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DAL RISORGIMENTO NAZIONALE ALLA CRISI DEL SISTEMA LIBERALE

1. Il liberalismo moderato in Italia

L'esperienza costituzionale in Italia tra il 1848 ed il 1849 segnò il successo del liberalismo monarchico moderato su tutte le altre aspirazioni democratiche e repubblicane incarnate da Mazzini, ma non solo. Era il partito di una borghesia operosa, nemica delle cospirazioni e del ricorso alla forza, contraria assolutamente a scatenare rivolte e sommosse popolari o contadine, temute assai più della stessa reazione aristocratico clericale. Tale posizione fu in grado di divenire prevalente in quanto seppe giovarsi nello stesso tempo dei fallimenti mazziniani e dell'angustia conservatrice dei vecchi gruppi dirigenti soprattutto legati alla gerarchia ecclesiastica. Se ne giovò anche grazie all'estrema lucidità di alcuni abili politici del tempo come Massimo d'Azeglio, futuro Presidente del Consiglio piemontese che prefigurò il sistema.

costituzionale dell'Italia unita. La famosa "Proposta di un programma per l'opinione nazionale" codificava un altro tema fondante del 1848: il problema dell'indipendenza nazionale non poteva essere risolto se non collegandolo al raggiungimento di un nuovo assetto costituzionale. Si proponeva così una sorta di inscindibile binomio: indipendenza nazionale e libertà costituzionale, un metodo politico e una concreta linea d'azione fondata sulla rappresentanza parlamentare. Messaggio che trovava consensi ed ampliava progressivamente la schiera dei suoi sostenitori: la reazione stizzosa di Mazzini ai programmi moderati era la chiara conferma della crescente diffusione di tali idee.

2. Progresso della società e sistema monarchico rappresentativo a Napoli. Soprattutto a Napoli e nella parte continentale del Regno delle Due Sicilie lo sviluppo della proprietà e del capitalismo avevano portato ad una progressiva e sempre più

consapevole egemonia borghese. Dopo le conquiste del "decennio" (1806 – 15) maturava un progetto politico che andava oltre gli obiettivi economici e corrispondeva ad una crescente volontà di esercitare un efficace potere di condizionamento sulle vicende istituzionali del regno (potere politico), assicurando così la conservazione delle posizioni raggiunte e l'acquisto di nuove. Si trattava in sostanza di raggiungere un equilibrato progresso economico e civile mediante un decisivo cambiamento istituzionale, i cui termini essenziali dovevano essere la rappresentanza parlamentare e un sistema amministrativo che desse spazio alle libertà locali, osteggiando la monarchia amministrativa di matrice napoleonica, vista ormai come una macchina oppressiva ed inadeguata rispetto alle crescenti esigenze di libertà economica e politica. Leggi e codici erano assai pregevoli ma corrispondevano ad un impianto politico ormai decisamente superato anche per

L'incapacità di Ferdinando II di Borbone - il cuiregno era peraltro iniziato tra molte speranze di progressi istituzionali - di realizzare, pur nell'ambito dello Stato amministrativo, una saldatura tra centro e periferia. Ad accrescere le difficoltà nel Regno vi erano una serie di problemi internazionali oltre che interni: continui focolai di ribellione suscitati dall'antico problema delle terre demaniali si accendevano nelle province, dove il governo era mal visto ed accusato di trascurare l'interesse pubblico per favorire caste di privilegiati. La forma monarchica e la dinastia non erano in discussione, ma ovunque si sentiva il desiderio di una svolta, che i più giustificavano col bisogno di nuove dinamiche produttive necessarie a colmare il ritardo nell'industrializzazione. Specialmente tra i più giovani, tra i tantissimi studenti che da tutto il regno accorrevano nella capitale, tra docenti ed iscenti nelle scuole di

diritto e di filosofia era diffusa la più recente cultura europea: nonostante la censura, i libri circolavano. Nelle numerose pubblicazioni appariva particolarmente evidente la consapevolezza dello strettissimo legame tra istituzioni ed economia, diveniva quindi sempre più pressante il richiamo ad intervenire sulle basi stesse dell'ordinamento. Richieste liberali che avevano l'effetto di far arroccare la monarchia sempre di più sull'accentramento amministrativo che, avendo smarrito la sua carica riformatrice, non poteva più corrispondere alle complesse esigenze di progresso ed al moltiplicarsi dei bisogni. Il disagio economico sociale non poteva essere risolto da un sistema sempre più stringente di controlli: anche per tale motivo ogni dibattito sull'economia si trasformava in un dibattito sulle istituzioni, fornendo un terreno fertile per la diffusione dei

Principi liberali e per spingere il ritorno alla costituzione del 1820 ed al sistema parlamentare. La separazione dell'esecutivo dal legislativo era alla base anche del programma dei liberali - moderati, il maggior partito nel regno meridionale. Questi guardavano con favore al sistema bicamerale allora vigente in Francia, ritenuto espressione valida delle aspirazioni borghesi, capace di unire e non dividere essendo lontano dalle rivoluzionarie ipotesi mazziniane. Nonostante la presenza di attive frange repubblicane e radicali, poco condivisi erano i piani di coloro che volevano realizzare in ogni modo l'indipendenza inserendosi in un movimento nazionale ed unitario: prevaleva la tendenza che Blanch definiva di "transizione" con la dinastia borbonica. Il progetto del liberalismo napoletano era orientato a fini concreti e tutto sommato circoscritti, ma capaci di unire nella battaglia per la rappresentanza parlamentare molte componenti disperse dopo la reazione del 1821.

Giuristi come Michele Solvimene riaffermavano il legame tra la Nazione, "chiamata a decidere essa stessa del suo futuro", ed il Parlamento, la cui missione doveva essere "ditutto prevedere e non piegarsi davanti a nessun uomo" sottolineando il rifiuto per ogni prospettivagiacobina, ritenendo (De Sanctis) che la monarchia borbonica non potesse sottrarsi ai suoi compitidi rinnovare il patto con la Nazione attraverso un sistema costituzionale.Alla base era implicita la rivendicazione della borghesia di un suo diritto costituente, quale era statosostenuto con vigore e successo dal costituzionalismo francese. Uno dei teorici più ascoltati delprogramma moderato, Luigi Blanch, aveva ripetutamente indicato la priorità delle riformeistituzionali: bisognava ottenere la carta ottriata, ritenuta la premessa per una feconda cooperazionedi tutte le forze economiche nel quadro di un disegno armonico e controllabile. La stessa liberazionedella penisola dal dominionon doveva necessariamente coincidere con la fine delladinastia, anzi l'auspicio era piuttosto per una federazione italiana, programma giudicato assai più realizzabile rispetto ai sogni mazziniani che a Napoli avevano scarsissima presa. Anche dopo il 1844 la fine della cauta tolleranza di Ferdinando II non produsse l'automatica radicalizzazione del movimento liberale. Naturalmente la pressione poliziesca favorì l'emergere nei "circoli costituzionali" di posizioni politiche più estreme ma non ridusse significativamente il predominio dei moderati nel movimento. Nuova ed inaspettata forza al progetto costituzionale doveva venire dal Neoguelfismo penetrato impetuosamente nel Mezzogiorno soprattutto dopo l'ascesa al soglio pontificio di Pio IX. Esso combinava in un disegno più ampio ed autorevole il principio censitario con quello della civiltà cattolica che aveva nel papato il suo cardine. Si voleva sconfiggerel'autoritarismo accentratore, ma era altrettanto indispensabile tenere le masse contadine e diseredate lontano dalla politica, lasciare spazio alle forze ecclesiastiche più aperte e progressiste, ribadire che l'appartenenza ai ceti medio - alti costituiva il criterio fondamentale per la partecipazione politica e la gestione della cosa pubblica: alle tesi del costituzionalismo liberale contrapponeva il modello paternalistico del legislatore ispirato dalla religione cattolica. Anche coloro che perseguivano un ideale di ammodernamento istituzionale per la monarchia borbonica, non consideravano il progetto neoguelfo come rinuncia al programma riformatore moderato. Rispettoso di una consolidata tradizione giuspubblicistica, tendeva ad evitare un sovvertimento radicale ma aspirava altresì a spazzare ogni residuo dell'ancien regime. Tra i fautori più determinanti e conosciuti di tale linea politica, che esprimeva la fortissima volontà diassicurò la guida della cosa pubblica da parte di una classe dirigente composta da proprietari, professionisti e impiegati. Vanno ricordati Carlo Poerio e D'Ayala. Specialmente il primo fu autentico leader del movimento costituzionale invitando, dopo i moti di Palermo, il sovrano a concedere una costituzione "alla francese", ben diversa da quella "democratica" del 1820, avrebbe evitato il peggiowww.politologi.com - Il Portale degli Studenti di Scienze Politiche e soprattutto, al ramo napoletano dei Borbone, il destino amaro della corrispondente dinastia francese. L'accordo fu trovato e di tale orientamento del re fu evidente prova la caduta e l'esilio di due tra i più odiati rappresentanti del partito reazionario: il ministro di polizia Del Carretto e il confessore del re, Monsignor Cocle. Era il 26 Gennaio 1848, due giorni dopo il partito costituzionale organizzò una grande manifestazione al termine del quale Ferdinando II

Promesse di concedere la costituzione al regno. Il 29 Gennaio un decreto fissava i principi del nuovo ordine costituzionale, ricalcato sul modello francese di Luigi Filippo. La decisione del Borbone spiazzava le correnti più radicali che volevano trasformare le aspirazioni costituzionali in un vasto movimento per l'unità italiana: la stesura del testo costituzionale fu affidata ad un antico esule in Francia, Francesco Paolo Bozzelli, più volte impegnato nelle esperienze costituzionali (Murat, 1820) e più volte imprigionato per motivi politici; per questo considerato del tutto affidabile dai capi del movimento liberale. Ben presto si mostrarono le prime difficoltà di conciliare il consolidato potere monarchico con le nuove libertà politiche: iniziò ad incrinarsi il rapporto non solo con il re, ma tra gli stessi esponenti del partito della Costituzione. Si scontrarono ben presto Bozzelli e Poerio, il neo ministro troppo squilibrato verso il

otere regio: la traduzione in norme costituzionali dei principi proposti dal partito costituzionale e sanzionati il 29 gennaio avvenne senza possibilità di discussione. Bozzelli fece assai poco per mantenere i contatti col suo partito e ricomporre le p
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
43 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Graziosi Andrea.