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Benito Mussolini che recupera la vecchia edizione del ’16. Infine divemterà una
sezione della raccolta “Allegria” del 1942. Il Porto Sepolto del ’16 non è stata concepita
come una cellula primigenia di un’opera successiva, ma è stata pensati sin dall’inizio
come opera in sé. I testi dell’opera hanno una disposizione organica. Il porto sepolto è
“incorniciato” in apertura e in chiusura da 4 poesie programmatiche che presentano
tra loro parallelismi e richiami. La prima poesia si intitola “In memoria” mentre
l’ultima “poesia”, entrambe vedranno il proprio titolo modificato in Allegria. All’inizio la
raccolta è come si conviene avviata da una dedica (in Memoria) che è anche una
riflessione sulla necessità della poesia. Un nome proprio suggerisce la simmetria in
quanto presente sia all’inizio della prima poesia programmatica sia nell’ultima. C’è un
nome “Mohammed … “ che introduce il tema dell’identità nella prima poesia ed
“Ettore Serra” nell’ultima (rispettivamente dedica e congedo). Si nota sin dall’inizio
della prima strofa una frantumazione sintattica che certamente deve molto alla
dimensione futurista (frantumazione sintattica del verso che il paroliberismo ha reso
praticabile nella poesia del ‘900). Questa frantumazione provoca la presenza di un
vuoto tipografico che tende ad isolare la parola che talvolta coincide da sola con il
verso, è isolata. La ricerca della parola caratterizza la poesia di Ungaretti. Lo spazio
bianco rappresenta l’attesa di senso, dell’istante (idea che la realtà sia fatta di punti –
assoluta autonomia dell’attimo). Lo spazio bianco è semantizzato e sprigiona una
carica simbolica. Ungaretti toglie il materiale, procede per “via di levare” e costruisce
una lingua poetica di ricerca che non ammette la velocità, usa una lingua sillabata,
lenta, che mantiene appunto tutta la semanticità dello spazio bianco. Si evidenzia sin
da subito il “mito del nomade”, di colui che si muove e che cerca qualcosa. La ricerca
del nomade avviene sul piano orizzontale e può sembrare una fuga e appare come
fallimentare. Questa ricerca che accomuna mohammed e l’autore a seconda di come
la si indirizza può anche portare all’incapacità di dare una senso alla propria esistenza.
Mohammed cambia nome assumendo un nome francese (tema dell’identità). La
direzione sbagliata nel cercare la propria identità si esprime nel fatto di non porre in
termini poetici quella domanda sulla sua identità. Non sapeva essere francese, non
sapeva essere arabo, e non sapeva porsi quelle domande in termini poetici che
avrebbero potuto aiutarlo a darsi una risposta (“Non sapeva scioglier il canto del suo
abbandono”). L’ultima strofa verrà abolita nelle edizioni successive. Nell’ultima
versione elimina gli ultimi tre versi, rende ancora più essenziale l’opera. La seconda
poesia della raccolta si intitola “Il porto sepolto” ed è la poesia che dà il nome alla
raccolta. (Vedi slide tutta scritta). Il porto sepolto è ciò che di segreto rimane in noi
indecifrabile, ciò che non può essere completamente portato allo scoperto. Questo
lascia però intravedere tracce importanti di sé. L’unica possibilità è quindi quella di
fare come l’archeologo: scavare e portare alla luce. Questo porto della poesia è
raggiunto dal poeta con un’operazione di scavo, introspettiva. La seconda poesia ci
presenta una ricerca poetica ben indirizzata nella prospettiva dello scavo. Questa
dimensione della ricerca è diversa da quello della poesia precedente che parlava del
nomade (il movimento del poeta è verticale mentre quello del nomade è orizzontale e
porta infatti al fallimento. Il poeta può trovare il porto sepolto e dopo averlo trovato
può tornare in superficie con una parola la cui traccia è labile e indecifrabile. Anche il
poeta ne dispone come un lascito quasi incomunicabile se non per segni (“e li
disperde”). Di questa poesia rimangono solo tracce parziali. Lo scavo e la ricerca della
parola rimandano alla ricerca del profondo, dell’essenza e attivano in un discorso
poetico come quello dell’autore un sacco di riflessioni, di memorie poetiche a cui lui
certamente allude. Si tratta di inchieste di poeti che cercano la parola nella profondità
(discese agli inferi – Orfeo – conoscenza che si ottiene solo scendendo agli inferi). Il
porto è l’arrivo della ricerca letteraria del poeta e rappresenta un mito molto diffuso
all’epoca. La metafora del viaggio testuale, l’idea del percorso che arriva finalmente in
porto è un tema fondamentale per quegli anni, ma non solo. Anche l’Orlando Furioso
termina con la metafora della nave che arriva al porto. La strategia di Ungaretti
dell’uso dei deittici (qui, là, questo, quello) allude a una situazione conosciuta ma
anche ad uno spazio presente nel pensiero del poeta, allude a qualcosa che va
decifrato al di là del pensiero oggettivo (“quel nulla”). Questa poesia resta invariata
nelle redazioni successive.
Altra poesia da analizzare è “Italia”, la penultima poesia. In “memoria” Mohammed
non scioglie il canto dell’abbandono perché non aveva più patria mentre in questa
poesia nel nome della patria si arriva ad una definizione di un’identità: “sono un
poeta”. L’esperienza di guerra (Ungaretti era stato volontario al fronte) è una sorta di
serra che permette agli innesti di svilupparsi, contrasti di innesti che tuttavia stavolta
costituiscono un’identità perché la terra è quell’Italia che porta il peso di chi la vive. La
poesia viene vista come riposo (culla). Ci si riposa quando si arriva alla fine, quando si
approda (porto sepolto). Anche questa poesia non è variata nelle edizioni successive e
in questo lascia intendere la maturità di queste poesie programmatiche, poco stravolte
nelle edizioni successive.
“Poesia” è una poesia scandita in due tempi e presenta la realtà perché la parola la
nomina, nomina le cose poeticamente. La parola ha una posizione dominante sulla
storia. La parola viene vista come unico accesso alla vita. Si tratta di una visione che
ha avuto declinazioni molto diverse negli ultimi anni. C’è un rimando ad una poetica
barocca tipica delle avanguardie novecentesche basata sul creare meraviglia.
“Parola” è in questa poesia l’unica parola in rima. Un’altra parola chiave della poesia è
“vita” ripetuta anch’essa due volte, la seconda volta chiaramente in posizione di rima
voluta. Elemento tipico dell’avanguardia del ‘900 è il tentativo di creare meraviglia in
cui il caos si contrappone all’ordine. L’ultima parola della raccolta è “abisso” che
rimanda al porto sepolto. Successivamente verrà cambiato il titolo dell’ultima poesia
programmatica da “poesia” a “congedo”.
Il ruolo della guerra
La guerra è il luogo del raggiungimento di un’identità grazie alla parola. Con la parola
si è entrati in guerra (propaganda)e con la parola e la poesia se ne esce. Ungaretti
indica quindi una strada, quella della poesia, che però non tutti sanno imboccare.
Rebora parte volontario sul fronte come Ungaretti – confronto Ungaretti e Rebora.
Nella poesia “Veglia” di Ungaretti c’è un continuo riferimento alla realtà presente.
Rebora evidenzia il sentimento di fratellanza che però è senza speranza di fronte alla
guerra, poiché non rimane che il silenzio. La violenza è quella parola che aveva
l’esigenza di uscire prima della guerra, ma appare dopo celata con vergogna. Per
Ungaretti è l’esatto opposto. La notte al fronte produce come unica risposta la
scrittura, la parola d’amore. Egli trova la salvezza proprio nella parola. Anche il tema
della fratellanza è trattato da Ungaretti sia nel Porto sepolto che in Allegria. Nella
prima raccolta vi è infatti una poesia intitolata “Soldato” che verrà ripresa e
modificata nella seconda raccolta con il titolo “Fratelli”. Nella prima edizione la
domanda della prima strofa è seguita da una lunga risposta che presenta vari participi
con funzione aggettivale (tremante, …). Il soggetto è assente e questa assenza mette
in risalto l’umanità espressa nella parola “fratelli”. Nella redazione finale l’impianto
viene mutato, a partire dal titolo (soldato fratelli). Egli cerca di scremare i riferimenti
alla realtà attuale per sottolineare il valore universale della poesia. La domanda
iniziale rimane immutata ma la glossa appare ridotta e si rimanda al vuoto il compito
di riempire quei nessi che nell’edizione precedente erano esplicitati. Vengono attenuati
moltissimo tutti quei termini patetico – crepuscolari della prima edizione (fogliolina
diventa foglia, sparisce la similitudine). Nella redazione finale le rime sono molto coese
dal punto di vista semantico. La guerra è paragonata a un fiume che permette agli
uomini di trovare se stessi. È nell’uniforme del soldato che il poeta si può sentire
cullato dal padre. La poesia della guerra di Ungaretti è una poesia spontanea, non
filtrata da un esercizio poetico e retorico elaborato, non è sottoposta al “Labor limae” ,
è sgorgata naturalmente dall’esperienza di guerra. Una delle poesie di Allegria è
“Pellegrinaggio”. In questa poesia c’è un’allusione specifica ai cumuli, alle case
distrutte. Il titolo ci dà qualche spunto: pellegrinaggio fa riferimento a un cammino che
si avvia nel mezzo della guerra in cui la nebbia diventa un mare consolante. La
salvezza parte dalla storia però impone una salvezza alla fantasia che permette di
allontanare l’io da quella condizione di disperazione che nasce come conseguenza
della guerra. Vi sono poi due poesie: “Soldato” e “Rischiaro” inviate nel ’16 a Papini. Si
tratta di due poesie che appaiono statiche, fissano l’immagine ad un’intenzione
poetica e la loro fusione genera una nuova poesia che produce un risultato poetico che
è tutto dentro la proposta del porto sepolto cioè la visione dell’ancora di salvezza
come mente, parola, poesia nel passaggio dal dramma alla speranza. Vi è poi la poesia
di “San Martino del Carso” pubblicata nel Porto Sepolto e poi redatta succe