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Euripide, innamorato di Creusa tenta di rapirla ma viene scoperto e
incarcerato. Medea lo libera ottenendo in cambio un riparo sicuro. Medea
in Corneille è una maga esperta che con l’uso della sua bacchetta
scioglie e intreccia catene; questo risponde a un gusto barocco dello
spettacolare e del meraviglioso. Vuole protezione per smettere di usare
questi artifici poiché il dominio della natura porta disordine e scompiglio.
L’eroe corneliano si configura in un conflitto interiore tra essere ideale e
essere naturale, analogamente all’opposizione tra classicismo e barocco.
L’esibizione del nome è l’ultima tessera necessaria al disegno
dell’individualità straordinaria (“è domani che la mia arte fa trionfare il
mio odio; domani sono Medea, e vendico il mio esilio e la vostra
prigionia”). Risolve il contrasto tra eroismo ed empietà: la protagonista
trova la sua completa affermazione di individuo eccellente proprio nel
momento in cui commette il delitto. L’eroismo non va più di pari passo
con la virtù, bensì con la natura dell’anima da cui scaturisce l’azione.
L’infanticidio non viene messo in scena, ma compare solo la madre che
brandisce un coltello dopo aver compiuto il delitto. Medea non possiede
le caratteristiche proprie dell’eroe maschile, quindi per riuscire
mètis,
nell’impresa deve usare la furberia, inganno. La via dritta infatti
dolos.
non è il pugnale per una donna, ma il veleno, il La morte di Creusa
corrisponde a quella delle moglie infelici, viene avvolta nella veste con in
un cappio in cui viene coinvolto anche Creonte. I figli vengono uccisi
invece con un pugnale, arma degna di un oplita, che conferisce dignità
alla loro morte eliminando la componente dell’inganno (Medea definisce
“sacrificio” il gesto con cui li sopprime).
Ludovico Dolce: riprende il modello euripideo caricando Medea di
connotazioni negative. Preoccupato dell’educazione sociale, invita le
donne a prendere le distanze dalla protagonista dal punto di vista etico e
la ritrae come una donna interessata alla ricchezza e al prestigio sociale,
incapace di accettare un ruolo subordinato benché onorevole. Il delitto
avviene in seguito al senso di offesa scaturito dal sentimento di casta
ferito.
Seneca: delinea Medea sulla base del modello euripideo ma soprattutto
delle riscritture ovidiane. Viene esaltato il profilo dell’incantatrice e della
moglie furiosa, pertanto diviene emblema del carattere pericoloso delle
in medias res
passioni. La tragedia si apre con Medea che invoca le dee
garanti delle nozze affinchè testimonino l’offesa subita. L’uccisione dei
figli avviene in modo diverso: il primo viene pugnalato mentre vede
l’ombra del fratello che invoca vendetta; il secondo all’interno della casa.
Il personaggio di Egeo viene cancellato: questo fa pensare che l’eroina
non teme l’isolamento e i nemici, non cerca protezione. Seneca inoltre
sceglie un coro privo di caratterizzazione psicologica, di cui risulta
impossibile determinare sesso, status sociale o età. È composto da
sudditi fedeli a Giasone e ai re di Corinto, e non intrecciano rapporti con
nessun personaggio. In alcuni momenti rappresentano lo spunto per una
riflessione filosofica. L’incipit mette al centro fin da subito Medea, è lei
stessa che declama il prologo, vengono tagliati gli antefatti. Per
autarkeia,
affermare la sua indipendenza, la sua la protagonista dà sfogo
sententiae
a istinti di vendetta e di odio: le sue diventano quindi anti-
sententiae, sapientia
la si trasforma in una saggezza di segno rovesciato
(perfetta antitesi del filosofo ideale). La nutrice sembra riuscire a cogliere
furor,
il vero volto di Medea: è l’incarnazione del dell’ira. Manca del tutto
il resoconto della fine dei sovrani, il racconto del messo infatti si
concentra sull’incendio della città; è la nutrice a descrivere l’evento che
gli ha dato origine (in questo dramma la serva diventa alter ego della
protagonista). Medea fin dal prologo mette in rilievo la sua identità,
questo aveva la funzione di alludere ai fatti precedenti non menzionati,e
serviva a permettere la sicura individuazione del personaggio. I coreuti
non nominano mai il nome della donna, quasi come se questo
racchiudesse il suo carattere, l’emblema dei delitti compiuti. Il nome
principium identificationis,
diventa quindi scrigno di valori metaforici e
simbolici. Seneca ha dato importanza al nome in vari modi: spesso lo
colloca in posizione strategiche nel verso, accostato a termini pregnanti.
Medea-Metis Medomai
(nb. > “medito, macchino”). Utilizza l’inganno e
l’abilità di escogitare intrighi anche nel dialogo con Creonte in cui ottiene
di rimanere un altro giorno. Secondo l’autore la catena di rovine è stata
innescata dalla volontà umana di soggiogare il mare e l’equilibrio
machina, malum,
dell’universo. Per descriverla Seneca utilizza i termini
metus, monstrum mater
e ma esiste un divario tra la Medea che
compare sulla scena e questa descrizione: la protagonista giura a se
stessa che diventerà Medea, cioè che realizzerà il presagio di rovina e di
morte racchiuso nel suo nome. Questo si compie sono alla fine del
dramma, in cui con un lungo monologo decide e realizza l’uccisione dei
figli “ora sono Medea, il mio io è maturato nel male” scandito da le tre
“Medea superest”,”Medea fiam” “Medea nunc sum”.
tappe e Compie
l’infanticidio in pubblico invece che nell’intimità della casa. Si rivela
soprattutto moglie, donna che si riconosce più nel legame col marito che
in quello dei figli, ed è disposta a sacrificarli pur di regolare i conti con
furor,
l’uomo. È vittima di appartenente più al campo semantico della
cruenta maenas
follia che dell’ira (i coreuti la definiscono baccante
invasata e sanguinaria) a causa della passione amorosa. L’immagine del
(flamma amoris)
fuoco e del mare in tempesta ricorrono frequentemente