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L’AMORE NELLA STORIA CHE ACCELERA (“IL PROFESSORE DI DESIDERIO” DI PHILIP ROTH): Questo capitoletto è
anticipato da una serie di domande riguardanti la vita intima di Karenin con Anna e di questa con Vronskij. È tuttavia una
serie di domande che non trovano risposta perché nei romanzi di allora l’amore non entrava in camera da letto. È solo
nel 20° secolo, il romanzo scopre progressivamente e in tutte le sue dimensione sessuali: è un cambiamento veloce, che
inizia negli anni ’60 soprattutto in America: è qui che l’ampio spazio fra il primo flirt e l’atto d’amore scompare. In
Lawrence la libertà sessuale somiglia a una rivolta drammatica o tragica, in Miller è circondata da un’euforia lirica.
Trent’anni dopo, in Philip Roth è semplicemente una situazione data, codificata e banale. Si è raggiunto il limite: al
desiderio non si oppongono più leggi, genitori, convenzioni :Tutto è permesso, e l’unico nemico è il nostro stesso corpo.
Philip Roth è un grande storico dell’erotismo americano. È anche il poeta di questa strana solitudine dell’uomo lasciato
solo di fronte al suo corpo. Negli ultimi decenni, tuttavia, la Storia è andata così in fretta che i personaggi di “Professore
di desiderio” non possono che serbare il ricordo di un altro tempo, di un amore commovente e antiquato di cui il mondo
sembra oggi privo. È una nostalgia strana, determinata dalla velocità della Storia che oggi avanza molto più lentamente
della vita umana. Per questo il romanziere avverte la necessità di serbare accanto al nostro modo di vivere il ricordo di
quello dei nostri predecessori. In questo risiede il senso dell’intellettualismo degli eroi di Roth, tutti professori di
letteratura o scrittori, sempre intendi a meditare su Cechov, James o Kafka. È il desiderio di mantenere il tempo passato
entro l’orizzonte del romanzo e di non abbandonare i personaggi nel vuoto dove la voce degli antenati non sarebbe più
udibile.
IL SEGRETO DELLE ETÀ DELLA VITA (“IL CIGNO” DI BERGSSON): Il “Cigno” di Bergsson è un romanzo sull’infanzia. Una
bambina rubava dei sandwich nei supermercati di Reykjavìk e i genitori, per punirla, la mandano per molti mesi in
campagna da un fattore che non conosce. L’ispirazione di Bergsson nasce da un vero e proprio accanimento esistenziale,
che colloca il suo libro al centro di quello che Kundera chiama la modernità del romanzo. Oggetto di indagine è una
bambina di nove anni, che si trova, dunque, al confine tra infanzia e adolescenza. Avere 9 anni significa camminare nelle
nebbie delle fantasie. Sognare ad occhi aperti, fantasticare, è per questa bambina un modo di affrontare il mondo
sconosciuto, inconoscibile e tutt’altro che amichevole. Il primo giorno alla fattoria, di fronte a un mondo estraneo e in
apparenza ostile, immagina per difendersi di far uscire dalla testa un veleno invisibile. Il mondo reale può coglierlo solo
attraverso un’interpretazione fantasiosa. Gli adulti sono assorbiti da preoccupazioni di ordine pratico, mondo lontano
dalla piccola che si trova nell’età della metafisica. La morte la incuriosisce, così va, assieme agli altri bambini, a vedere
l’uccisione del vitello. È un romanzo in cui si analizza l’intervallo tra infanzia e adolescenza: non avendo più bisogno delle
cure dei genitori, la bambina scopre d’improvviso l’indipendenza; ma avverte al tempo stesso la propria inutilità (la
sente ancor più nella misura in cui è isolata fra gente estranea). Eppure conquista gli altri. Kundera ripropone la scena
che vede la figlia del fattore andare a sedersi in riva la fiume durante una crisi amorosa. La piccola, che la osserva la
segue e si siede alle sue spalle a distanza. Entrambe sono consapevoli della presenza dell’altra, ma non si parlano. Ad un
certo punto, la figlia del fattore alza la mano e le fa cenno di avvicinarsi, ma la piccola se ne torna alla fattoria. Questa
scena è magica per Kundera, perché significa “sono lontana da te, non ho nulla da dirti, ma ci sono; e so che tu ci sei”.
Quella mano alzata è il gesto di un libro che rivolge la sua attenzione a un’età perduta che non possiamo né rivivere né
restituire, che è diventata per ciascuno di noi un misero al quale possiamo accostarci solo grazie all’intuizione di un
romanziere-poeta.
L’IDILLIO, FIGLIO DELL’ORRORE (“TWORKI” DI MAREK BIENCZYK): Questo romanzo è ambientato in Polonia, al termine
della seconda guerra mondiale. Il frammento più noto della Storia è visto da un rifugio particolare, un grande ospedale
psichiatrico di Varsavia: Tworki. È amministrato dai tedeschi, alle cui dipendenze come contabili ci sono alcuni giovani
polacchi di cui alcuni ebrei con documenti falsi. Sono giovani pudichi, timidi, goffi, ingenui nella loro sete di morale e di
bontà, che vivono gelosie e delusioni che non si trasformano in odio. La differenza rispetto ai giovani di oggi è
determinata, secondo Kundera, dal fatto che l’idillio che stavano vivendo era figlio dell’orrore; dell’orrore nascosto, ma
sempre presente, in agguato. Ecco il paradosso luciferino: se una società vomita violenza e malvagità gratuite, significa
che le manca la vera esperienza del male, del regno del male. Più la Storia è crudele, più il mondo del rifugio appare
attraente; più un evento è banale, più somiglia a un salvagente cui i “fuggiaschi” si aggrappano. Jurek è innamorato di
Sonia che verso la fine del romanzo se ne andrà. Tempo prima si era rifugiata a Tworki, per vivere, terrorizzata, il suo
fragile idillio. È ebrea e si autodenuncia presentandosi al direttore tedesco dell’ospedale che la accusa di essere pazza ed
è pronto a metterla in isolamento per salvarla. Ma quando la rivedremo non sarà più viva. Dunque in questo romanzo
abbiamo da un lato l’idillio della vita quotidiana, dall’altro la giovane impiccata.
LO SFACELO DEI RICORDI (“OLTRE IL SIPARIO” DI JUAN GOYTISOLO): Il romanzo si concentra sul nuovo periodo della
vita in cui è entrato un uomo anziano che ha appena perso la moglie. Nel I capitolo l’uomo ripensa alla moglie per tutta
la notte e si stupisce del fatto che la memoria gli riproponga alcune canzoni della prima giovinezza, quando non la
conosceva. Cerca di rivedere tutti i paesaggi dove erano stati assieme, ma lei non appare. Sente il bisogno di una
giustificazione di ciò che è accaduto, e in questa prospettiva il futuro non ha nulla di reale (pensa a suo padre che aveva
costruito per i figli una casa in cui non avevano mai abitato). Si è creato un suo Dio, che condivide con lui l’inesistenza. È
un Dio col quale conversa, ma che non esiste e per questo può essere empio. In uno dei suoi discorsi con questo Dio,
l’anziano si ricorda la sua visita in Cecenia dopo la fine del comunismo, quand’era in guerra con la Russia. Per questo
l’anziano aveva portato con sé “Chadzi-Murat” di Tolstoj, un romanzo che racconta la guerra di circa 150 anni prima, fra
gli stessi russi e gli stessi ceceni. Kundera si sorprende di come tutti i mass media si accalorassero da anni sulle stragi in
Cecenia, ma nessuno aveva mai citato questo libro di Tolstoj. Tutti erano scioccati dallo scandalo del massacro, ma
ripetersi
nessuno del del massacro. Eppure, ci dice Kundera, il vero scandalo è il ripetersi degli scandali. Solo il Dio
blasfemo di Goytisolo lo sa. Perché lo scandalo della ripetizione è sempre misericordiosamente cancellato dallo scandalo
dell’oblio; l’oblio di una donna amata come di un grande romanzo o di una strage.
ROMANZO E PROCREAZIONE (“CENT’ANNI DI SOLITUDINE” DI GABRIEL GARCIA MARQUEZ): Rileggendo questo libro,
Kundera ha notato che i protagonisti dei grandi romanzi, come Pantagruele o Don Chisciotte, non hanno figli e afferma
che questa infertilità non è imputabile a un consapevole intento dei romanzieri, perché è lo spirito stesso dell’arte del
romanzo a provare ripugnanza nei confronti della procreazione. Il romanzo è nato con i Tempi moderni, che hanno fatto
dell’uomo il fondamento di tutto (Heidegger). È in gran parte grazie al romanzo se l’uomo si insedia sulla scena
dell’Europa in quanto individuo. Infatti solo il romanzo isola un individuo, ne illumina l’intera biografia, le idee, i
sentimenti, lo rende insostituibile: lo fa il centro di tutto. Don Chisciotte muore e il romanzo si conclude, e questa
conclusione è perfetta perché definitiva dal momento che non ha figli. Se ne avesse, la sua vita si prolungherebbe,
perché la tua vita continua attraverso i figli che ti rendono immortale. Ma se la mia storia può continuare al di là della
mia vita non è un’identità indipendente; significa che è incompiuta; significa che c’è qualcosa di davvero concreto e
terreno in cui l’individuo si dissolve, acconsente a dissolversi e a essere dimenticato. Significa che l’individuo in quanto
“fondamento di tutto” è un’illusione. Con “Cent’anni di solitudine” di Garcia Marquez l’arte del romanzo sembra
ridestarsi da questo sogno; il centro dell’attenzione non è più l’individuo, ma un gruppo di individui: sono tutti originali e
inimitabili, eppure nessuno resta sulla scena del romanzo dall’inizio alla fine. Tutti hanno nomi simili affinché i contorni
che li distinguono sfumino e il lettore li confonda. Con ogni probabilità il tempo dell’individualismo europeo non è più il
loro tempo. Ma non si capisce quale sia questo loro tempo, anzi Kundera ha l’impressione che questo romanzo (che è
un’apoteosi dell’arte del romanzo) sia al tempo stesso un addio rivolto all’èra del romanzo.
III. LE LISTE NERE O DIVERTIMENTO IN OMAGGIO AD ANATOLE FRANCE
1
Una sera Kundera si trovò in taxi assieme ad una signore e le chiese chi fosse il suo compositore preferito. Scoprì così
l’avversione della donna verso Saint-Saens, avversione probabilmente dovuta al fatto che non fosse legata a un nome
2
iscritto nella lista nera. Le liste nere erano la passione della avanguardie già prima della Grande Guerra. Attorno ai 35
anni l’autore traduceva in ceco la poesia di Apollinaire e così si è imbattuto in un breve manifesto del 1913 dove
assegnava “merda” (Dante, Shakespeare, Tolstoj, Poe, Whitman, Baudelaire) e “rose” (per sé, Picasso, Stravinskij).
3
Una sorta di esame, Kundera lo sostenne durante una conversazione con un giovane che ad un certo punto gli chiese se