70mila; nel '39 la prima arrivò a 863mila iscritte, mentre la sezione delle adulte cresceva più
lentamente. Pur promuovendo il ruolo materno delle donne, i gruppi femminili cattolici assunsero una
posizione più rigida contro la modernità. La loro missione era contrastare la secolarizzazione e offrire una
formazione sociale e religiosa alle future madri d'Italia. Proponevano un'idea molto tradizionale dei ruoli di
genere, osteggiando l'emancipazione delle donne e criticando il lavoro extradomestico e l'istruzione femminile
eccessiva. Le associazioni cattoliche proponevano alle loro iscritte una serie di attività, organizzate per le
diverse classi sociali. Le principali attività erano di carattere religione e comprendevano meditazioni,
conferenze su tematiche inerenti alla fede, ecc. Le iscritte dovevano trasmettere il messaggio dell'org. anche al
di fuori delle riunioni e negli anni '30 svolsero parecchio lavoro anche in campo sociale. Ai vertici dell'Ufci si
trovavano esponenti dell'aristocrazia e dell'alta borghesia. Tra le dirigenti della Gioventù femminile molte
erano giovani donne borghesi, nubili e profondamente religiose. La Gioventù femminile aveva una struttura
gerarchica, con una presidente nella maggior parte delle diocesi e una presidente tesoriera in ogni sezione
locale. Un'infinità di corsi venivano rivolti alle dirigenti, per insegnargli a parlare in pubblico, alcune avevano
una preparazione come propagandiste. Erano esortate all'autocontrollo e a concentrarsi sugli ideali religiosi.
Sebbene queste associazioni predicassero la sottomissione femminile e la domesticità e negassero un ruolo
politico alle donne, permisero a molte dirigenti di raggiungere un livello non indifferente di emancipazione
personale.
Le donne fasciste: i Fasci femminili → Agli inizi non era affatto scontato che le donne avrebbero svolto un
ruolo nel nuovo movimento fascista. Fin dall'inizio, però, alcune donne si strinsero attorno al movimento.
Pochissime, quasi tutte giovani di estrazione piccolo-borghese, come l'eroina squadrista Ines Donati, furono
direttamente coinvolte nelle violenze dell'epoca. In breve tempo sorsero gruppo solo femminili, che poi
presero il nome di Fasci femminili. Il primo fu fondato a Monza nel mar/1920, poi seguito da altri soprattutto
nelle aree del centro-nord Italia. Alcune vedevano nel nuovo movimento una forza capace di trasformare il
paese, altre una via per scongiurare il pericolo rosso. A questi primi gruppi aderirono molte donne della
piccola borghesia urbana, ma le dirigenti erano altoborghesi o aristocratiche. Molte avevano già maturato una
esperienza nella sfera pubblica operando in org. politiche o filantropiche. Le donne che abbracciarono il
fascismo nei primi anni scelsero di farlo per la loro appartenenza di classe, più che di genere. A molte
nazionaliste e irredentiste che si consideravano anche femministe questa nuova corrente politica non pareva
peggiore delle altre in relazione alle questioni di genere. Molti fascisti della prima ora non erano affatto
incoraggianti nei confronti dei gruppi femminili; per loro il fascismo era fondamentalmente maschio e le
donne dovevano svolgere solo ruoli di sostegno. Nel '21, quando il movimento fascista si trasformò in partito
politico, il Pnf definì i gruppi femminili come mere sezioni interne dei Fasci di combattimento. Il disinteresse
nei loro confronti, paradossalmente permise alle fasciste un certo grado di autonomia.
Nel 1924 Mussolini affidò a Elisa Majer Rizzioli il nuovo incarico di ispettrice generale dei gruppi femminili
fascisti, con un posto nella direzione nazionale del partito. Ciò infastidì molti gerarchi fascisti, e la loro ostilità
nei suoi confronti trovò espressione nei nuovi regolamenti dei Fasci femminili redatti dalla direzione del
partito. Nel nov/1925 fu concesso il suffragio ad alcune ristrette categorie di donne, quando la democrazia
stessa cominciava a scomparire. Il provvedimento prevedeva l'ammissione all'elettorato amministrativo delle
donne che avessero almeno 25 anni e fossero: decorate per il servizio reso durante la guerra o per meriti civili,
le vedove o le madri di caduti in guerra, le donne capofamiglia in grado di leggere e scrivere, le donne che
avevano completato le elementari e le donne che versavano almeno 100lire annue in tasse e sapevano leggere
e scrivere. Ma non ebbe alcuna rilevanza, giacché nel 1926 gli organismo rappresentativi locali furono aboliti
e sostituiti da podestà non eletti. La Rizzioli rimase in carica a lungo; alla fine del 1925, il segretario del
partito, Farinacci, ordinò la chiusura della sua rivista e nel 1926 abolì l'Ispettorato dei Fasci femminili. Il
successore di Turati, Farinacci, nominò Angiola Moretti segretaria dei Fasci femminili, che però era troppo
giovane per aver avuto davvero a che fare col femminismo e abbastanza ambiziosa da non creare problemi.
Questo giro di vite contro le femministe fasciste coincide col lancio della campagna demografica nel 1927 e il
profluvio di propaganda sul ruolo materno delle donne. Le femministe si ritrovarono su un terreno insidioso.
Non tutte diventarono fasciste. Labriola parlava di femminismo latino, una declinazione tutta italiana del
femminismo. Il femminismo era sempre + ritratto come una dottrina antiquata e inadatta all'Italia.
Negli anni 30, con la crescita del tesseramento, la base si ampliò un po', ma anche durante questo decennio le
aristocratiche continuarono a ricoprire molte delle cariche più elevate. Professioniste e casalinghe del ceto
medio assunsero ruoli organizzativi a tutti i livelli; nelle zone rurali le dirigenti erano per la maggior parte
maestre elementari. Nel 1930 fu abolita la carica della Moretti e nel '31 rafforzato il controllo centrale del
partito, poi le nomine delle fiduciarie locali dovettero essere approvate dal Direttorio nazionale. Su queste
basi, fu autorizzata l'espansione delle attività femminili. Sotto la guida di Achille Starace fu lanciata una
campagna di iscrizione di massa al partito e alle sue org. Nel 1932 fu introdotto l'obbligo per ogni sezione
locale del partito di avere un Fascio femminile; ogni sezione locale era diretta da 1 segretaria che rispondeva
alla fiduciaria provinciale, a sua volta subordinata alla gerarchia maschile. Alle donne veniva chiesto di
dimostrare attivamente il loro sostegno al fascismo e contribuire a forgiare il consenso desiderato dal regime
tramite il lavoro di assistenza sociale, spoglia di qualsiasi ideologia emancipazionista.
Nel contesto della depressione economica mondiale, assunse nuova imp. come elemento fondamentale dei
tentativi del regime di forgiare il consenso o prevenire l'esplosione di rivolte popolari. Senza il volontariato i
programmi assistenziali del partito sarebbero falliti; inoltre offrivano un utile canale di accesso alle case più
povere, dove le visitatrici fasciste portavano la propaganda. Negli anni '30 le loro responsabilità aumentarono.
Specialmente nelle regioni del nord e centro, in molte sezioni l'attività era frenetica. Il livello di attivismo
colpisce soprattutto perché quasi sempre le sezioni operavano con misere risorse, dato che il partito forniva
pochissimi finanziamenti. L'invasione dell'Etiopia comportò nuovi impegni e determinò un cambiamento sia
nelle attività dei Fasci femminili sia nel linguaggio utilizzato per rivolgersi alle donne. L'es. più famoso di
mobilitazione femminile a sostegno di questa guerra è il sacrificio delle fedi nuziali. In questo periodo la
stampa femminile del partito fu travolta da una valanga di retorica bellicista e patriottica. Furono istituiti corsi
di preparazione alla vita coloniale per formare le future mogli del nuovo Impero. Alla fine degli anni '30
l'intensificazione delle attività, dovuta alla campagna autarchica e all'aumento del numero di tesserate, portò
alla creazione di una nuova figura stipendiata: l'ispettrice nazionale. Dopo lo scoppio della 2GM le donne
fasciste ottennero maggiore influenza politica. Nel 1940 le fiduciarie provinciali furono per la prima volta
ammesse in seno alle direzioni provinciali del Pnf e ai comitati corporativi provinciali. I Fasci femminili
ottennero il proprio comitato centrale. L'unico ambito in c