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VINCENTE MINELLI
Figlio di una famiglia di attori girovaghi, inizia fin dall’infanzia a lavorare nel mondo dello
spettacolo. Nel 1940 viene chiamato dal produttore della MGM. Nell’arco della sua carriera
spazia dalla commedia al melodramma, anche se il terreno a lui più congeniale è soprattutto
quello del musical. Il regista esplora il rapporto tra mondo reale e immaginazione. (es. Mago di
Oz).
REGISTI IMMIGRATI
Alcuni registi immigrati tornarono in Europa poco dopo l’Armistizio, ma altri prosperarono a
Hollywood. Il successo maggiore arrise ad Alfred Hitchcock. Fritz Lang continuò a realizzare
sobri e cupi film di genere che emanavano un malessere al limite della paranoia. Billy Wilder
divenne un regista di primo piano soprattutto per i suoi drammi carichi di ironia e per il cinismo
delle sue commedie a sfondo erotico.
ALFRED HITCHCOCK
Hitchcock continuò per tutta la sua carriera a essere un abilissimo manipolatore del sonoro e
un regista capace di inquadrare e montare le scene in modo da lasciar intuire i pensieri dei
personaggi. L’impiego delle soggettive dei personaggi sarebbe rimasto un tratto caratteristico
del suo stile, come lo humour.
La sua immagine del “maestro del brivido” fu sfruttata con astuzia in molteplici canali, come
trailers-conferenza, una rivista di mistery e una serie televisiva di cui Hitchcock presentava
personalmente ogni episodio con la sua caratteristica flemma e il suo humour nero. Il regista
mirava a una reazione pura, quasi fisica: il suo fine era la suspense non l’orrore o il mistero.
Molti critici ritengono che Hitchcock abbia vissuto il suo periodo d’oro nel dopoguerra. Delitto
per delitto utilizza un teso montaggio alternato per dividere le nostre simpatie tra l’eroe e il
cattivo. Hitchcock aveva un enorme fiuto nel cogliere i desideri del pubblico: Psyco scatenò
diversi cicli di film su folli assassini. Gli uccelli del 1963 anticipava gli horror centrati sulla
vendetta della natura.
PSYCO dopo il successo del dispendioso Intrigo Internazionale del 1959 prodotto della MGM,
Alfred vira verso un impianto quasi minimalista con Psyco del 1960, film a basso costo che si
rivelerà comunque un altro campione d’incassi. Nel rivisitare il genere thriller, il maestro della
suspense segna una tappa fondamentale della storia del cinema, il cui impatto è concepibile
solo grazie all’unione strategica di musica e immagine. Il senso di instabilità angosciante che
perdura nel corso di tutto il film viene stabilito proprio a partire dall’impronta sonora dei titoli di
testa. Questo progetto estetico si svela pienamente nella sequenza della doccia, eletta a vero e
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proprio topos audio-visivo dell’irrazionalità. L’insistenza della macchina da presa sui primi piani
conferisce un senso di claustrofobia.
VERTIGO apparso nel 1958, la donna che visse due volte costituisce una vera e propria
vertigine stilistica. In questo film tutte le componenti espressive sono volte a rafforzare,
l’ambiguità della perdita, metaforicamente espressa dalla paura del vuoto e dell’altezza. Si
carica di un persistente senso di colpa che conduce il protagonista alla paralisi. L’incapacità di
agire di Scottie è particolarmente evidente nella relazione con il femminile. L’abilità del regista
è quella di suggerire questo doppio e contrastante movimento, che è pure all’origine della
vertigine, con un procedimento filmico complesso formato da un carrello all’indietro unito a uno
zoom in avanti, e di rafforzarlo attraverso l’immagine ricorrente della spirale. Nel passaggio
emotivo dello sfaldamento dell’identità del soggetto è riflesso dall’uso del colore: la dominanza
del rosso, nella scena del ristorante in cui Scottie vede per la prima volta Madeleine che dà
inizio alla sua performance, cede più avanti a una variazione di tonalità verdi più fredde che
alludono alla fluidità, al sottile confine tra vita e morte. Ma ciò che conferisce all’opera un
carattere unitario è lo stile che si affida in particolare all’uso consapevole e reiterato della
soggettiva. Fin dalla prima sequenza lo spettatore è invitato a condividere con il protagonista
l’esperienza della vertigine.
BILLY WILDER
Negli USA comincia Wilder a collaborare alla stesura di soggetti e sceneggiature per registi del
calibro di Ernst Lubitsch e Howard Hawks, stabilendo poi un felice sodalizio alla Paramount con
lo scrittore Brackett. A partire dagli anni Quaranta, Wilder decide di dirigere lui stesso sulla
base delle sceneggiature nate dalla collaborazione con Brackett. Nei suoi primi lavori emerge
una doppia attitudine drammaturgica che contraddistinguerà tutta la sua produzione,
costantemente sospesa tra due mondi: da un lato il dramma che trova nel noir il campo
d’elezione per scandagliare le contraddizioni del sogno americano, dall’altro la commedi,
genere solo in apparenza più leggero, in realtà anch’esso strumento privilegiato per osservare
e denunciare le illusioni e le mitologie ricorrenti nelle dinamiche sociali.
Il cinema di Wilder è affollato da figure di vinti, emarginati, la cui presenza sottolinea
l’esasperazione d un individualismo che porta a una tensione inevitabile verso la morte. In
Wilder, tuttavia, il colpevole finisce per essere l’elemento chiave in grado di assicurare la
sopravvivenza alla società, che ha sempre bisogno di un capro espiatorio.
Sono gli anni della crisi dell’industria cinematografica del dopoguerra e Wilder punta a mettere
in evidenza le contraddizioni interne al sistema sociale, arrivando a mostrarle anche attraverso
il rispetto quasi esasperato delle sue regole di funzionamento come in Arianna e in Sabrina.
L’apparenza ingannevole della realtà raggiunge uno dei suoi vertici nell’inversione dei ruoli
sessuali alla base di A qualcuno piace caldo. Riesce a mettere a nudo le contraddizioni della
contemporaneità.
ORSON WELLES VS HOLLYWOOD licenziato dalla RKO dopo L’orgoglio degli Amberson, Welles
divenne un regista errante: produsse gran parte delle sue opere con fondi racimolati tramite
finanziatori europei e grazie a proventi delle sue apparizioni come attore. Continuò ad adottare
la tecnica dell’uso gotico chiaroscuro, profondità di campo, colonne sonore di devastante
potenza, improvvisi stacchi, accavallarsi e interrompersi del dialogo, labirintici movimenti di
macchina.
IL TEATRO Orson Welles proveniva dagli ambienti del teatro progressista di New York, così
come parecchi registi che come lui approdarono a Hollywood. Durante gli anni Trenta il Group
Theatre trapiantò in America il “metodo” naturalistico di recitazione insegnato da Stanislavskij
al Teatro d’arte di Mosca. Il principale allievo del Group era Kazan. Dopo la guerra Kazan e due
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colleghi di NY fondarono l’Actors Studio, nella convinzione che il metodo di Stanislavskij
richiedesse all’attore di radicare la sua performance in esperienze personali: l’improvvisazione
era una strada verso una recitazione naturale, anche se a volte si rivelò dolorosa e non priva di
rischi. La concezione di Kazan trovò in Marlon Brando il suo principale esponente. Il metodo
avrebbe avuto un’enorme influenza su hollywood attraverso Kazan, Brando, James Dean, Karl
Malden e altri membri dell’Actors Studio.
12. IL NEOREALISMO (1945-1954)
Il neorealismo fu un importante fenomeno cinematografico che si affermò in Italia in quegli
anni. Pur non essendo un movimento così compatto come si è a lungo pensato, senza dubbio
creò un diverso atteggiamento nei confronti del cinema di finzione ed ebbe enorme influenza a
livello internazionale. I film intendevano confrontarsi con i gravi problemi lasciati in eredità dal
secondo conflitto mondiale, raccontano vicende ispirate dalla cronaca e dall’attualità del
momento, narrate secondo logiche assai distanti da quelle tradizionali. Per i neorealisti il
cinema si rivelò uno strumento prezioso per scoprire la realtà circostante coinvolgendo in
questo processo conoscitivo anche il pubblico, chiamato a esercitare un ruolo più attivo e
consapevole di quello abitualmente riservatogli. Il neorealismo nacque in un’Italia distrutta
dalla guerra, industria completamente distrutta, non c’era più cinecittà o produttori e si
sviluppò senza appoggio di attori veri e scenografie spettacolari fino al 1953 quando venne
ricostruita Cinecittà e tutto il potere passò alla Democrazia Cristiana che procedette per un
cinema più americano.
Molte case di produzione dopo la guerra dovettero ridimensionarsi. Mentre i produttori
lottavano faticosamente per sopravvivere, il cinema neorealista si impose come una forza di
rinnovamento culturale e sociale. Durante il declino del regime fascista, nella letteratura e nel
cinema era affiorato un impulso realista (“seguendo il passo lento e stanco dell’operaio che
torna alla sua casa”). Dopo la liberazione, nella primavera del 1945, la gente d ogni classe
sociale divenne ansiosa di rompere con il passato, i registi italiani furono pronti a farsi testimoni
di quella che fu chiamata la “primavera italiana”. Gli studi di Cinecittà avevano subito pesanti
danni durante la guerra e non erano in grado di ospitare grandi produzioni, per cui i cineasti si
spostarono nelle strade e nelle campagne, le troupe potevano girare in esterni e registrare il
dialogo in seguito. Roma città aperta era ispirata a eventi reali avvenuti nell’inverno 1943-44. Il
film rappresenta la Resistenza come un’alleanza tra comunisti e cattolici a fianco della
popolazione.
L’INIZIO Nella trilogia pre-neorealista (4 passi tra le nuvole, Ossessione, I bambini ci
guardano) è la volontà di cogliere le profonde contraddizioni sociali finora occultate sui nostri
schermi. Il termine neorealismo viene impiegato per la prima volta a proposito di Ossessione.
Secondo una tradizione consolidata, l’atto di nascita del neorealismo coincide con Roma città
aperta che rinvia ad avvenimenti depositati nella memoria degli abitanti della capitale, in modo
però da proporre una lettura della resistenza come un fenomeno unitario, capace di cancellare
le profonde divisioni interne al Paese.
PAISA’ frutto di una lavorazione assai travagliata ma non priva di una certa disponibilità di
mezzi tecnici e finanziari, Paisà presenta il rapporto tra civili italiani e militari alleati all’insegna
di una comunicazione difficoltosa ma non impossibile. Quinto lungometraggio diretto da
Rossellini, è anche uno dei film più rappresentativi della dinamica neorealista, forse in assoluto
quello che meglio ne esemplifica alcune caratt