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Molte letterate o aspiranti tali scoprono la possibilità di declinare questo impegno in senso civile, acquisendo così piena
legittimità di fronte alla pubblica opinione. In questo modo garantiscono a se stesse libertà di studio e possibilità di
scrivere.
Il patriottismo, espresso attraverso un linguaggio sentimentale e concettualmente strutturato attraverso il modello
familiare, è d’altra parte funzionale all’esclusione delle donne dalla politica.
Alle donne è riservata una dimensione fondamentale, ma comunque legata alla loro “naturalità” di madri.
C’è un’oggettiva debolezza del punto di vista femminile che, dovendosi misurare con un contesto fondamentalmente
misogino, rimane sostanzialmente ancorato alla prudente visione del conservatorismo liberale.
I decenni successivi all’unità vedranno al centro del protagonismo femminile alcuni dei temi che riguardano molto da
vicino le ragazze prodigio del Risorgimento, improvvisatrici e non: la conquista dell’alfabeto, l’impegno nel lavoro
magistrale, la passione della scrittura.
Amor di patria e pratiche di disciplinamento. Erminia Fuà Fusinato (Nadia Maria Filippini)
La biografia di Erminia Fuà Fusinato descrive un itinerario per molti versi analogo a quello di altre patriote che, dopo una
partecipazione attiva al Risorgimento, all’indomani della creazione dello Stato nazionale, declinarono il loro impegno
patriottico in un’intensa attività nel campo dell’educazione ponendo le basi dello Stato sociale.
Si trattò di una vera e propria rivoluzione educativa che affondava le sue radici nel Risorgimento, inteso come processo
di educazione civile e culturale, prima ancora che politica, di cui le donne non potevano non essere investite in prima
persona. 12
Rivoluzione educativa non si riferisce solo all’alfabetizzazione ma al contributo che essa poteva dare alla costruzione
dell’identità nazionale, all’educazione, al lavoro e al rinnovamento dei ruoli familiari, ritenuti cruciali per dare forza e
solidarietà al nuovo Stato-nazione.
L’istruzione delle donne: la battaglia per un diritto e dovere
Nella prospettiva di impegno educativo che accomuna molte patriote, non mancano differenze e peculiarità. Il campo
dell’istruzione apparve subito segnato da divergenze, contrapposizioni e scontri tanto profondi da configurarsi come un
“campo di battaglia”. Il confronto non poteva non coinvolgere attivamente anche le donne, al di là dell’immagine
compatta che troppo spesso si tende a dare dell’universo femminile.
Erminia Fuà dai primi anni dell’Italia unita si affermò con grande autorevolezza come una “benemerita della patria”,
come una donna che aveva ricoperto in prima persona (e dunque non solo come moglie di Arnaldo Fusinato o come
poetessa patriottica) un ruolo rilevante nel movimento cospirativo. Aveva partecipato ad alcune iniziative volte a
sollecitare la ripresa della guerra contro gli austriaci.
Nel 1864 aveva raggiunto il marito a Firenze con i figli. Nella città toscana Erminia entrò ben presto in contatto con gli
uomini che si muovevano nell’ambito liberal-moderato di Capponi e Lambruschini, da sempre attentissimi ai problemi
pedagogici, anche se sul momento la sua attività patriottica si concentrò nell’impegno volto ad assicurare la
pubblicazione delle Memorie di un ottuagenario di Ippolito Nievo e delle poesie da lei stessa scritte tra il 1859 e il 1866.
Ricevette da Cesare Correnti, ministro della Pubblica istruzione, l’incarico di ispettrice delle scuole e dei collegi di Napoli
prima e degli istituti femminili di istruzione e carità di Roma poi. A questo si aggiunse subito dopo l’incarico di tenere
delle conferenze magistrali per le allieve maestre, seguito da quello di insegnante nella Scuola normale femminile di
Roma, aperta nell’anno scolastico 1872-73.
Furono appunto queste esperienze dei primi anni 70 a potenziarne la figura e il ruolo.
Fu grazie alle capacità messe in luce nel corso di quelle impegnative esperienze che la sua figura assunse un particolare
rilievo agli occhi di quante aspiravano ad un maggiore riconoscimento dei diritti delle donne da parte del nuovo Stato.
Quando venne nominata vicepresidente dell’VIII Congresso pedagogico di Venezia le collaboratrici del giornale
emancipazionista “La Donna”, salutarono l’evento con entusiasmo, vedendovi una conferma dell’importanza acquisita
dal sesso femminile in campo educativo e un segnale di adesione della Fuà alle loro battaglie.
Ma forse il suo tratto più peculiare di quegli anni consiste nelle iniziative assunte per promuovere l’educazione
superiore delle donne. Fu sua l’idea di creare a Roma una scuola pubblica per l’educazione delle ragazze della borghesia,
una Scuola superiore femminile.
Bisogna rilevare le motivazioni ideali che sostennero quella impresa, apertamente e duramente criticata dagli ambienti
clericali. A suggerirla era stata senza dubbio la consapevolezza della gravissima carenza di istituzioni pubbliche e laiche
rivolte alle donne di estrazione borghese: alla figura materna è attribuita la prima formazione dei cittadini.
Da qui deriva il diritto/dovere da parte dello Stato e delle sue diramazioni locali di impegnarsi per assicurare alle donne
luoghi e percorsi educativi consentanei ai compiti loro assegnati e da parte delle donne quello di esigerli e di
frequentarli: “ a noi donne in quest’età novella spettano pure grandi e nuovi doveri perché se non l’istruzione, almeno
l’educazione della generazione crescente deve essere fatta da noi”.
Si tratta di una convinzione che percorre tutta l’elaborazione patriottica femminile repubblicana dal 1797 al 1848 ma
anche di un tema intorno a cui fu possibile realizzare un’ampia unità di intenti anche in ambito femminile, prima e dopo
l’Unità.
La concezione del genere: differenze, ruoli, “missioni”
Questa valorizzazione del ruolo della madre si coniuga in Erminia Fuà Fusinato con una concezione ontologica dei ruoli
sessuali, visti come immutabili in quanto definiti dalla Provvidenza e dalla Natura, distinti da missioni differenti, secondo
quella teoria delle sfere separate che si impose nel corso dell’800 e a cui Erminia risulta aderire pienamente.
La rilevanza pubblica della donna s’incardina su una differenza di ruoli sessuali che risulta ancor più rimarcata nel nuovo
orizzonte politico; non implica affatto apertura di spazi professionali e/o politici per le donne.
Su questo punto, anzi, la chiusura di Erminia è netta: la missione della donna è la famiglia, il suo posto è in quella casa
che per la donna deve essere regno e santuario e che non a caso viene spesso indicato con termini allusivi dello spazio
circoscritto (cerchio, mura). 13
Il fine fondamentale della Scuola superiore è dunque la formazione della madre-cittadina. La possibilità
dell’insegnamento viene prevista solo in via accessoria, da perseguire in casi particolari, dal nubilato alla necessità di
aiutare economicamente la famiglia.
L’attenzione di Erminia Fuà si concentrò ben presto non sulla Scuola normale (professionalizzante), ma sulla Scuola
superiore, per la quale disegnò programmi e orari che valessero ad assicurare alle allieve non solo una buona
preparazione culturale (letteratura, storia, algebra), ma anche competenze funzionali al saggio governo della casa
(economia domestica e igiene, lavori donneschi) considerato imprescindibile per le “donne nuove” della borghesia
italiana.
È in questa ottica che va inquadrata l’analogia da lei stabilita tra la scuola e la Chiesa, accomunate dal medesimo intento
educativo ai voleri della Provvidenza, nel cui adempimento ella identificava, oltre al bene del singolo, quello della
comunità nazionale.
Un’emancipata, poco emancipatrice
Questa concezione dei ruoli sessuali si traduce in una posizione decisamente moderata sul terreno
dell’emancipazionismo. Erminia Fuà Fusinato risulta però del tutto aliena dal condividere le convinzioni di quante
impugnavano il ruolo della madre-cittadina come leva per il conseguimento di una piena cittadinanza.
Teorica di un giusto mezzo che schiva gli estremi, che modernizza i ruoli senza rompere con distinzioni radicate nella
natura e nelle leggi divine, Erminia Fuà Fusinato non esita a ribadire che ciascuno deve saper “stare al suo posto”.
Quanto al piano sociale, queste idee si traducono in una concezione paternalistica che, per quanto esalti il principio di
solidarietà, lascia inalterati confini e privilegi: dunque, sul versante femminile, additerà come un preciso dovere delle
donne delle élite quello di prendersi cura di quelle delle classi subalterne, di provvedere alla loro istruzione e
occupazione di modo che “queste due classi che formano gli estremi della civile società venissero a stringersi in un
nuovo e caro legame di riconoscenza e di amore”.
Il richiamo alla figura della madre-cittadina si traduce così in un invito alle donne delle élite a potenziare la loro presenza
nel sociale e, per tutte, nel riconoscimento di un accresciuto ruolo delle responsabilità e dei doveri, più che dei diritti o
delle libertà.
Perfino l’istruzione delle nuove generazioni è additata come un dovere morale delle madri.
Il modello di donna che i suoi scritti, e soprattutto le sue lezioni, delineano ha dunque un esplicito impianto oblativo e
sacrificale.
Può darsi che ad accentuare il moderatismo di Erminia Fuà Fusinato abbia influito non poco la volontà di accreditarsi
come un personaggio affidabile presso i ceti dirigenti, per ottenere da loro l’appoggio di cui aveva bisogno per dare
forza e rilievo pubblico alle sue iniziative in campo scolastico ed educativo; ed è indubbio che il successo della “sua”
scuola non sarebbe stato così rilevante se essa avesse professato un pensiero più innovativo sul terreno dei modelli
sessuali.
osservazione sull’intima contraddizione che non si può rilevare tra teorie e pratiche di vita di Erminia Fuà Fusinato:
una donna che si muove con autonomia e libertà, che decide indipendentemente dai genitori e dal marito, che vive del
proprio lavoro, che si guadagna il pane e anzi contribuisce al sostentamento dell’intera famiglia. Viene nominata socia di
prestigiosi istituti culturali e presidentessa di altri, intrattiene rapporti con gli ambienti di corte, percorre in lungo e in
largo (spesso da sola) il territorio nazionale tenendovi conferenze e lezioni, scrive sui giornali.
Ne emerge una figura controversa di donna, che nelle sue scelte di vita sembra negare gli insegnamenti che si
premurava di elargire.
Le italiane nell’Ottocento. Un commento (Marco Meriggi)