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LA DEPORTAZIONE.
Lo sbandamento delle forze armate fecero si che cadessero prigionieri in circa 650.000, una massa
enorme di giovani furono lentamente trasportati in Germania a lavorare come schiavi per
l’economia tedesca. E’ la tragedia dei cosiddetti I.M.I (internati militari italiani), uomini che erano
da considerare prigionieri di guerra, ma che Hitler considerava figli di un Italia Traditrice dei patti
sottoscritti.
“internati, ci hanno dato la qualifica per non farci godere dei diritti di prigionieri di guerra, dalla
croce rossa alla posta.”
Il viaggio è ben presente nella memoria degli anziani di oggi.
I prigionieri nei Balcani, in Grecia, viaggiarono per settimane verso la Germania. Rinchiusi nei carri
di bestiame senza acqua e cibo con il freddo.
Chi non riuscì a scappare si rassegnò a proseguire il viaggio.
“Quando poi arrivammo in Germania c’erano gli aerei degli alleati a bombardarci in testa”.
“Anche i bimbi per strada dicevano “maccheroniii e ti sputavano”.
Eppure vi fu la possibilità di sottrarsi al destrino che li attendeva, era quella di aderire alla neonata
Repubblica sociale Italiana. Il 12 settembre Mussolini, era stato liberato da un gruppo di Militari
tedeschi, e lo portarono in Germania, dove Hitler intimò di costruire un nuovo stato fascista, la RSI,
che avrebbe governato sui territori italiani non ancora in mani gli anglo-americani. L’autonomia
Italiana era in mano ad Hitler, il trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Istria, sarebbero annessi
direttamente al Terzo Reich. La RSI, aveva fame di uomini, e si rivolse alle truppe italiane deportate
dai tedeschi, alla quale fu promesso di tornare in patria se avessero accettato di entrare nell’esercito
nella nuova Repubblica. Le pressioni furono fortissime, ma la maggioranza scelse di rimanere nei
campi invece di rientrare in guerra e distruggere l’intero paese.
Allora vennero deportati nei campi di concentramento per i lavori più disparati, per assicurare il
massimo funzionamento all’economia di guerra tedesca.
“tutto il giorni con la schiena giù, quando di urinava si cercava di farlo poco alla volta, cosi si
poteva drizzare la schiena”.
Le violenze erano all’ordine del giorno, si poteva venire uccisi per nulla.
Maltrattamenti, malattie, morte, fame… ma c’era di stava peggio gli Ebrei.
ALTRE PRIGIONIE
Gli italiani catturati dai tedeschi non furono gli unici a sperimentare la prigionia, quelli catturati in
Russia vennero inviati a lavorare nei gulag (campo di concentramento sovietici).
“nel viaggio per la sete leccavamo il ghiaccio, ci sono stati alcuni che hanno bevuto l’urina”
Moltissimi furono costretti a lunghe traversate per raggiungere i campi di prigionia in India, Austria
e spesso si ammalarono. Una buona parte però rimase in Nord Africa o in Gran Bretagna e furono
coloro che ebbero la sorte meno infelice. La condizione migliorò dopo l’armistizio a patto che non
avrebbero scelto di rimanere fedele a Mussoline e alla Repubblica di Salò.
Alberto T, fino a che non tornò a casa, alla fine del conflitto, ebbe la possibilità di rimanere e di
continuare a lavorare ed essere pagato, frequentando famiglie del luogo dove strinse veri rapporti di
amicizia.
-GLI ITALIANI TRA RICOSTRUZIONE E MIRACOLO ECONOMICO
TRA GUERRA E RICOSTRUZIONE, L'EREDITA' DELLA GUERRA.
–
Pochi anni dopo la fine della guerra Carlo Levi raccontò questo:
Grandi fuochi di gioia si levavano da tutti i villaggi, le strade erano piene di folle, di auto, si cantava
e ballava fino all'alba.
Nella primavera del '45, l'euforia della fine della guerra, esplose la voglia di uscire della case per
esprimere tutte le energie, dai cortili alle piazze.
Il boogie-woogie, il chewing-gum, la coco cola, le lucky strike, segnali che anticiparono le forti
influenze di divertimento d'oltre oceano, anche della musica e del cinema, in particolari sulle
giovani generazioni.
“Gli americani avevano queste macchine che facevano i film, e tutti correvano a vederli”.
Ma nel giro di poche settimane questa pace venne soffocata dalla difficiltà economica e sociale.
Se le vittime erano state meno numerose rispetto alla prima guerra mondiale, i danni materiali
risultano più gravi. L'Italia del dopoguerra appariva come un paese in ginocchio, case sventrate dai
bombardamenti, energia elettrica razionata, niente vestiti.
“I vestiti ci toccava farli con i teli dei paracaduti”.
Lo spirito pubblico era molto depresso, l'indice della produzione industriale, la capacità dei
trasporti, la produzione di grano, gli acquadotti che non funzionavano, e le linee elettriche interotte.
I generi alimentari erano ancora sottoposti a razionamento.
Il 50% delle linee ferroviare era stato danneggiato, chilomeri di strade impraticabili, la disponibilità
limitata delle macchine e la scarsità di carburante.
I vecchi veicoli militari che una volta abbandonati dalla truppe alleate, venivano recuperati e
riadattati per i fini più dispari. Per molti italiani il rientro a casa si realizzo solo sul piano simbolico,
al loro rientro trovano la propria abitazione danneggiata o interamente distrutta. Chi potè, cercò di
arrangiarsi e provò a ristruttirare casa con le proprie forze.
Tanti cercavano di ottenere le case popolari dell'Unrra, i fortunati che ci riuscirono si sentivano dei
signori.
La crisi delle abitazioni si aggravò nei mesi successivi, in coincidenza del rientro dei prigionieri e
lavoratori all'estero e il permare delle truppe alleate. Buona parte degli alloggi abitabili era ancora
occupato dagli alleati.
-L'ITALIA DIVISA IN DUE
Buona parte delle popolazione faticava ad assicurarsi i mezzi alla sopravvivenza quotidiana. Questo
provocò uno sviluppo frenetico di comportamenti illegali, dall'affolamento abitativo alla
prostituzione clandestina e alle varie forme di reato contro la proprietà, ai medicinali e
all'alimentare.
La posizione dei disoccupati appariva drammatica .
La struttura produttiva dell'Italia del dopoguerra rimaneva fortemente legata all'agricoltura, soltanto
la Valle Padania orientale e meridionale, e in parte il Veneto, erano attrezzati per un'attività agricola
dinamica e in sviluppo. La base industriale risultava ancora ristretta e limitata al triangolo Milano-
Torino-Genova.
Il reddito medio degli italiani nel 1951 era ancora sui livelli di quello registrato nel '38 (al 40% di
quello dei francesi e al 7% di quello americano).
L'anafalbetismo risultavano quasi scomparsi al Nord, mentre al sud sfioravano il 25%. La situazione
del sud era drastica anche per quanto riguarda la mortalità infantile. La città più ricca era Milano e
la più povera Agrigento.
Anche sul piano politico l'Italia era separata in due: le forze social-comuniste e il mondo cattolico.
Le elezioni politiche del 1948 rappresentano un momento culminante di questo scontro politico. La
vittoria della democrazia cristiana sul fronte popolare fisso i tratti politici costruttivi della nuova
italia repubblicana.
-MIGRAZIONI
Nel corso del dopoguerra, la mobilità degli italiani raggiunse livelli di intensità mai toccati
precedetemente. Accanto ai movimenti migratori verso l'estero, intendi nel periodo della
ricostruzione, si registrò una serie impressionante di trasferimenti di resistenza all'interno dei
confini nazionali, una grande migrazione interna che prodosse un rimescolamento della popolazione
italiana.
Per quanto riguarda l'imigrazione verso l'estero, essa riprese quota subito dopo la conclusione del
conflitto.
Colpisce la dimunizione delle destinaioni extraeuropee, le quali non esercitarono un richiamo cosi
forte, ma in paesi Europe come la Francia, il Belgio, la Svizzera, Germania (dopo le restrizioni agli
ingressi dei paesi oltreoceano e alla richezza di questi paesi europei).
Molti furono accolti con accordi interstatali.
-STORIE DI RISCATTO E INSUCCESSI.
L'espatrio di migliaia di connazionali venne considerato un elemento centrale del secondo conflitto
e della ricostruzione politica e materiale del Paese.
Celebre lo stesso invito di De Gasperi (presidente del consiglio) rivolto ai lavoratori italiani di
imparare una lingua estera ed espatriare. Tra il 1946 e il 1955 l'italia sottoscrisse trattati con la
Francia, la Gran Bretagna, l'Olanda, il Brasile, l'Australia, il Canada e perfono con la
Cecoslovacchia e l'Ungheria.
Significativo l'accordo del 1946 tra Italia e Belgio che prevedeva l'invio nel “paese nero” di 50 mila
operai italiani da adibire alle miniere in cambio di importanti forniture di carbone a prezzi
favorevoli. Centinaia di migliaia di italiani si trasferirono in Belgio.
Le condizioni di lavori erano pessime, la mancanza di una formazione adeguata in rapporto alla
perciolosità da svolgere, l'assenza di strumenti di sicurezza e l'ossessione di produrre sempre più
carbone, produsse un lungo elenco di vittime (e chi sopravviveva doveva fare i conti con la silicosi).
Ma non mancano anche altre storie di italiani dove hanno trovato fortuna all'estero (e quando
rientrarono costruirono case).
Una difficile integrazione
La legge fascista approvata nel 1939 e finalizzata a bloccare il fenomeno dell’urbanesimo proibivi
il cambio di residenza per chiunque non fosse in grado di dimostrare di avere un’occupazione
regolare nel luogo di destinazione e contemporaneamente vietava alle aziende di assumere individui
che non fossero in possesso della residenza dello stesso comune in cui si trovava il luogo di lavoro.
Benchè nel dopoguerra la legge non aveva più motivo di essere applicata, queste legge continua ad
essere funzionale fino al 1961, e cosi ebbe inizio la condizione di tanti immigrati fuorilegge,
clandestini nella loro stessa patria.
Senza il certificato di residenza inoltre non era possibile ottenere un certificato di affitto. Un circolo
vizioso, obbligando molti immigrati ad accettare contratti di affitto esosi, di pessime condizioni
come lavori precari con paga irregolare e senza assicurazioni. Non di rado caporali e cooperative
assumevano personale in stazioni, di immigrati appena scesi dai binari in cerca di speranza, poi li
cedono ad aziende a loro collegate, prelevando ogni settimana il 20-25% della retribuzione , come
un mercato delle braccia.
Per l’enorme massa di immigrati, la ricerca di un alloggio costitui il problema più angoscioso. Il
canone di affitto era troppo alto per le famiglie di immigrati.
Va aggiunto anche il pregiudizio antimeridionale che l’Italia settentrionale conobbe durante gli anni
’50, su alcuni portoni addirittura la scritta “non si affitta ai meridionali”.
Si pensi anche alla carenza di ospedali, scuole , trasp