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Il problema della coolness

Il problema della coolness sta nella coesistenza tra dimensione individuale e sociale: essa, attraverso unostile personale, permette la creazione dell'identità di gruppo. È cool ciò che è esclusivo, ma che allo stesso tempo è diffuso a livello massiccio. È una bipolarità interessante e difficilmente risolvibile. Inoltre, non va dimenticato che la coolness nasce come contestazione simbolica dei valori dominanti, in una dimensione mainstream conflittuale, che dà la convinzione di essere estranei ai consumi del sistema e che mantiene quindi l'illusione dello scontro tra nicchia e massa.

La coolness è legata senza dubbio all'habitus degli agenti sociali, prodotto delle condizioni sociali legate ad essi, ma è anche contemporaneamente, come abbiamo visto, posta in gioco del campo. È oggetto di competizione tra i diversi agenti, che ne vogliono assumere il controllo, in una lotta per il monopolio di questo potere.

simbolico da parte di diversi consumatori competenti e concorrenti.

L'origine delle mode

L'azione che origina la moda parte da un gruppo ristretto di innovatori (che possiedono prestigio nel campo) e si diffonde attraverso i rapporti interpersonali e i canali di comunicazione (marketing, media, pubblicità) come un virus verso porzioni sempre più ampie della popolazione. L'origine della moda e il suo prêt-à-porter cambiamento (specie con l'avvento del è un problema dibattuto nella sociologia. Si è tuttavia affermata l'idea che alla base della diffusione della moda stia un modello verticale, che diffonda le tendenze dalle classi sociali superiori a quelle inferiori o viceversa.

Il modello del trickle-down afferma che l'innovazione ha origine al vertice della piramide sociale e che poi gocciolamento si diffonde per verso le altre classi sociali, che cercano nell'imitazione dello stile di elevarsi socialmente. È solo

in società con una mobilità sociale fluida che i vestiti perdono la loro marca di classe e possono dunque essere imitati dalle classi inferiori: si può allora affermare che la moda nasce nellamodernità. Tale modello è sostenuto dai due grandi teorici Simmel (1911) e Veblen (1899). Tuttavia altiquest'ultimo afferma che l'imitazione delle classi inferiori è solo parziale, perché le riproduzioni degli stili copiadevono essere necessariamente scadenti (i materiali di sono peggiori). Così le classi alte, nel loro continuo sfoggiare vestiti nuovi e dispendiosi, affermano la propria dominazione, e le altre classi sono costrette ad una mera imitazione che non è messa in discussione, nel tentativo di pareggiare il dominio delle classi alte (il che, inevitabilmente, non accade). Lo psicologo Flügel (1930) conferma che è la competitività a spiegare la moda e che dunque essa è possibile solo nellesocietà con una forte mobilità sociale. Tuttavia, la sua visione si distacca da quella simmeliana per due aspetti: egli ritiene che la moda possa avere origine anche in altri ambiti che nelle classi alte (sostiene l'importanza della moda giovane, attenta allo spirito del tempo) e ritiene che la moda sia legata anche ad una scelta individuale, non legata necessariamente a questioni sociali (se, ad esempio, una moda non piace al popolo, questo non la emula). In questo senso, il pensiero di Flügel si lega al modello trickle-down, ma se ne distacca anche parzialmente, anticipando i modelli successivi. L'alternativa al modello trickle-down è il modello bottom-up, che, sempre sull'asse verticale della società, afferma esattamente il contrario. I sostenitori di questa teoria, come Polhemus (1994), infatti, affermano che gli stili emergono dal basso e dalle minoranze (adolescenti, subculture) e risalgono la piramide sociale. La sociologa Crane (1999),paragona i due modelli, sottolineando come entrambi siano eccessivamente radicali. Entrambe hanno il merito di aver posto l'attenzione sul ruolo dei media nell'accelerazione della diffusione trickle-down, delle mode, ma entrambi hanno dei punti di errore. Il modello bottom-up, come i jeans e lo stile-punk, che sono innegabilmente nati dal basso. Il modello top-down, invece, è esageratamente generoso verso il ruolo delle minoranze: è vero che spesso esse sono oggetto di ispirazione da parte della moda, ma è vero anche che queste sono poi rielaborate e ricostruite dagli stilisti (così, i jeans subiscono modifiche nel tessuto). Blumer (1969) offre un'alternativa ai due modelli, nel ritenere la moda il risultato di un processo di selezione collettiva: in pratica, è il gusto della popolazione (nel suo complesso) a decretare il successo e la diffusione di alcuni capi rispetto ad altri. La moda va esclusa dai processi distratificazione sociale, perché la scelta segue una logica propria. Se è però vero che il merito di Blumer è di aver introdotto l'elemento della moda, è altresì necessario porre dei limiti alla sua visione, dato che l'elemento sociale è essenziale e modelli intermedi sono imprescindibili. Tra gli altri (quelli che non sostengono né Simmel né Polhemus), vanno citati quello di Bourdieu (2001), collegato agli habitus (la moda è l'espressione del gusto e del capitale culturale di ogni agente) e quello di Wiswede (1971), che elimina l'asse verticale e afferma che la moda contagia la società a partire da punti intermedi (classe media) senza seguire dinamiche necessariamente lineari (sia classi alte che classi basse). Interessante è anche il pensiero di Crane (1999): questa non credete che i modelli trickle-down e bottom-up si autoescludano. In realtà, si tratta di due modelli validi per due fasi della moda.classe,storiche separate: il primo fino agli anni '60, adatto a descrivere il sistema della alta moda; il secondo con il nuovo ruolo dei giovani e la diffusione delle tendenze, che moltiplicano gli stili. Prima degli anni '60, il sistema della moda funziona secondo una logica centralizzata, in cui Parigi e i suoi alticouturiers haute couture dettano legge al resto del mondo, nel sistema della alta moda. Quella degli anni '60 è una vera e propria rivoluzione culturale: il sistema risulta scarsamente flessibile e disposto a prêt-à-porter stare al passo con i nuovi consumatori e nasce allora il sistema del prêt-à-porter, in una linea generale di razionalizzazione della produzione. Parigi perde il proprio primato, con l'avvento di altri poli della moda mondiale a fare concorrenza (Milano, New York, Tokyo). Con l'avvento dello fast fashion occorre allora dedicare più tempo per pianificare l'industria in base ai gusti dei consumatori ed è qui che nascel'antesignano del fashion forecasting è il sistema del coolhunting, attività per prevedere le tendenze. Si affermano allora i bureaux de style, strutture di ricerca esterne alle imprese della moda nelle quali un team di ricercatori raccoglie informazioni e materiali relativi al cambiamento dell'immaginario collettivo, nel tentativo di prevedere i colori e i tessuti che si affermeranno (quaderni di tendenza); e le Trend Agency, con un approccio maggiormente di mercato, nell'analisi dei dati di vendita e dei mercati internazionali. Il coolhunting è un'attività che si pone in continuità con il fashion forecasting nella ricerca delle nuove tendenze della moda, ma se ne distacca anche, nel senso che ad un'attività totalmente endogena (all'interno del sistema-moda), esso affianca e valorizza un'attività di ricerca esogena, orientata agli stili di vita e all'intercettazione degli sviluppi culturali. È in questo senso che ilcoolhunting si propone come pratica eretica: trickle-down. Così sovverte il tradizionale modello e porta gli stili delle periferie sul tavolo degli stilisti, spostando le tendenze ad un livello socio-culturale e sfidando così la natura auto-referenziale della moda. Bourdieu applica la nozione di campo alla moda: così, gli agenti che partecipano al campo tentano di legittimare la propria posizione all'interno della moda o di conservare tale posizione già acquisita. Con prêt-à-porter, entrano in campo l'avvento del campo si trasforma radicalmente ed anche i mass-media e i consumatori, il campo del consumo. È in questo contesto che la conoscenza delle tendenze emergenti assume un'importanza fondamentale nella possibilità di controllare il campo stesso e di ottenere un vantaggio reale sul mercato. Che rappresenti un profitto economico (aziende) o una leadership simbolica (coolness cittadini), il campo della moda.

La Genesi di un'eresia: biografia sociale del coolhunter

Nel campo della moda, dunque, la ricerca tendenze non è un fenomeno nuovo, ma una pratica consolidata fashion forecasting che ha le proprie origini nel degli anni '70. Il termine coolhunting va invece ad indicare bureaux de style, delle attività di osservazione in parte in linea di continuità con questa tradizione dei in parte distaccate sia per metodo che per ambito (non solo limitate all'abbigliamento).

Il coolhunting, nonostante sia un fenomeno recente, ha già un'ampia che ha creato una prima ed embrionale definizione del fenomeno, creando nel coolhunter l'immagine di un giovane giramondo a caccia di cool oggetti e persone. Si tratta ovviamente di una definizione da prendere con le pinze, essendo una prodotto mentale rappresentazione sociale del fenomeno (un di più agenti in tempi diversi). Come abbiamo visto, è The New Yorker.

Malcolm Gladwell a battezzare questo insieme di pratiche in un articolo sul del1997, in cui evidenzia tre leggi del fenomeno:
  1. più veloce è la caccia, più veloce sarà la fuga: in pratica, quanto più velocemente il coolhunter – trend innovators individuerà le nuove tendenze/stili, tanto più velocemente i si sposteranno verso una nuova tendenza/stile;
  2. il cool può essere solo osservato e non prodotto: va sottolineato che molti operatori nel campo della moda sono contrari a quest'affermazione;
  3. per riconoscere ciò che è cool bisogna essere cool: il coolhunter deve così essere giovane ed integrato nella società (deve avere gusto, disponibilità a viaggiare, conoscenza del territorio) per poter indagare i suoi simili.
Si contrappongono una visione intuitiva del coolhunter, quella di chi individua nella curiosità e nell'istinto idi marketing punti cardine dell'osservazione.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
8 pagine
3 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sofia_polly di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della cultura e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Pedroni Marco.