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La seconda strofa è basata sull’udito del poeta: un ricordo di Alessandria è rivisto, anzi, risentito, in
guerra. Sente un rumore come di scalpellini mentre è in dormiveglia, almeno gli sembra di sentire
quel rumore: questi suoni in guerra lo riportano ad Alessandria, è un suono ossessivo, ma non può
capire chi lo produce realmente.
I FIUMI condensa tutti i temi di Ungaretti, è una poesia fortemente autobiografica, è la carta
d’identità di Ungaretti. La poesia comunque risulta facile rispetto ad altre.
La prima strofa è un momento concreto, il presente, rappresenta la fisicità. L’albero a cui Ungaretti
si tiene è personificato, è mutilato, ma al poeta interessano la compagnia e un contatto con la
natura. Si ritiene che fosse di guardia di notte, e fosse vicino all’albero in un lembo di terra
semidistrutto. Il poeta guarda il cielo armonioso e luminoso, mentre è sulla terra distrutta dalla
guerra, quindi l’opposto.
Le strofe successive sono flashback.
Nella mattina finalmente il poeta è riuscito a fare un bagno, che era un desiderio continuo. Ungaretti
entra in un’urna di acqua e si sente come una reliquia. L’immagine è funeraria, ma il paragone è
sacro, l’acqua è sua custode che lo fa riposare come un morto.
L’Isonzo è il fiume che lo circonda in guerra: lì dentro si sente come un sasso che viene levigato dal
fiume: quel sasso non è più arido il, ma è levigato e armonioso. Dopo il bagno si sente leggero,
poiché magro, ma armonioso come un acrobata, che riporta al circo nominato all’inizio della poesia.
Il paragone successivo è quello con un beduino, che rimanda alla memoria egiziana. Come un
beduino si riposa, dopo il bagno, vicino alla veste militare sporca, e prende il tanto amato sole.
Proprio grazie al bagno nell’Isonzo, Ungaretti si è finalmente sentito una docile fibra dell’universo,
parte della natura. La meditazione continua e il poeta realizza che vuole essere in armonia col
mondo, ma è difficile essere in armonia se si è in guerra. Purtroppo, la condanna è credersi non in
armonia costantemente: il poeta sta male quando non si sente fibra dell’universo. L’acqua del fiume
lo plasma, lo crea, lo manipola come per dargli nuova vita, felicità rara, e durante il bagno ha
ripensato a tutta la sua vita, e ai fiumi che lo rappresentano.
Il Serchio è il fiume di Lucca, il luogo dei suoi antenati, quindi un fiume non direttamente suo. Poi
va al Nilo, il fiume dove è nato e cresciuto, ovvero dove ha vissuto le prime emozioni e le prime
esperienze. Poi c’è la Senna, dove ha ottenuto una cultura, anche se il fiume è torbido e inquinato,
ha appreso tante cose e si è conosciuto. Ma solo nell’Isonzo si è riconosciuto, anzi sembra quasi un
riassunto di tutti quei fiumi suoi. La poesia si chiude con la malinconia, rappresentata dalla analogia
“corolla di tenebre”: la via è nostalgica e tenebrosa. Tuttavia, nella maggior parte della poesia
Ungaretti si sentiva felice, armonioso, in pace, e tanto basta da farlo sentire una fibra per un po’.
PAESAGGIO inizia da una situazione negativa, serale, che però conduce a una memoria positiva.
Ungaretti si trova sotto un cielo chiuso, appannato, si sente vuoto e si relaziona col cielo. Poi pensa
ai problemi di vista che ha, non vede bene e ha paura della cecità. Sente anche malinconia,
monotonia, squallore: il paesaggio è solo nel titolo, ma non nella poesia, Ungaretti non lo vede
neanche infatti. A questo punto inizia il flashback egiziano: contrasta il presente oscuro e tenebroso
e cieco con la felicità del sole e del tramonto in Egitto. Una volta era colpito dal tramonto, ora gli
porta spesso malinconia.
PELLEGRINAGGIO è ancora una volta una poesia semplice. Spiega l’affollamento della trincea, dove
Ungaretti si sente una carcassa usurata dal fango. Il tema è il solito: macerie, magrezza, corporeità,
tutto espresso con estremismo. Alla fine della prima strofa però afferma di sentirti come un seme
di spinalba. L’insieme è negativo, ma se si sente un seme di spinalba significa che si sente vivo,
poiché tale vegetale ha bisogno del fango per crescere.
La dimensione della luce, insieme a quella di fango, trincea e pianta, è presente. Il riflettore muove
la nebbia.
LA NOTTE BELLA è una poesia che unisce cielo e cuore, ovvero sintetizza tutto: il cuore va a nozze
col cielo, come l’uomo va con l’universo. Difatti ogni parte dell’universo genera Ungaretti, egli è
parte di quel tutto, il cuore di Ungaretti è insieme al cielo. Il poeta afferma di aver vissuto momenti
di buio, negativi, piatti, ma nel momento in cui si sente parte dell’universo sta bene, si sente leggero.
Una volta ancora appare il paragone funerario: nel mare, spazio aperto, Ungaretti si sente in una
bara, che nonostante sia un paragone tenebroso, lo conserva con freschezza.
In SONNOLENZA c’è una progressiva sparizione del paesaggio esterno, indica un riposo delle cose
mentre invece Ungaretti è inquieto. Sparisce l’ambiente, sparisce il sole, sparisce tutto, anche il
suono: il tramonto porta via tutto lentamente. Rimane solo il rumore prodotto dai grilli, che
gorgogliano come fossero getti di acqua, che accompagnano il poeta nella malinconia.
SAN MARTINO DEL CARSO è un paese che Ungaretti trova distrutto, e sceglie di dedicargli una
poesia. Il poeta quasi fotografa la realtà attraverso le parole, mostra la distruzione della guerra e la
fisicità del paese a brandelli. Compie un parallelismo tra il paese e alcune sue amicizie: le case della
città distrutte sono come i suoi amici morti nei cimiteri, ma Ungaretti mantiene il ricordo pieno nel
cuore. Si domanda inoltre il perché della croce sulle lapidi, si domanda a chi è innalzata. Quel gesto
è inutile perché sono ormai morti. L’ultima strofa riprende la prima: Ungaretti sente il suo cuore
straziato e pieno di croci come se fosse un cimitero. La metafora è quindi tra cuore e paese e tra
cuore e cimitero.
ATTRITO sarebbe lo scontro tra ragione e istinto. Ungaretti si sente un lupo affamato di piacere, il
lupo rappresenta infatti il peccato. La parte pura di Ungaretti si arrende infatti di fronte al desiderio:
la pecorella è sconfitta dall’istinto, dal peccato del lupo. Ungaretti è però timido, come una pecora
davanti al lupo, come una piccola barca in mare aperto e agitato. La tempesta di libidine è forte,
mentre Ungaretti è fragile e in guerra, e non può soddisfare alcun desiderio carnale.
In DISTACCO Ungaretti si presenta in terza persona. È un uomo uniforme, che è diverso da “in
uniforme”: è di uguale forma. Ungaretti si sente senza personalità, si sente vuoto. Con la particella
“mi” riprende possesso di sé: a volte sente una vitalità, ma è intermittente, come quella lucciola in
Annientamento. Quel bene affiora piano e lentamente, e dura poco, a intermittenza.
NOSTALGIA è l’unica poesia tradotta in francese dallo stesso Ungaretti: rappresenta la nostalgia di
Parigi. Si ricorda di una notte che sta per svanire, l’alba sta giungendo. Parigi è deserta, ci son poche
persone, la pioggia disfa gli edifici. La Senna riflette le luci della città: il fiume non è positivo, ma è
malinconico. Il poeta ha un’improvvisa epifania infantile: di sicuro non può vedere una bambina di
notte in giro da sola su un ponte, ma è una visione malinconica. L’immagine è data dal cuore,
Ungaretti paragona vari elementi a piante, e sovrappone la scena parigina con un ricordo egiziano,
e si sente depresso. La poesia si chiude con un paradosso che spiega la fragilità di Ungaretti, di come
si senta sradicato dalla sua terra e portato via da lì.
Poesie di congedo
ITALIA è una poesia nata dal bisogno di patria. Il sentimento del nomade affascina Ungaretti, ma lo
sente anomalo. Ungaretti comunque non è politico, è un aggettivo improprio per descriverlo. Ma
perché, nonostante la guerra fosse cruda e orribile, Ungaretti ha sopportato quella vita? Finalmente
si era sentito parte di una comunità, connesso con altri, con la patria, si sentiva fibra di dell’universo,
parte dell’Italia. La poesia comunque riguarda il tema del poeta, Ungaretti si sente un poeta che
parla per tanti, è un grido unanime, egli eleva la voce per tutti, parla per molti. Sente che la sua
poesia è maturata in guerra, senza non sarebbe riuscito a produrre ciò, né a sentirsi parte della
comunità italiana. Egli è comunque il frutto di più paesi, Egitto, Parigi e Italia, che è sbocciato nella
serra, che sarebbe la trincea. Ungaretti è con altri italiani in trincea, e si trova bene con loro.
L’uniforme militare è una culla, è una copertura come la è stata la serra, l’urna… Si sente figlio
dell’Italia come il padre. Quindi in questa poesia spiega cos’è un poeta e cos’è egli stesso, ovvero un
italiano.
POESIA è simile a una lettera, spiega cos’è la poesia, la scrittura, per lui. È dedicata al tenente Serra,
che aveva finanziato e fatto stampare la prima edizione della raccolta: se Il Porto Sepolto inizia con
l’amico morto suicida, termina invece con un amico nuovo, il palombaro spezzino Ettore Serra.
La poesia inizia con “Gentile”, come fosse una lettera. La parola piace molto al poeta perché è
totalmente contraria alla guerra che sta vivendo: evoca un contesto migliore, scaccia il demone della
crudeltà e della violenza. C’è un climax discendente (dal mondo, all’umanità, alla vita): la poesia è
la vita, descritta con parole che fioriscono e maturano anche grazie a un delirio illogico, delirio però
luminoso, descritto con parole essenziali, semplici e pure. La raccolta termina con un riferimento
all’attività di palombaro dell’amico: Ungaretti trova le parole stando in silenzio, deve sentire un
vuoto. Lì scava nell’abisso, nel profondo della sua anima, cosa che non concepisce: tra l’altro,
l’abisso è contrario a quella limpidezza che nominava verso l’inizio della poesia. Ungaretti chiude il
libro tornando al porto sepolto, tornando nel profondo dell’Io.
Approfondimento documenti su Ungaretti:
Le giapponeserie
A Ungaretti è spesso avvicinata la poesia giapponese: alcune opere nipponiche furono pubblicate
sulla rivista napoletana Diana. Si pensa che lì Ungaretti abbia letto e conosciuto lo stile poetico
giapponese: il poeta era collaboratore e lettore abituale della rivista, sulla quale erano difatti