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E’ con sollievo che la maggior parte degli italiani accoglie la notizia della destituzione di Mussolini, il 25 luglio. Le immagini del
duce vengono abbattute, mentre i membri del PNF (Partito Nazionale Fascista) spiazzati, non si muovono, consapevoli
dell’isolamento rispetto alla maggior parte dell’opinione pubblica. Si continua a combattere e le incursioni degli Alleati in
risalita verso nord, si fanno ancora più intense.
Il 3 settembre, a Cassibile, viene firmato dagli italiani l’armistizio con gli Alleati. Badoglio lo rende noto, prima di fuggire da
Roma, assieme al Re, e rifugiarsi sotto la protezione anglo-americana a Brindisi, abbandonando tutto il Centro Nord a se
stesso e alla prevista reazione dei tedeschi. Chi ne giustifica il comportamento del re, chi lo condanna:
• “Se rimanevano a Roma i tedeschi li avrebbero fatti prigionieri. Per me hanno fatto bene, si sono salvati.”
• “L’esercito non è più comandato dai generali, dai colonnelli, dai capitani… ognuno cerca di trovare rifugio nella fuga. Badoglio e il Re scappano e
lasciano nel disordine più totale l’armata italiana.”
“Combattevamo contro i partigiani greci. Era una guerriglia più che altro, non una guerra. Era una guerriglia come fecero poi i partigiani italiani
quando i tedeschi furono qua.”
In Grecia, Salvatore E. napoletano, trovò un compaesano che era un tenente medico e finì per diventare il suo aiutante: “guarda
che la nascita di un bambino è la cosa più bella di questo mondo! E’ una cosa meravigliosa! La prima volta avevo un po’ paura, ma poi rimanevo
incantato.”
E’ lo sbando totale. Intere divisioni si sciolgono, gli ufficiali, privi di ordini, lasciano che i soldati abbandonano le caserme e
scappano verso le loro case.
“Noi che eravamo in campagna ci trovammo di fronte a tanti ragazzi che scappavano via dai reggimenti in divisa, e che chiedevano di poter
cambiare gli indumenti che avevano addosso con dei vestiti borghesi, per poter andare nelle loro abitazioni.”
Vi furono anche iniziativa di alcuni reparti che si rifiutarono di arrendersi, ingaggiando la lotta con i tedeschi, ma si trattò di
azioni disperate, destinate ad essere sopraffatte.
Pompeo Q. era di stanza con il suo reparto d’artiglieria in quei giorni in Alto Adige, e diede battaglia con i suoi compagni ai
tedeschi. “Telefonammo al corpo d’armata e ci risposero i tedeschi! Chiamarono gli stukas (erano cacciabombardieri) che vennero a rasoterra a
bombardare. La sera del 9 si presentarono. Noi uscimmo di fuori… fra i morti… Loro sono scesi dai mezzi, ci incolonnarono e ci misero sui mezzi
corazzati.”
Altri soldati furono catturati mentre tentavano di tornare dalle proprie famiglie. Gualfardo R. era in Istria al momento
dell’armistizio. Dopo lo scioglimento del suo reparto, con alcuni compagni raggiunse a piedi Trieste, con l’idea di pendere il
primo treno per tornare a casa. Arrivati in stazione furono catturati dai tedeschi. L’unica possibilità per non essere caricati sui
carri bestiame e partire per i campi di prigionia era dimostrare di provenire dall’Alto Adige, ossia da una minoranza
germanica destinata ad essere annessa al Reich, o di aver mantenuto la fede fascista anche dopo la caduta di Mussolini.
Venne, infine, il momento della deportazione. I prigionieri appartenenti ai diversi corpi dell’esercito furono incolonnati verso la
stazione dove li aspettavano i treni pronti a portarli oltre il Brennero. Disarmata e impotente, fino all’ultimo la popolazione
locale continuò a far sentire la propria sofferta solidarietà ai giovani prigionieri: “I tedeschi hanno cominciato a fare gli smistamenti
prendendo i ragazzi dal campo sportivo. Dall’esterno del recinto, i civili, donne, bambini, ragazzi, mandavano buste piene o di pagnotte o di
sogarette o di uva. Le persone piangevano, perché ci portavano via, non sapendo dove, e ci offrivano dei pacchi, o di uva o di pane o di sigarette.”
La deportazione.
Dopo l’8 settembre, la decisa azione tedesca fece si che cadessero prigionieri in circa 650.000, di cui 30.000 ufficiali. I.M.I
(Internati Militari Italiani) che Hitler considerava figli di un’Italia traditrice dei patti sottoscritti. Il viaggio, tragico, è ben
presente nella memoria degli anziani di oggi.
“Il viaggio è stato terribile. Siamo stati dentro quei vagoni per 5 giorni, senza bere ne mangiare! Arrivati in Germania ci hanno aperto. C’erano
tanti morti. C’era un dottore che diceva: “Liberatevi che qui non c’è il purgante! Dovete morire sennò!” Allora per liberarsi dalle feci, chi aveva i
cucchiaini per l’ano, chi con le mani, chi con i bastoni… Per potersi levare quel blocco che non si poteva sopportare.”
Alcuni deportati tentano la fuga il prima possibile, rischiando la morte per la caduta dal treno in corsa o per la reazione per le
sentinelle. A destinazione gli italiani si trovarono in una condizione singolare.
“C’erano russi, slavi, francesi, croati e greci. Quelli che inveivano più di tutti erano i francesi. Ci urlavano: “les Mussolini! Vigliacchi!” E noi zitti a
passare come cagnolini bastonati. I russi ci facevano le corna.”
“Ci tolsero tutto quello che avevamo addosso e ci lasciarono solo il cambio. Persino i bambini furono aizzati a maltrattare i prigionieri italiani.”
“Non potevi fare uno sgarro perché erano bastonate che prendevi. I bimbi dicevano: “Italiani! Maccaroni! Puu!” E ti sputavano. Se me lo facessero
adesso… a nal so brisa, i chev al col!”
Eppure vi fu una possibilità di sottrarsi al destino che li attendeva. Era aderire alla neonata Repubblica Sociale Italiana.
Mussolini, ancora in stato d’arresto, era stato liberato dall’incursione di un gruppo di militari tedeschi, guidati dal capitano
delle SS Otto Skorzeny. I tedeschi lo portarono in Germania, al cospetto di Hitler, che intimò di costruire un nuovo Stato fascista,
la RSI. La RSI aveva fame di uomini. Pertanto si rivolgeva in primo luogo alle truppe italiane deportate dai tedeschi, alle quali fu
promesso di tornare in patria se avessero accettato di entrare nell’esercito della neonata repubblica.
“Ci hanno tenuti 3 giorni senza mangiare, perché ci facevano la propaganda per tornare volontari. Denunciavano la difficoltà di trovare uomini.”
Il NO degli IMI arrivò forte e chiaro, e fu uno smacco per il vecchio dittatore. La grandissima maggioranza dei prigionieri scelse
infatti di rimanere nei campi. Per il diciannovenne Gualfardo, a digiuno di qualsiasi idea politica, fu decisiva la perorazione di
un capitano antifascista : “Nato al tempo del fascismo, non sapevo nemmeno cos’era il socialismo. Noi non sapevamo niente! Noi ci siamo
convinti a rimanere. Abbiamo pensato: “Se andiamo tutti, 600.000 o più, armati, in cima alle Alpi e andiamo giù per l’Italia, il fronte americano non
può venire su, perciò si distrugge tutto, tutte le famiglie. Allora abbiamo preferito morire di fame, essere bastonati, umiliati…”.”
“Nessuno alzò la mano. Come si poteva accettare di combattere con loro, nella terra dove avevamo i nostri genitori, i nostri fratelli e
sorelle? Nessuno alzò la mano, nessuno! A questo nostro rifiuto ci risposero: “Allora ve ne starete qui a morire nei campi di concentramento!”.”
Non a caso quella degli IMI è stata chiamata “l’altra Resistenza”. I maltrattamenti, le malattie, la morte e la fame
accompagnarono quotidianamente questo esercito di uomini in catene.
“Sai cosa mangiavo io? Noi? Del miglio da uccellini.”
Qualcuno riusciva a rubare qualche patata, naturalmente a rischio della propria vita. Altri si arrangiarono con l’unico altro bene
abbondante, i topi:
“In Germania avevano un pagliericcio per terra. Al posto delle scarpe avevamo gli zoccoli di legno. I topi, i topi grandi… la notte facevano le corse! E
al buio prendevano contro queste scarpe di legno! Alcune volte sentivamo un odore, un odore buono! Pensavamo che fossero le cucine dei tedeschi,
invece erano alcuni che acchiappavano questi topi, li pulivano e li facevano sulla brace, li cucinavano! Cose che dici: “ma è possibile?” E’ possibile!”
“Mi ero ridotto che ero una larva: 38 kg!”
A mantenerli in vita erano il coraggio, il senso della dignità, la solidarietà tra compagni di sventura. Con la Shoa, lo sterminio
degli ebrei, gli internati italiani ebbero tutto sommato poco a che fare. Erano le SS, fedelissime a Hitler, a gestire i campi di
sterminio, ma alcuni dei nostri prigionieri ebbero modo di incrociare quel dramma. A Guarfaldo R. venne data una pala:
““Dove andiamo? Gli abbiamo detto, e loro: “A dare il concime!”Io facevo il contadino, sapevo com’era il concime: era duro e pesante come la terra.
Invece lì ci si affondava con gli stivali e ho detto: “Chissà cosa sarà?” Piano piano, questa polvere ci andava nel viso. Si è fatto giorno e ci siamo
accorti che in questa cenere c’erano tutte le falangi delle mani e le schegge delle ossa, specialmente delle donne e dei bambini, tutte per
terra. Luccicavano…”
“Sentiamo un lamento. Un branco di donne, 5 o 6.000. tutti scheletri. Ancora mi fanno piangere alla notte, perché non gli si vedevano gli
occhi. Gli occhi erano come 2 buchi neri. Le ginocchia grosse grosse, le cosce piccole piccole. Man mano che passavano ci dicevano: “Italiani! Dateci
un po’ d’acqua che non possiamo più andare avanti!” Erano accompagnate ai lati da dei soldati. Quando queste parlavano, gli davano una botta
con la canna del fucile per farle azzittire. Io ho detto: “Dio non esiste, perché se Dio esistesse non permetterebbe una cosa simile!” Pochi giorni dopo
siamo stati liberati.”
Le altre prigionie.
Gli italiani catturati non furono gli unici a sperimentare la prigionia. Quelli che vennero presi durante la campagna di Russia
furono inviati in Siberia a lavorare nei gulag. Giuseppe B. faceva parte di una divisione di camicie nere, la Tagliamento: “ci
Sopravvissuto grazie a qualche patata e barbabietola cruda, fu imbarcato su un treno
diedero dopo 8 giorni una pagnotta in 8.”
verso la Siberia: “ci davano del pesce salato, senza acqua. Allora per la sete, qualcuno andava sui bulloni, dove c’era il ghiaccio, per leccare, per
mettere qualcosa di liquido in bocca.”
“Nei campi di concentramento [la vita] era a seconda di chi comandava. C’erano alcuni campi di concentramento in cui si stava bene, perché
c’erano anche i nostri fuorusciti che erano andati via per il fascio.”
Una buona parte rimase in Nord Africa, o fu portata in Gran Bretagna, e furono coloro che ebbero la sorte meno infelice. Alberto
t. fu catturato dai britannici, nel deserto