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Il fondamento oggettivo del diritto va ricercato nel suo fine: il fine è la ragion d’essere. Il diritto non

avrebbe ragion d’essere se per regolare la convivenza bastasse la “legge della giungla”, cioè l’assenza di un

diritto. Come ogni strumento che deve raggiungere uno scopo, anche il diritto andrebbe progettato ed

utilizzato razionalmente ed una scienza del diritto potrebbe affiancare la filosofia del diritto a questo scopo.

Nei processi decisionali che sono di interesse per la filosofia del diritto si distinguono diversi decisori e tipi

di decisioni:

-i legislatori decidono le leggi; -i singoli soggetti giuridici (cittadini) che vivono in una società soggetti a certe

leggi decidono come perseguire i propri obiettivi; -le autorità di governo decidono come controllare; -i

giudici decidono se e come punire le eventuali violazioni della legge.

Potere legislativo ed esecutivo: al legislatore compete adottare decisioni strategiche, di lungo termine,

mentre, l’azione di governo deve essere in grado di rispondere in modo rapido alle circostanze, nel rispetto

dei limiti imposti dalle leggi stabilite dal legislatore. Pertanto è importante che i due ruoli condividano uno

stesso modello del sistema complesso su cui agiscono. Condividere un modello significa condividere

anzitutto un metodo di lavoro, un linguaggio comune, un’impostazione culturale.

Poiché la stabilità delle leggi è condizione indispensabile per dare stabilità a tutte le relazioni sociali ed

economiche, l’adeguamento della legge alla realtà deve essere perseguito con una saggia divisione dei

compiti tra decisori con orizzonti temporali diversi e competenze diverse: una legge robusta e tempestiva

dovrebbe specificare che esiste un elenco aggiornato da un’autorità competente con una certa frequenza e

in base a dati criteri, a seconda del mutare di una certa situazione.

Potere giudiziario: il magistrato è chiamato ad applicare una legge generale ed uguale per tutti ad ogni

singolo caso specifico, diverso di volta in volta. Egli deve costruirsi un modello del fatto e del contesto

oggetto di giudizio. Il giudice, come il ricercatore operativo, ha un piede nella teoria (le leggi) e l’altro nella

pratica (i fatti da giudicare). Ciò che caratterizza un buon giudice non solo è la conoscenza delle leggi, ma

l’abilità nel costruire modelli di fatti reali che siano coerenti con i dati disponibili e confrontabili con le leggi.

Esistono inoltre dei casi nei quali il giudice è chiamato a completare la legge, e, quindi, la sua azione tende

ad affiancarsi a quella del legislatore con l’evidente pericolo che il “diritto creativo”, esercitato dai giudici,

sovrascriva o contraddica in casi concreti ciò che viene prescritto dalle leggi. Questo problema è diventato

argomento di scontro tra le due scuole di pensiero, formalista e anti-formalista.

Anzitutto una buona legge esprime il limite, stabilendo chi e come lo deve colmare. Poiché il legislatore non

può prevedere tutto a priori, egli dovrebbe essere consapevole di lavorare su un modello semplificato della

realtà e che pertanto la legge che produce non potrà essere applicata acriticamente. Deve essere la legge

stessa perciò ad assegnare al giudice un ruolo attivo e non di mero esecutore, circoscrivendone il campo

d’azione. Ma a ben vedere la situazione attuale è lontana da un approccio razionale.

In un approccio modellistico ogni decisione nel campo del diritto dovrebbe essere accompagnata da una

definizione del modello che la genera o la supporta o la giustifica. La responsabilità più grande è di chi

decide il modello, più che di chi prende la decisione. Ogni modello è imperfetto per definizione: considera

qualcosa, tralascia altro. Cosa considerare e cosa tralasciare è una scelta di cui qualcuno si deve prendere la

responsabilità. Se la responsabilità è verso la società, la definizione del modello è un compito politico: il

politico dovrebbe acquisire competenze modellistiche senza delegarle a tecnici irresponsabili ed il tecnico

dovrebbe sapersi assumere responsabilità pubbliche senza delegarle a politici incompetenti.

Concludendo: abbracciare in ambito giuridico un metodo modellistico, comporterebbe una rivoluzione

culturale e metodologica. Ogni legge dovrebbe avere una scadenza ed essere sottoposta a verifica

periodica: ciò significherebbe che ogni legge dovrebbe essere accompagnata dalla descrizione dei riscontri

concreti e oggettivi in base ai quali essa deve essere validata. Vorrebbe dire che i giuristi dovrebbero

adottare i linguaggi delle altre discipline, o comune, invece di esprimersi in un gergo da iniziati. 22

5.Considerazioni finali.

La conclusione è che non ci mancano le certezze, bisogna solo saperle cercare nel posto giusto e nel modo

giusto. La nostra ragione è cosciente di sé stessa e quindi può auto-esaminare con spirito critico i propri

modelli, i propri processi e le conseguenti decisioni. Questo è un fondamento naturale della razionalità.

Ciò che invece oggi viene messo in crisi davvero e in modo irreparabile, è l’approccio assiomatico-

ideologico su cui il diritto si fonda e che si dimostra del tutto inadeguato ad affrontare la complessità

odierna. In realtà si potrebbe sviluppare la filosofia del diritto in una scienza/ingegneria del diritto.

Un approccio modellistico al diritto, consentirebbe di risolvere il problema dell’auto-fondazione del diritto.

L’approccio assiomatico-ideologico seguito finora si rivela insufficiente ed un grande merito della nostra

epoca è quello di aver svelato tale insufficienza metodologica. In un approccio modellistico il fondamento

certo del diritto sarebbe basato più sul suo metodo e sul suo fine che sui suoi contenuti.

La razionalità di una legge o di una decisione non si fonderebbero sulla verità degli assiomi da cui sono state

derivate, bensì sulla razionalità del fine per cui sono state progettate e del metodo modellistico-

sperimentale utilizzato per formularle.

Volendo ipotizzare una scienza del diritto, essa dovrebbe avere tra le sue caratteristiche metodologiche

quelle di essere aperta e sempre in relazione di dipendenza dalle altre discipline e per questo motivo, per le

nuove generazioni di giuristi, sarebbe utile una formazione più quantitativa, più consapevole della potenza

e dei limiti dei modelli formali, più orientata al metodo scientifico e consapevole delle sue caratteristiche.

Razionalità giuridica e razionalità economica nell’unione europea. Un conflitto evitabile?

Giovanni Magrì

Il saggio di Magrì presenta anzitutto un prologo dedicato al racconto di Isaac Asimov, racconto che oggi

impressionerebbe più che nell’epoca in cui venne pubblicato, ovvero nel secondo dopoguerra. Asimov

racconta di uno scenario futuristico caratterizzato dalla presenza dei robot, le cui capacità superavano

esponenzialmente la possibilità dell’uomo; grazie alle macchine doveva essere garantito che la nuova

economia mondiale, basata sui robot, resterà stabile, perché le decisioni sono affidate a macchine che

hanno a cuore il bene dell’umanità. Questo prologo è inserito perché Magrì vuole presentare la peculiare

posizione dell’europa continentale che, forse nel tentativo di non ridursi ad una appendice economica dei

paesi anglosassoni, sta rinunciando, non del tutto inconsapevolmente, al patrimonio della razionalità

giuridica, generando la prosperazione di un’economia continentale svincolata da vincoli di diritto; è il diritto

europeo la vittima illustre di questa forma di rinnovamento della vecchia europa.

Magrì giunge al nocciolo del saggio, incentrato sul “rapporto” tra razionalità giuridica e razionalità

economica europea, riportando prima un esempio cardine della torsione anti-giuridica della cultura

europea attuale.

Questo esempio è dato da una pronuncia, emanata dalla corte di cassazione nel 2013, con la quale essa

conferma la condanna penale per un ex-presindente del consiglio e senatore in carica e dopo la quale si

riaccende la discussione sull’eventualità, poi verificatasi, della sua decandenza dal seggio senatoriale; in

merito a tale situazione, un autorevole professore di scienza politica, di nome Panebianco, nel denunciare

per l’ennesima volta i problemi della giustizia, scrisse importanti parole: egli mise in luce che, in materia di

giustizia, in realtà qualcosa può cambiare, ma con lungimiranza; il problema va affrontato là dove è

generato, ovvero è necessario che vengano rivoluzionati i corsi di studio di giurisprudenza, incidendo

maggiormente sulle competenze e sulle mentalità connesse di coloro i quali andranno a fare i magistrati.

Bisogna quindi equilibrare il formalismo giuridico impartito in università con competenze economiche e

statistiche e con solide conoscenze degli impianti amministrativi e giudiziari degli altri paesi occidentali, in

quanto è inaccettabile che un giudice possa intervenire su delicate questioni di finanza o di industria senza

conoscere approfonditamente finanza ed economia industriale.

Il passaggio di panebianco è chiaro nel sottolineare come il formalismo giuridico porti a trascurare la

complessità della realtà e la conoscenza di altre compentenze, e quindi la soluzione non può che

prospettarsi in direzione di una incisione sulle competenze e sulle connesse mentalità; e quale sia questa

connessione tra competenze e mentalità lo dice lo stesso Panebianco, ovvero dosi massiccie di sapere

empirico, il quale può aiutare anche in senso di interpretare il diritto in senso empirico, sottolineando la

funzione di esso come strumento di regolazione sociale. 23

Ora, questo permette di capir meglio come, specialmente in Europa, gli istituti giuridici connessi con l’idea

di sovranità non godano affatto di buona salute; e il “funzionamento” della moneta unica euro è il luogo in

cui questa difficoltà è più palese.

Magrì parla dell’euro come una moneta senza sovrano, perchè non può contare su un potere politico

legittimato a decidere in ultima istanza sul suo valore; è naturale che la scelta dell’euro può essere

considerata una errore inevitabile, più per questioni geopolitiche e internazionali, ma è anche vero che la

moneta senza sovrano consegna alla scienza del diritto pubblico e dell’economia politica un interrogativo

legittimo: che ne è della sovranità quando essa è limitata dalla politica monetaria? Dopo Maastricht, i

giuristi europei non hanno osato formulare una possibile risposta e anche per questo quell’errore

inevitabile e il colpevole ritard

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Publisher
A.A. 2015-2016
41 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sesina14 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia giuridica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Montanari Bruno.