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SECONDO CODICILLO – LINGUAGGIO E DIRITTO

Solo nella controversia si danno giusto e ingiusto così come solo nel discorso si danno vero e falso;

e poiché non si discorre né si controverse senza il medio del linguaggio, nella definizione del vero

come del giusto il linguaggio e esercita un ruolo determinante.

Più esattamente l’assertorietà del linguaggio, con la sua resistenza alla problematicità del discorrere

e del contro vertere, non è una accidentalità storica ma è la stessa determinazione dell'atto

problematico intrinseco al controvertere e al discorrere. Sicché senza l’assertorietà implicita nel

linguaggio, la leva della problematicità avrebbe un'efficacia puramente illusoria e per noi sarebbe

vano cercare di discernere il vero dal falso e il giusto dall’ingiusto.

Gentile per affrontare questo codicillo parte dalle conclusioni, non per improvvisa passione

apodittica, ma non ritenendo di essere ancora in grado di sviluppare compiutamente ed

ordinatamente il suo discorso e volendo portare all'attenzione di due esercizi dialettici ai quali si era

sottoposto per trattare il tema di linguaggio e diritto.

1) “ guardando indietro il fatto”→ l'accostamento di linguaggio e diritto è antico quanto la storia

della civiltà, sul versante della linguistica come su quello della giurisprudenza. Una citazione di

Benedetto Croce può ben rappresentare il fenomeno: “ com'è stato impossibile intendere quel che

sia veramente il linguaggio, fintanto che sono state scambiate per la realtà di esso le grammatiche

e i vocabolari, così non sarà possibile intendere il diritto, fintanto che si abbia l'occhio alle leggi e

ai codici o, ancora peggio, ai commenti dei giuristi”.

A partire dalla metà del ventesimo secolo è scoppiata tra giuristi la passione per l'analisi del

linguaggio essendo apparso immediatamente presumibile che il giurista, inteso come colui che

opera col diritto, avendo per oggetto di studio un linguaggio (quello del legislatore) ed usando nella

propria ricerca il linguaggio comune, fosse particolarmente esposto al pericolo (o meglio al peccato)

di adoperare senza scrupoli i mezzi della lingua quotidiana per fini di cui essi non sono stati

destinati e non sono adeguati.

È su questa denuncia di un presunto peccato che gentile esercita l’attenzione dialettica

L’assunto per il quale il significato di una parola non sarebbe qualcosa di intrinsecamente e

definitivamente legato ad essa, ma dipenderebbe soltanto dalle regole che per l'uso di essa sono

fissate in un sistema dato di linguaggio, sembra trovare nel discorso giuridico un campo di verifica:

non vi è dubbio infatti che alle espressioni del linguaggio giuridico non si connettano delle cose; né

per questo ci si deve preoccupare di sollevare il problema della connessione tra il linguaggio

giuridico e la realtà, quando con esso si conseguano gli scopi prefissati. Questo è quanto basta

nell'ottica operativa della scienza.

Insomma, il linguaggio giuridico non sembrerebbe asserire alcunché. Al sofisticato rovello

dell'analitico il linguaggio giuridico si rivela come finalizzato a produrre mediante l'imperativo

delle virtualità, di qui l'uso di parole che sostengono l'azione o la inibiscono, parole che influenzano

i comportamenti.

L'esperienza giuridica sembra offrire all'analitico il destro per individuare e definire un uso del

linguaggio non tanto per rappresentare la realtà, quanto per plasmarla; con la conseguenza di

escludere che per esso valga il principio in virtù del quale ogni proposizione deve essere o vera o

falsa e specularmente di affermare quale unica misura del giusto e dell'ingiusto quella dell'efficacia

o dell'inefficacia operativa.

Questo linguaggio è dunque uno strumento di controllo sociale c.d. teoria strumentale del

linguaggio giuridico.

Per Bobbio la giurisprudenza non è né scienza empirica, né scienza formare, bensì un'analisi del

linguaggio e più precisamente di quel particolare linguaggio in cui si esprime il legislatore; essa

deve trasformare il discorso legislativo in discorso rigoroso. Il giurista si collocherebbe per così dire

tra il legislatore e il giudice.

Tre sono le fasi di sviluppo della giurisprudenza:

1) purificazione: il linguaggio del legislatore non è necessariamente rigoroso, il compito del

giurista è quello di fissarne i concetti (per l'analitico il concetto non è altro che un insieme di regole

che stabiliscono l'uso della parola) → la purificazione in definitiva consiste nella sua

desostanzializzazione.

2) completamento: consiste nel trarre dalle proposizioni normative espresse, tutte le conseguenze

normative che sono da esse ricavabili in base alle regole di trasformazione fissate dal legislatore

stesso (per l'analitico un discorso è scientifico in quanto contiene in sé la possibilità del proprio

sviluppo non uscendo al di fuori di sé→ sicché per essere scientifico di, anche il linguaggio

giuridico deve raffigurarsi come una lingua chiusa). Potremmo dunque concludere che il

completamento consiste nella piena e totale esplicazione della sua autoreferenzialità.

3) Ordinamento: qui il discorso di Bobbio si inceppa. Anzitutto si può notare come l'espressione

“ordinamento del linguaggio del legislatore” , stando alle regole dell'uso delle parole stabilito

dall'analitico, dovrebbe significare “ordinamento dell'ordinamento”.

In secondo luogo colpisce la conclusione a cui l'analitico perviene: l'impossibilità di eliminare

nell'ordinamento giuridico le antinomie “ chi ha esperienza delle discussioni giuridica sa che molte

di queste sono inconcludenti perché le tesi opposte sono entrambe sostenibili avendo l'una e l'altra

una serie di argomentazioni che la sorreggono; d'altronde di antinomie si parla persino nella

matematica nella logica”.

Una via d'uscita sarebbe e cioè introducendo nel linguaggio del legislatore una proposizione presa

da un linguaggio diverso, magari secondo regole stabilite dal legislatore stesso, ad esempio col

riferimento ad un diritto naturale. Ma l'inserimento di una simile proposizione violerebbe la regola

fondamentale della chiusura del linguaggio giuridico; in questo modo l’antinomicità

dell'ordinamento invece di essere risolta verrebbe spostata ed aggravata→ non si tratterebbe più di

un'antinomia tra proposizioni nell'ordinamento, ma di un'antinomia tra le stesse regole costitutive

dell'ordinamento.

In definitiva, al termine “dell'ordinamento dell'ordinamento” l'analista del linguaggio legislativo

non può non constatare l'incapacità dell'ordinamento a mettere ordine e cioè l'incapacità

dell'ordinamento a stabilire un regolamento dei rapporti che sia diverso da quello del puro controllo

che il più forte esercita sul più debole.

Che cosa significa infatti sostenere che nessuno può costringere il potere giudiziario ad attenersi ad

una delle possibili interpretazioni del disposto legislativo se non che nessuno può contenere il

potere effettivamente esercitato?

Conclusioni del primo esercizio: nel complesso movimento di revisione critica delle scienze si è

venuta confermando e chiarendo in maniera inequivocabile la convenzionalità strutturale della

conoscenza scientifica. Ogni definizione scientifica è essenzialmente artificiale, fondata su null'altro

che una convenzione.

Più una scienza progredisce sulla via del rigore e della generalità, più il fattore convenzionalistico

appare dominante.

Non c'è nulla di strano o di particolarmente originale che anche nell'ambito degli studi sociali, e in

particolare nell'ambito degli studi giuridici, sia pensato alla desostanzializzazione della

giurisprudenza in vista della piena razionalizzazione delle relazioni giuridiche.

In chi fosse poco abituato linguaggio scientifico potrebbe sorgere il sospetto che, in un certo senso,

il convenzionalismo sia sinonimo di arbitrarietà: nulla di più sbagliato. Il vero scienziato sa per

esperienza che la massima generalità viene proprio cercata non per ridurre, ma per potenziare

l'applicabilità delle teorie; ne ebbe la percezione esatta già Hobbes quando si proponeva di

applicarlo allo studio dei fenomeni giuridici.

Il fatto è che la giurisprudenza, come analisi del linguaggio del legislatore, varrebbe solo in

quanto fosse utile strumento di controllo sociale. Ma possiamo dire che sia veramente così? le

conclusioni alle quali sembra giungere la teoria strumentale del linguaggio giuridico di Bobbio sono

deludenti.

Quale controllo sociale può infatti garantire un ordinamento giuridico insanabilmente

compromesso dalle antinomie?

La teoria della giurisprudenza come analisi del linguaggio del legislatore, mediante la quale ci si

riprometteva in un'ottica razionalista di fare del diritto uno strumento di controllo e quindi di

moderazione del potere, si trova a vestire con i panni della giuridicità il dominio del più forte.

D'altra parte, la teoria della giurisprudenza come analisi del linguaggio, in quanto inadeguata

perseguire l'obiettivo che ne costituiva la ragion d'essere, non raggiungerebbe nemmeno la dignità

di una teoria scientifica.

Sulla linea di questo paradosso si sviluppa il secondo esercizio dialettico.

2) “vedere le cose come in uno specchio” (metafora utilizzata da un notaio spagnolo per definire il

modo in cui opera il giurista pratico) → Gentile avverte la necessità di tornare ai testi dei classici

per affrontare il problema del rapporto tra linguaggio e diritto.

La constatazione degli analitici che i nomi possono indicare non tanto delle cose quanto l'uso che di

essi si fa in un contesto sociale dato, non consente di valutare e quindi di giudicare l'ordinamento

giuridico sulla base della sua corrispondenza o meno ad un diritto ideale, naturale o razionale.

Anche chi ritiene di poter affermare che sia il giusto naturale ad operare nell'ordinamento giuridico,

deve fare i conti con quanto scrive Platone nel sofista: se con i phantasmata, producendo virtualità e

chiamandole con lo stesso nome delle cose, il sofista può incantare le orecchie di chi lo ascolta; è

solo attraverso degli eikona, copie chiamate con lo stesso nome delle cose, che il filosofo apre gli

occhi di chi, libero da preconcetti, cerchi la realtà dei fatti.

Ed ecco che risulta chiaro perché la ricerca del vero prende avvio nel discorso, là dove eikona e

phantasmata sono posti a confronto e vengono dist

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A.A. 2013-2014
14 pagine
2 download
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher baldassarre20 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia della scienza giuridica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Ancona Elvio.