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La grande trasformazione economica dell’Italia tra anni ’50 e ’70
(Il boom economico)
L’Italia vive negli anni ’60 ciò che gli USA vivono negli anni ’20. Negli anni ’60, infatti, l’Italia vive
un processo di accelerazione delle trasformazioni. In poco più di un decennio, si è condensato il
processo di passaggio da paese rurale a paese industriale di massa. Questo processo, però, ha innescato
anche squilibri. C’è una periodizzazione del boom economico:
1945-1948, periodo legato alla ricostruzione;
1) inizi anni ’50, in cui c’è un nuovo dinamismo dell’apparato produttivo;
2) 1958-1963, prima fase del boom economico;
3) 1963, breve crisi a causa dell’innalzamento dell’inflazione;
4) 1963-1971/72, nuovo periodo di boom economico che termina con la crisi petrolifera che segna
5) la fine del periodo di sviluppo anche in tutto il mondo.
La fase di sviluppo italiano è concomitante ad uno sviluppo economico in tutto il mondo, anche se con
modalità diverse tra paese e paese. Tale età, quindi, è stata definita “età dell’oro” in contrapposizione
alla precedente età della guerra e alla successiva età della crisi.
L’Italia di fine anni ’40 è rurale e ha un basso tasso di industrializzazione soprattutto nel Sud.
Nell’industria italiana esistono dei fattori diversificanti rispetto ai paesi più avanzati:
1) livello di tecnologie molto arretrato;
2) forte squilibrio tra i diversi settori: la chimica, la siderurgia e la meccanica sono moderni,
mentre il tessile e il calzaturificio sono legati a strumenti tradizionali. Tali squilibri sono
aggravati dagli squilibri territoriali, tra Nord più industrializzato e Sud più arretrato;
3) il costo del lavoro italiano è tra i più bassi in Europa. Anche all’interno del mercato del lavoro,
c’è un forte squilibrio tra i settori forti e protetti (cioè chi ha un posto di lavoro fisso e un salario
alto) e deboli (cioè chi ha un posto di lavoro precario e salari bassi);
4) fortissima disoccupazione di carattere storico accentuata da Einaudi.
Una stima dell’OECE del 1950 dice che il reddito pro capite dell’Italia è ¼ di quello americano e di
poco superiore alla metà di quello dei Paesi del Nord Europa. Ci sono, inoltre, forti squilibri di reddito
all’interno della classe operaia: c’è chi è povero e chi, invece, ha un reddito altissimo. Le famiglie
misere ed indigenti sono il 23% dell’intera popolazione. Alla fine degli anni ’40, in una famiglia di
quattro componenti che ha un operaio appartenente alla fascia alta, il 93% dello stipendio è impiegato
per le spese di sopravvivenza (fitto, alimenti, riscaldamento ed elettricità). Non ci può essere, quindi,
una società di consumo perché il denaro è speso per la semplice sopravvivenza. Rispetto a questa
condizione, nei primi anni ’50, la politica del centrismo ha smantellato lentamente il protezionismo
fascista e ha inserito l’economia italiana nel mercato internazionale, soprattutto in quello europeo.
Questa apertura spinge ad un rinnovamento delle basi tecnologiche e dei macchinari dell’industria
italiana. Questo rinnovamento provoca, però, anche licenziamenti e scontri sindacali, ma è proprio