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Il clima organizzativo: una prospettiva strutturale e percettiva

In quest'ottica, vediamo il clima si formato da fatti oggettivi (strutturali) che da fattisoggettivi come le interpretazioni: i fatti sono fenomeni concreti del mondo, ma gli attori percepiscono i fatti in modo soggettivo.

Ciascuna di queste spiegazioni mette in luce strategie diverse riguardo il controllo del clima organizzativo. Se prendiamo in esame il primo approccio, già Argyris aveva anticipato come un clima con una leadership troppo rigida generi sconforto quindi meno produttività), allo stesso modo però, non è detto che un clima più sereno porti necessariamente una maggiore produttività quindi non è sufficiente riferirsi ai soli approcci strutturali.

Se pensiamo alla formazione del clima sotto l'ottica dell'approccio percettivo, potremmo pensare che sia sufficiente mettere "le persone giuste al posto giusto" per far andare bene un'organizzazione, per giustificare quest'approccio la teoria A.S.A.

assesce che isoggetti aderiscono ad un’organizzazione perché questa li attrae, l’attrazione diventa reciproca e genera soddisfazione. Quando ci sono equivoci nella fase di selezione del personale, l’attrazione viene meno e genere attriti. D questo però emerge che se la selezione del personale fosse l’unico metodo a influenzare il clima, si dovrebbero accantonare le speranze di governarlo e, se un’organizzazione va male, bisognerebbe cambiare da zero tutti i suoi componenti. L’approccio interattivo è il più valido in questo senso, perché non smentisce nessuno dei due approcci precedenti. Secondo questo approccio, la condivisione delle percezioni di clima è un punto d’arrivo e non di partenza nella formazione del clima. Ovviamente l’influenza di chi occupa posti di rilievo è decisiva perché crea significati condivisi indispensabili per un buon funzionamento. Allo stesso tempo, si afferma che ilIl clima è formato dall'interazione tra le persone e quindi gli si riconosce una natura sociale. L'interazione tra persone genera aspettative e le spetttive si basano sulla cultura. Si può dunque parlare del clima solo in riferimento alla cultura. Alla luce di questo chiedersi se il clima è oggettivo o soggettivo è un presupposto errato, in realtà è un fenomeno di carattere culturale e intersoggettivo: senza le percezioni individuali non si potrebbe parlare di clima, ma queste percezioni avvengono nelle relazioni sociali e quindi esso è indistricabile anche dall'ambiente. 4. La cultura d'impresa L'interesse per la cultura Alla fine degli anni '70 la letteratura sul clima organizzativo era entrata nel dibattito tra analogie e differenze tra i concetti di clima e cultura. Se al primo erano legati studi quantitativi e statistici, era iniziato l'interesse per gli studi qualitativi per la seconda. Nonostante fosseroentrambi focalizzati sullo stesso oggetto di interesse, erano su versanti opposti. In realtà questa contrapposizione non durò a lungo, a partire dagli anni '90 l'interesse verso i loro punti di contatto è pari a quello delle loro differenze. La cultura come risorsa L'interesse per la cultura organizzativa può ricondursi da un lato alla necessità di spostare l'attenzione verso studi qualitativi (metodi etnografici, osservazione partecipante ecc), dall'altro alla necessità di capire perché le grandi aziende orientali avevano iniziato a sbaragliare la concorrenza occidentale. Non si credeva possibile che i giapponesi fossero così avanti solo perché trovavano operai che lavoravano a orari massacranti con retribuzioni minime, si credeva che in questo influisse anche la cultura. Ouchi individuò il fattore culturale che in Giappone aveva gestito le imprese in modo opposto a quello americano. Mentre gli

Gli americani si basavano sulla gerarchia burocratica e sulla responsabilità individuale, mentre i giapponesi avevano un modello basato sulle decisioni di gruppo, valutazioni informali e carriera non esasperata. Queste differenze non erano riconducibili alla cultura nazionale, ma potevano essere adottate anche in organizzazioni americane (Ouchi ne identificò alcune) che avevano adottato sistemi simili a quelli giapponesi. In queste organizzazioni si registrò una maggiore produttività dovuta a un più efficace coordinamento e a un maggiore impegno da parte dei lavoratori. A partire da queste spiegazioni, il successo giapponese si affermò e nella letteratura si consigliava di emularlo per aumentare la produttività.

La cultura della qualità. Il modello produttivo giapponese ha la sua massima espressione nella Toyota. La parola d'ordine di questo modello è la qualità, che fu una delle priorità introdotte nelle aziende occidentali.

In cui si formarono "circoli di qualità" con personale direttamente impegnato alla risoluzione di problemi a vantaggio dei clienti e del processo produttivo. La qualità non è intesa solo a livello dei prodotti, ma anche adeguata ai servizi, cioè alla domanda del cliente. La qualità è anche un vantaggio per l'azienda, infatti più un prodotto è di qualità, meno verrà a costare visto che non dovrà essere sottoposto a controlli supplementari, scarti e perdita di clienti. L'espressione "cultura d'impresa" può coincidere con "cultura di qualità", ovvero quelle pratiche coerenti che garantiscono il successo.

Risorse simboliche Secondo Pfeffer la cultura organizzativa gestita dal dirigente può anche avere un livello simbolico. Alla base di quest'idea c'era il concetto, che si faceva forza in quegli anni, di vedere l'organizzazione come

Una realtà di natura sociale è un sistema di significati condivisi. Alcuni modi di pensare sono impliciti e quindi le pratiche che ne derivano sono condivise. Come disse Weik, "il dirigente ha più l'attività di un evangelista che di un contabile", perché i significati di certe situazioni vengono interpretati, definiti e socializzati tramite la sua figura. In sintesi il vero terreno d'azione del dirigente è quello delle risorse simboliche.

Uno sviluppo negativo di questa chiave di lettura è l'uso strumentalizzato che si fa del simbolismo manipolando e controllando i soggetti dell'impresa.

Significati e valori Nel tentativo di affermare la cultura, molto spesso ci si concentra sui valori. I valori sono portatori di forza e unità all'interno di un'organizzazione e non sono facilmente manipolabili.

Dire che la cultura consiste in valori condivisi dai membri di una comunità è riduttivo.

In realtà non sempre i valori che una persona segue sono quelli che dichiara, quelli che realmente la influenzano spesso sono altri.

I significati condivisi

La cultura è un sistema di significati pubblicamente accettati da un gruppo di persone in un momento determinato. Condividere lo stesso significato nei simboli può non essere così ovvio perché la cultura non è solo conoscenza ma anche emotività. A questo proposito Cassirer ha analizzato le forme espressive della cultura distinguendo quella cognitiva e quella mitica. La prima basa l'uso dei simboli sulla loro funzione di indicare le cose, la seconda usa i simboli in modo emotivo e attribuisce loro lo stesso significato dell'oggetto che simboleggiano.

Quando si parla di cultura di un'organizzazione si intende quindi che in essa tutti i membri hanno sviluppato gli stessi sistemi di significato non solo tecnici e linguistici, ma anche simbolici.

La cultura come vincolo

Lo studio di simboli,

significati e manifestazioni emotive della realtà sociale, ha reso evidente che la cultura non sia una risorsa che si possa acquisire a costi minimi e di cui disporre a piacimento. Shein sostiene che non è appropriato parlare di "gestione della cultura" ma piuttosto andrebbero gestite le conseguenze del funzionamento della cultura in quanto questa è radicata nelle menti delle persone in modo spesso inconsapevole. In questo senso la cultura potrebbe costituire un ostacolo per il cambiamento. La cultura può anche rappresentare un ostacolo al coordinamento delle azioni organizzative; spesso, all'interno della stessa organizzazione, non si condivide la stessa cultura ma esistono tante subculture. Come osservò Joanne Martin, l'analisi delle organizzazioni può essere vista sotto punti di vista diversi: il primo come integrazione di tutti, il secondo come differenziazione di subculture e l'ultimo cogliendol'ambiguità di tutte le differenze. Spesso questa complessità del fenomeno culturale viene ignorata o trattata in modo superficiale, entrambe queste posizioni sono sbagliate. Bisogna accettarne e capirne la complessità e focalizzarsi sul fatto che clima e cultura non sono determinati dalla semplice gestione manageriale ma dall'interazione tra questa e le risposte delle persone. I metodi per l'analisi della cultura Il gran numero di definizioni e aspetti che si sono messi in luce sulla cultura e sul clima, dimostrano come queste siano due grandi aree di indagine in cui tutti gli aspetti sono vitali. Ogni autore ha messo a fuoco l'aspetto che più riteneva opportuno, ma si deve a Shein il merito di aver suggerito l'analisi per livelli, quello più superficiale degli artefatti, quello dei valori e quello degli assunti di base, ovvero le "radici". I metodi qualitativi Per mezzo del metodo qualitativo si possono analizzare i

Per comprendere i tre livelli di una cultura, occorre dapprima osservare se gli artefatti ne sono un’espressione autentica. Questo non va sempre dato per scontato, se come artefatto prendiamo in considerazione l’introduzione di una divisa, non è detto che i dipendenti la considerino una forma di integrazione. Per andare più in profondità, occorre intervistare i soggetti singolarmente o in gruppo in modo da cogliere i punti di vista e i significati sulle situazioni che vivono per mettere a fuoco i valori espressamente dichiarati (anche se non sono sempre quelli effettivi). Per andare veramente a capire la cultura di un’organizzazione è necessario andare ad analizzare i valori inconsapevoli che spingono le azioni degli individui. Shein sottolinea spesso quanto sia difficile comprendere a pieno i valori della cultura di un’organizzazione. Le capacità interpretative di uno studioso sono la chiave fondamentale per realizzare l’analisi di.

are il rapporto tra i due. Inizialmente, il clima era considerato un fattore esterno che influenzava la cultura, ma non veniva considerato come parte integrante di essa. Tuttavia, negli ultimi decenni, si è sviluppata una maggiore consapevolezza dell'importanza del clima nella formazione e nello sviluppo delle diverse culture. Oggi, la cultura viene considerata come un sistema complesso che include non solo aspetti sociali, economici e politici, ma anche il clima e l'ambiente naturale in cui si sviluppa. Questo approccio olistico ha portato alla nascita di nuovi metodi di analisi che tengono conto della relazione reciproca tra clima e cultura. Uno dei metodi utilizzati per misurare l'impatto del clima sulla cultura è l'analisi delle variazioni climatiche nel corso del tempo e la loro correlazione con i cambiamenti culturali. Ad esempio, studi archeologici hanno evidenziato come le variazioni climatiche abbiano influenzato le pratiche agricole, le abitudini alimentari e persino le credenze religiose delle popolazioni antiche. Un altro metodo utilizzato è l'analisi delle rappresentazioni culturali del clima, come ad esempio le opere d'arte, la letteratura e la musica. Queste rappresentazioni possono fornire indizi sulle percezioni e le interpretazioni culturali del clima e sulla sua influenza sulla vita quotidiana delle persone. Inoltre, sono stati sviluppati modelli matematici e statistici per valutare l'impatto del clima sulla cultura. Questi modelli prendono in considerazione una serie di variabili, come la temperatura, le precipitazioni e la vegetazione, e le correlano con dati culturali, come la lingua, le tradizioni e le pratiche sociali. In conclusione, misurare una cultura significa considerare il clima come un elemento fondamentale nella sua formazione e nello sviluppo. I metodi utilizzati per analizzare il rapporto tra clima e cultura sono diventati sempre più sofisticati e multidisciplinari, consentendo una comprensione più approfondita di come questi due fattori si influenzino reciprocamente.
Dettagli
Publisher
A.A. 2003-2004
16 pagine
1 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/09 Sociologia dei processi economici e del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia delle organizzazioni e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Rossi Luigi.