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Il corporativismo nel regime fascista italiano
Tale legislazione, infatti, stabilisce che il potere di contrattazione spetti solo ai sindacati riconosciuti dallo stato. Di fatto, però, si prende in considerazione solo il sindacato fascista;
nel 1926, viene emanata la costituzione delle corporazioni, che riprende l'idea di eliminare la lotta di classe e vuole instaurare una collaborazione tra capitale e lavoro regolata dallo stato per il bene nazionale. Il corporativismo non è né liberale, cioè individualistico, né socialista, cioè collettivo. Nel 1933 nascono le corporazioni, cioè organismi corrispondenti a diversi settori produttivi in cui è eliminata la rappresentanza dei sindacati autonomi, a vi sono insieme rappresentati di datori di lavoro e quelli dei lavoratori. Queste corporazioni sono osteggiate da alcune parti dello stesso Fascismo, perché gli operai, in questo modo, sono privati del diritto di sciopero con conseguente perdita del potere contrattuale dei sindacati.
Nel 1927, la carta dellavoro fissa il divieto dello sciopero, perché quest'ultimo contrasta con l'immagine di collaborazione tra capitale e lavoro; c) nel 1925, alla svolta politica autoritaria corrisponde anche una svolta economica. Infatti, tra il 1922 e il 1925 fu attuata una politica liberista. Nel 1925, invece, c'è un ritorno al protezionismo, che inizia con la protezione del grano. Sempre nel 1925, infatti, inizia la battaglia del grano, che ha anche un risvolto ideologico. L'Italia, in questo momento, importa molto grano poiché quello nazionale è insufficiente per il bisogno alimentare nazionale. Questo pesa sulla bilancia dei pagamenti. In più il Fascismo, in caso di guerra, vuole che l'Italia sia autosufficiente in campo alimentare. Viene, quindi, lanciata una battaglia per produrre più grano. Serpieri, politico che si occupa dei problemi agricoli del Fascismo, vuole che tale battaglia avvenga aumentando non soloLa produzione di grano, ma anche la produttività del terreno agrario, cioè il livello di produzione rispetto alle unità produttive, modernizzando, quindi, l'agricoltura grazie all'investimento di denaro. La battaglia del grano, verso il 1938, si avvicina all'autosufficienza nazionale, che è ottenuta, però, allargando la superficie granaria ai danni delle altre produzioni, come, ad esempio, il foraggio utile all'allevamento. Il governo fascista, quindi, emana molti provvedimenti per incentivare la produzione agraria del grano, come il protezionismo e l'assegnazione di premi a coloro che usano sementi selezionate. Il lancio della battaglia del grano è accompagnato da una forte enfasi di ideologia ruralista, cioè vi è l'esaltazione delle campagne e del mondo contadino visti come forza nazionale e portatori di valori quali l'attaccamento alla terra e alla patria, l'unità familiare, ilIl ruolo casalingo e materno della donna sono fortemente sostenuti dal Fascismo. Tali valori sono contrapposti a quelli urbani. In città, infatti, si è più facilmente preda di immoralità pubblica e privata. Nel 1927, viene emanata di conseguenza, una legislazione antiurbana per impedire la migrazione dalla campagna verso la città. In città si può giungere solo dopo aver ottenuto un attestato che testimonia di avere un lavoro all'interno della città stessa. Di fatto tale legislazione non ha successo. In realtà la campagna è ben diversa dall'ideologia che le si vuole attribuire. Si continua, comunque, ad andare in città perché in campagna c'è miseria e sovrabbondanza di forza lavoro. Ma questo comporta il rischio che le città diventino portatrici di malcontento sociale perché riassorbe la forza lavoro in esubero della campagna.
Connesso alla battaglia del grano è
L'aumento demografico. Infatti la nazione proletariapotenzia la sua prolificità per diventare potente nel mondo. Anche in questo ambito, il governofascista attua delle incentivazioni, premiando le famiglie numerose e facendo pagare una tassa a chi è celibe. Questo fa sì che la donna di campagna rimanga a casa per accudire i figli. Ella diventa il prototipo di donna: per la sua fertilità, ha dei bei fianchi, è tondeggiante e ha seni prosperosi. Viene, perciò, contrapposta alla donna americana, magra, con pochi fianchi e poco adatta a fare figli. Vengono, inoltre, proibiti i contraccettivi e l'aborto è considerato un reato;
il governo fascista si occupa anche di bonifiche. Ad esempio, sono stati bonificati l'agropontino (zona di Latina e Sabaudia) e la Maremma. C'è, inoltre, l'idea di bonifica integrale, cioè bisogna non solo prosciugare i terreni, ma sistemare anche le campagne.
bonificate,dividendole in poderi. Le spese della bonifica sono affrontate sia dallo stato sia dai proprietari.Serpieri propone che, se i proprietari non pagano, i terreni debbano essere espropriati. La suaproposta, però, non ha successo e, quindi, Serpieri abbandona il governo;
la lira italiana, nel primo dopoguerra, vive un processo di inflazione interna e di svalutazionesui mercati esteri. La svalutazione della lira favorisce chi esporta, perché all'estero si compra lamerce italiana perché è a basso prezzo. Svantaggia, invece, chi importa perché i costi percomprare le merci straniere aumentano. La svalutazione aumenta anche l'inflazione sui mercatiinterni. Quindi c'è un malcontento tra i ceti piccoli e medi. A differenza di altri paesi, la liraitaliana fluttua sui mercati esteri (cioè viene valutata in base ai mercati esteri stessi), mentrealtrove c'è il gold standard, cioè un sistema basato
sullo scambio fisso tra monete nazionali e l'euro rappresentato dalla sterlina, moneta di riferimento. Il gold standard era in vigore prima della guerra, ma venne soppresso durante la guerra stessa. Dopo la guerra, alcuni paesi, come ad esempio l'Inghilterra, lo riadattano, ma l'Italia rimane allo scambio fluttuato sui mercati esteri. Nel 1925-26, la svalutazione della lira si fa molto pesante, per cui si ha un danno per tutta l'economia interna. Nel 1927, il governo fascista interviene, decidendo di tornare al gold standard. Si determina, così, una forte rivalutazione della lira nello scambio con le altre monete (si passa da 125 lire a 90 lire nei confronti della sterlina e, quindi, si parla di quota novanta). Rivalutando la lira in questo modo, il governo danneggia le industrie esportatrici favorendo quelle importatrici. Il mondo industriale, perciò, rimprovera Mussolini di aver attuato una valutazione troppo alta. I danni alle industrie esportatrici, però,Sono ridotti grazie ad alcuni provvedimenti. Sono, ad esempio, tagliati i salari operai, eliminate alcune tasse fiscali e aumentate le tariffe protezionistiche. La quota novanta con i conseguenti provvedimenti costituiscono un successo per Mussolini, perché danno la sensazione di stabilità della lira all'estero, affermano il ruolo dello stato nella vita economica e portano ad un forte consenso dei piccoli-medio risparmiatori che vedono una difesa del loro risparmio. La quota novanta, infine, diminuisce l'inflazione;