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Per questo motivo gli asili nido e la scuola dell’infanzia possono essere definiti come:
luoghi di intercultura → spazi sociali significativi dove bambini e adulti, autoctoni e
immigrati sperimentano modalità di relazione e di convivenza interculturali.
Negli ultimi anni questo ruolo delle scuole è stato potenziato grazie anche alla formazione
interculturale degli insegnati che permette loro di usare strategie efficaci e ben mirate
Continuità educativa tra nido e scuola dell’infanzia → Nido e scuola dell’infanzia hanno
molti aspetti in comune soprattutto per quanto riguarda la valorizzazione della soggettività
e dell’individualità del bambino, anche dei più piccoli. Infatti anche bambini molto piccolo
sono perfettamente in grado di interagire sia con gli altri bimbi sia con gli adulti, non sono
oggetti passivi, ma soggetti attivi, autori del proprio sviluppo.
Però questi due luoghi educativi sono comunque separati infatti ognuno dei due ha uno
specifico modello organizzativo anche se lo scopo delle pratiche educativi è
sovrapponibile.
Il compito della scuola dell’infanzia è quello di accompagnare ogni bambina e ogni
bambino verso la costruzione della propria identità.
L’asilo nido invece accoglie bambini piccolissimi e veglia su i primissimi approcci sociali e
sulla relazione bambino-adulto.
Capitolo 2. L’infanzia immigrata: un segmento dai molteplici volti
Un mosaico di vissuti diversi → la maggior parte dei bambini di origine immigrata è nata in
Italia da genitori immigrati, ma ci sono anche altre situazioni:
Bambini che sono arrivati con la famiglia
• Bambini che sono arrivati tramite percorsi di ricongiungimento familiare
• Figli delle coppie miste
• Bambini adottati
• Figli dei richiedenti asilo o rifugiati
•
Siamo davanti a una grande eterogeneità e questo rimanda all’idea di un mosaico dove le
tessere sono formate da storie e biografie molto differenti, ma tutti accomunate da alcuni
elementi:
Bisogno di costruire un’identità sfaccetta e un senso di appartenenza non esclusivo
• Solitudine
• Difficoltà di inserimento sociale dei genitori
• Affrontare la sfida della conciliazione tra due mondi culturali diversi: quello della
• famiglia e quello attuale. Spesso la famiglia non accetta che i figli vivano secondo i
valori del paese di inserimento e questo può dare vita a situazioni complessi e
difficili che non fanno altro che aggravare il quadro di questi bambini e adolescenti
Nessun bambino è straniero → definire i figli degli immigrati come bambini stranieri,
immigrati o anche extracomunitari è molto frequente soprattutto per via dei mass media
che usano quotidianamente questi termini, ma è qualcosa che andrebbe evitato perché
non fa altro che enfatizzare, negativamente, le differenti caratteristiche etniche e culturali e
a categorizzare le persone sulla base di semplificazioni.
Non ci rendiamo conto delle conseguenze che queste parole possono avere sui bambini.
I bambini nati in Italia non sono immigrati infatti l’esperienza migratoria non è qualcosa che
si trasmette per discendenza.
Definirli stranieri li fa sentire esclusi, come se non potessero appartenere alla nostra
società. La percezione di sé ne risente e possono sopraggiungere bassa autostima,
ribellione, rabbia, depressione.
Tutti uguali, tutti diversi → i bambini hanno tutti gli stessi diritti e dal punto di vista giuridico
sono uguali, non ci sono differenze di alcun tipo.
Dal punto di vista umano invece ogni soggetto è unico e irripetibile, con caratteristiche
individuali che nessun altro ha. Questo deve essere tenuto sempre a mente dagli
educatori e dagli insegnanti perché solo così possono svolgere in modo adeguato il loro
compito.
I bambini vanno educati fin da subito alla diversità e questo è dimostrato che anche i più
piccoli si rendono conto delle diversità, ma non accompagnano questo dato di fatto ad
alcun pregiudizio. Ciò avviene solo se sono stati influenzati negativamente dagli adulti
Capitolo 3. Cittadini e non cittadini
I diritti dell’infanzia → a livello formale, non essere cittadini italiani non dovrebbe impedire
ai bambini di godere dei diritti proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti umani del
1948 e dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza stabiliti dalla Convenzione omonima di
New York del 1989.
Questa Convenzione ha una valenza giuridica che impone agli stati che hanno aderito
(193 tra cui l’Italia=27 maggio 1991 con la legge n°176) di uniformare le norme del diritto
interno a quelle della Convenzione. → tutti i bambini e gli adolescenti senza alcuna
distinzione di sesso, colore, razza, religione, lingua, cultura hanno gli stessi identici diritti.
Tra i vari diritti vi sono:
Diritto alla vita
• Diritto alla salute e di accedere al servizio sanitario
• Diritto di esprimere la propria opinione
• Diritto a essere informati
• Diritto di nome
• Diritto alla nazionalità
• Diritto ad avere un’ istruzione
• Diritto a giocare
• Diritto a essere tutelati dallo sfruttamento e dagli abusi
•
L’Italia inoltre con la legge n°46 dell’11 marzo del 2002 ha inoltre ratificato i Protocolli
opzionali della Convenzione approvati dall’ONU nel 2000, uno relativo alla tutela dei
bambini coinvolti nei conflitti armati e l’altro relativo alla tutela dei bambini coinvolti nella
prostituzione minorile.
L’Italia avendo aderito alla Convenzione accoglie il principio che i bambini figli di immigrati
sono per prima cosa esseri umani e come tale sono portatori di diritti e di doveri che nulla
hanno a che vedere con la nazionalità e la provenienza. Non ci sono bambini che devono
avere più diritti degli altri.
Il problema però è che, a livello pratico, chi non possiede la cittadinanza italiana si trova
più esposto all’esclusione sociale e culturale anche se sulla carta non dovrebbe essere
così.
Le origini di una legge anacronistica → a livello giuridico la cittadinanza è la condizione
della persona fisica chiamata cittadino a cui l’ordinamento giuridico di uno Stato riconosce
pieni diritti civili e politici.
Le persone che non hanno la cittadinanza di uno Stato, ma ne possiedono un’altra
vengono definiti stranieri.
Le persone che sono prive di qualsiasi cittadinanza vengono definiti apolidi.
Cittadino → persona che vive con altre persone in una data società al di là della sua
cittadinanza giuridica. Questo vuol dire che sarebbe il caso di elaborare una concezione
globale della cittadinanza, non si è cittadino di uno Stato o di un altro, ma del mondo.
Questo si adatterebbe perfettamente alla società multiculturale in cui stiamo vivendo, ma
purtroppo a livello giuridico ciò non accade.
L’Italia è uno degli Stati europei in cui è più difficile acquisire la cittadinanza. Prevale il
principio dello ius sanguinis → la cittadinanza si trasmette da genitore a figlio.
Come si diventa cittadini italiani → la cittadinanza può essere acquisita su richiesta
dell’interessato in tre modi diversi:
1. Per nascita e residenza continuativa fino alla maggiore età → cittadino straniero
nato in Italia e residente legalmente fino alla maggiore età acquista la cittadinanza
italiana se entro i diciannove anni chiede di farlo. La domanda può essere fatta solo
dopo aver compiuto i 18 anni e non è sempre scontato l’esito. La normativa
prevede anche la possibilità per il minore straniero nato in Italia di acquisire in
automatico la cittadinanza qualora essa sia già stata acquisita dal genitore per
naturalizzazione, ma si tratta ancora di pochi casi.
2. Per matrimonio → il coniuge straniero del cittadino italiano acquista la cittadinanza
quando ha la residenza da almeno due anni nel territorio dello Stato dalla data di
celebrazione del matrimonio o dopo tre anni se risiede in uno Stato estero. I tempi
sono ridotti della metà se ci sono figli nati o adottati.
3. Per naturalizzazione → si tratta di una concessione da parte dello Stato che, dopo
la richiesta del soggetto, valuta il suo grado di integrazione, la sua possibile
pericolosità sociale, la sua condizione economica e può concedere la cittadinanza
a:
-Cittadino straniero non comunitario soggiornante da almeno 10 anni
-Cittadino comunitario soggiornante da almeno 4 anni
-Straniero che possiede lo status di apolide o rifugiato ed è soggiornante da almeno
5 anni
- Cittadino straniero che abbia prestato servizio, anche all’estero, alle dipendenze
dello Stato italiano per almeno 5 anni
- Cittadino straniero che abbia reso importanti servizi al Paese
Capitolo 4. Costruire una cittadinanza al plurale
Il carattere plurale della società moderna ha sollecitato il dibattito sul multiculturalismo.
Uno dei punti fondamentali del dibattito, legato al concetto di educazione, riguarda il
bisogno di costruire una cittadinanza fondata sull’idea di appartenenza al plurale. Ogni
persona non deve per forza sentirsi appartenente a una sola cultura, ma può sentirsi
vicino sia alla cultura di origine e sia a quella del paese di accoglienza.
La funzione della scuola nella promozione della cittadinanza → i semi per la costruzione
di una nuova cittadinanza vengono gettati e coltivati fin dalla prima infanzia.
Educare alla cittadinanza vuol dire insegnare le regole per convivere in modo pacifico
accettando la diversità
Costruire un’identità plurale → la costruzione della cittadinanza con la crescita si evolve ed
è influenzata dal gruppo dei pari, dai genitori, dalle istituzioni frequentate, dalla società.
Questo è un processo che non si concluderà mai nel corso della vita, la costruzione
dell’identità infatti è sempre attiva e si modifica mano mano che si entra in contatto con gli
altri e si instaurano nuove relazioni.
Il processo di costruzione dell’identità oggi appare molto complesso perché i riferimenti
sociali e culturali sono più ampi rispetto al passato e quindi l’individuo deve imparare a
tenere uniti vari aspetti della sua esistenza che a volte sono anche in contrasto tra loro.
I bambini figli di immigrati vivono questo processo con ancora più difficoltà perché spesso
si trovano a scontrarsi con i desideri dei genitori che li vorrebbero vicini alla cultura di
appartenenza mentre loro vorrebbero vivere secondo i valori della cultura della società di
accoglienza. Questo può portare a un disorientamento, a atti di ribellioni, a sofferenze dal
punto di vista ps