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Il Fascismo: 1930-1940
La grande crisi del ’29 arriva in Italia nel 1930, quando ancora l’economia italiana non era uscita dalle
difficoltà della quota novanta. Con la crisi, si ha un fortissimo calo della produzione industriale, con la
conseguente chiusura di fabbriche e aumento della disoccupazione. Il Fascismo, per fronteggiare la
crisi, segue la linea dell’economia classica (taglio della spesa pubblica, dei salari e diminuzione delle
ore di lavoro). C’è, quindi, un inasprimento fiscale soprattutto nei settori agricoli. Si fanno, però,
contemporaneamente dei lavori pubblici per sostenere l’occupazione e a Roma c’è lo smantellamento
del centro storico per la costruzione di borgate. Inoltre c’è la fondazione dell’IRI (= Istituto di
Ricostruzione dell’Industria).
Uno dei fattori che facilitò il decollo industriale italiano tra fine ’800- inizi ’900 fu la creazione delle
banche miste. Queste erano banche specializzate nel credito industriale, ma esercitavano anche il
credito ordinario. Le più famose banche miste erano il Credito Italiano e il Banco Commerciale. Le
banche miste sovvenzionavano le singole imprese e, in cambio, ricevevano azioni di tali imprese.
Quindi, durante la seconda rivoluzione industriale, nacque il capitalismo finanziario, espressione che
indica l’intreccio tra banche ed industrie. Questa situazione si sviluppò per tutto il ’900. Al momento
della crisi del 1929, le banche sono gonfie di azioni che, però, con la crisi crollano. Il capitale delle
banche, quindi, è immobilizzato in pacchetti azionari (le banche, cioè, non hanno liquidità di denaro,
ma continuano ad avere le azioni). Inoltre la crisi provoca la “corsa agli sportelli”, cioè il ritiro del
conto corrente da parte del risparmiatore che ha paura che la banca fallisca. Questo costituisce un
dramma per l’economia italiana, perché essa dipende proprio dalle banche miste. Il Fascismo, con
l’economista Beneduce, propone la creazione dell’IMI, istituto pubblico con il compito di sopperire al
finanziamento industriale delle banche andate in crisi. Lo stato dà, quindi, liquidità alle banche ed, in
cambio, acquisisce l’IRI, che incamera le azioni possedute dalle banche stesse. Lo stato, quindi,
attraverso l’IRI, diventa esso stesso imprenditore, cioè titolare di imprese industriali di azioni di settori
diversi, entrando direttamente nel ciclo economico. Nasce, quindi, l’economia pubblica, cioè quella
parte di economia che è in mano allo stato. Nel progetto originario dell’IRI, esso, una volta che ha
salvato le banche e dopo aver acquisito i pacchetti azionari, deve rimettere le stesse azioni sul mercato
e farle diventare nuovamente private. In realtà, questo progetto è realizzato in parte, sia perché
pacchetti azionari di industrie piccole in crisi non sono più comprate da nessuno, sia perché il capitale
privato ha interesse che alcuni settori rimangano in mano allo stato (vedi, ad esempio, l’acciaio).
L’Italia, di conseguenza, nel corso degli anni ’30, emerge come paese europeo occidentale con il più
alto tasso di economia pubblica: l’economia in mano allo stato, cioè, è più estesa rispetto agli altri paesi