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5. PRIMO SOGGIORNO A VALCHIUSA
1337 Dopo il ritorno a Avignone, Petrarca acquistò una casetta in
Valchiusa, sulla riva meridionale della Sorga e lì andò a vivere. I
suoi amici di Avignone ne furono stupiti ma il poeta fu indotto a
prendere questa decisione dal fatto che per Petrarca la città
significava folla, clamore, confusione, sfarzo, spreco del suo tempo,
contatto con le indegnità commesse dalla corte papale, e la
vicinanza con Laura che rinnovava di continuo in lui l’amore e la
pena. La Valchiusa, invece, sarebbe stata la realizzazione di un
sogno della fanciullezza e gli avrebbe offerto solitudine, pace,
semplicità di vita, il fascino del fiume, il vagare tra i boschi e la
bellezza intorno. Soprattutto sarebbe stata per lui la libertà di
pensare, di studiare e di scrivere – presto questo posto divenne per
lui fra tutti i luoghi della terra quello che aveva più caro.
Nell’estate di quell’anno apprese che gli era nato un figlio a
Avignone, da una donna della quale non conosciamo il nome:
notizie del genere nel Trecento non scandalizzavano nessuno.
Insolito fu semmai il comportamento di Petrarca che negli anni che
seguirono si sforzò di essere un bravo padre e prese il ragazzo con
sé non appena questi raggiunse l’età in cui si doveva dare inizio
alla sua educazione.
Nonostante risiedesse a Valchiusa il poeta continuava a fare parte
del seguito del cardinal Colonna; egli era anzi tenuto a servirlo
come prima, ogni volta che ne veniva richiesto.
Prima della fine di questo anno, Petrarca, desideroso di conquistarsi
la fama, deciso ormai a usare il latino per i suoi scritti maggiori e
pronto a intraprendere opere che richiedessero anche una lunga
De viris illustribus,
applicazione di studi, cominciò a lavorare al un
testo di cui avrebbe continuato a occuparsi, con pause e intervalli,
fino al termine dei suoi giorni. Nelle intenzioni dell’autore avrebbe
dovuto consistere in una serie di biografie degli antichi eroi, in gran
parte romani, a cominciare da Romolo per arrivare a includere,
presumibilmente, i primi imperatori.
1338 o 1339 Petrarca sentì sorgere in sé l’idea di scrivere un poema epico in
latino il cui protagonista fosse Scipione l’Africano: lo cominciò quasi
Africa.
subito, e lo intitolò Dare inizio al nuovo progetto implicava
l’interruzione del De viris, ma Petrarca non si sentì mai vincolato
alla norma di completare un’opera prima di iniziarne un’altra. C’era
nella sua indole una certa irrequietezza: quella stessa irrequietezza
che lo spingeva a cambiare spesso residenza, e a pensare
costantemente a nuovi trasferimenti, e che nel campo dell’attività
letteraria si manifestava come continuo passare dall’una all’altra
delle opere già iniziate, oppure come repentina decisione di
dedicarsi a un’opera del tutto nuova. Risultato di questa sua
tendenza a volgere l’attenzione sovente da un lavoro all’altro è che
Petrarca ha lasciato incomplete molte delle sue opere, fra le quali
De viris l’Africa
sono da annoverare sia il che (la sua fonte
principale per entrambi i lavori fu Tito Livio).
Nota: per Petrarca i LIBRI equivalevano sempre a persone. Secondo lui un libro non era
semplicemente un oggetto, ma portava l’intima impronta della personalità di un uomo,
ed egli si sforzò costantemente di conoscere intimamente gli uomini che i libri gli
rivelavano, talora persino di diventare loro amico.
Nonostante la conversione alla latinità, Petrarca continuò a sentire dentro di sé un
forte stimolo a scrivere liriche in volgare, infatti, una quarantina circa delle poesie
incluse nel Canzoniere risalgono a questo periodo: nell’insieme manifestano un
approfondimento di pensieri e sentimenti e una notevole perfezionamento della
tecnica poetica. Si tratta per lo più di poesie d’amore, ma ce ne sono alcune che
trattano il tema dell’amicizia, una a soggetto politico, una diretta a Gherardo in
Rvf. XCI),
occasione della morte della sua donna ( e ci sono anche, per la prima volta,
alcuni componimenti di soggetto religioso.
Sebbene il poeta considerasse il suo amore per Laura come nobile e degno, pure si
rendeva conto che un tale amore finiva col trovarsi in conflitto con una visione
rigorosamente religiosa della vita.
Forse durante questo periodo, il poeta adottò il cognome Petrarca, invece di quello,
che sembra avesse usato fino ad allora, Petracchi. La nuova forma dovette sembrargli
più latina e più nobile.
6. L’INCORONAZIONE
La conoscenza di un’antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate nelle
singole città nella sua epoca insieme all’aspirazione di diventare famoso, accesero in
Petrarca il desiderio di ricevere a sua volta quell’onore.
1340 L’Università di Parigi fece giungere a Petrarca l’offerta di conferirgli
la corona poetica, tuttavia ricevette un’offerta analoga, nel
pomeriggio di quello stesso giorno (1° settembre), da parte del
Senato romano. La sua preferenza naturale doveva chiaramente
cadere su Roma, tuttavia Petrarca ritenne opportuno chiedere
prima consiglio al cardinal Colonna che lo esortò a accettare
l’offerta di Roma.
Per scongiurare il pericolo di ricevere più critiche che lodi per
questo onore, Petrarca era convinto che un monarca illuminato e
profondamente rispettato come re Roberto d’Angiò sarebbe stato il
sostenitore ideale della sua incoronazione, così prese degli accordi
preliminari per recarsi a Napoli prima di presentarsi a Roma per far
esaminare la sua opera dal re e farsi nominare degno di ricevere la
corona d’alloro. Re Roberto lo accolse con cordialità e si dimostrò
molto lieto che il poeta avesse scelto proprio lui come patrono della
l’Africa
sua incoronazione. Petrarca gli mostrò e re Roberto gli
chiese che il poema fosse dedicato a lui; chiese inoltre che il poeta
scrivesse qualche altro componimento in suo onore. Al termine del
suo esame il re dichiarò Petrarca degno di ricevere la corona
d’alloro e si offrì di procedere lui stesso all’incoronazione, lì a
Napoli; ma Petrarca fece presente che non poteva ormai più
respingere l’invito del Senato romano.
1341 L’incoronazione ebbe luogo l’8 aprile nella sala d’udienza del
palazzo del Senato, sul Campidoglio. Alla fine dell’orazione
pronunciata per l’occasione dal poeta, vennero enumerati gli onori
che gli venivano concessi: 1) il riconoscimento che egli era
“magnum poetam et historicorum”; 2) il conferimento del titolo di
magister; 3) il conferimento della corona d’alloro; 4) la nomina a
professore di arte poetica e di storia; 5) la concessione del diritto di
conferire a altri la corona poetica; 6) l’approvazione dei suoi critti,
presenti e futuri; 7) la concessione di tutti i diritti goduti dai
professori delle arti nobili e liberali; 8) il conferimento della
cittadinanza romana.
7. PRIMO SOGGIORNO A PARMA
1341 Petrarca e Azzo da Correggio si misero in viaggio verso nord, i
Correggio lo invitarono a passare l’estate con loro e il poeta, dopo
aver chiesto a cardinal Colonna, accettò e si trattenne presso di
loro a Parma fino all’inizio del 1342. Africa
Durante il soggiorno a Parma riprese a lavorare all’ e continuò
a dedicarvisi ogni giorno, fino a quando terminò in questo luogo il
primo abbozzo dell’opera. È infatti certo che una parte di quello
che era stato il progetto originario non fu mai scritta e che il poema
nel suo insieme non fu mai revisionato. Nella corrispondenza
petrarchesca si fa più volte riferimento a questo poema come a
un’opera rimasta incompiuta.
1342 All’inizio di gennaio, Petrarca scrisse al cardinal Colonna una lunga
e commossa lettera per la morte di Giacomo Colonna, suo caro
amico: di lettere simili il poeta ne scrisse molte durante la vita, a
volte parecchio tempo dopo la scomparsa della persona
commemorata.
In febbraio o marzo partì per tornare in Provenza.
8. VALCHIUSA e AVIGNONE: 1342 – 1343
1342 Prima della fine della primavera, Petrarca ricevette la notizia della
morte di Dionigi da Borgo San Sepolcro per il quale scrisse un
epitaffio in cui elencava le lodevoli qualità di Dionigi.
Trascorse nell’estate di quell’anno molto tempo a Avignone, per
quanto odiasse la città e invece amasse Valchiusa. In quel periodo
di si trovava ad Avignone un monaco basiliano di nome Barlaam,
originario della Calabria a che aveva passato alcuni anni a
Costantinopoli e insegnava greco nella curia papale. Petrarca
cominciò delle lezioni private di greco, fornendo in cambio un aiuto
al monaco nel perfezionare il latino: tuttavia, le lezioni finirono
presto e la conoscenza del greco di Petrarca rimase a uno stadio
piuttosto elementare.
1343 A Roma in quegli anni vi era stata una rivolta popolare e il potere
era stato affidato a un consiglio di cui facevano parte i capi di
diverse delegazioni mercantili. Questo cambiamento portò sulla
scena una delle figure più affascinanti del Trecento: Cola di Rienzo
= giovane notaio di origini plebee, molto abile, eloquente, fornito di
grande fantasia e straordinaria ambizione, era un conoscitore
entusiasta della storia antica e della Roma dei primi cristiani. Cola
era ossessionato dall’idea di una Roma novella, che riconquistasse
l’antica gloria e potenza e volle essere mandato come
rappresentante presso il papa per riceve l’approvazione per la
costruzione di un governo di forma nuova e democratica. Cola
giunse ad Avignone, e sebbene il papa lo accolse cordialmente, la
sua richiesta di approvazione incontrò la decisa opposizione dei
cardinali e della curia, così il papa ripristinò la forma di governo che
era stata abbattuta con la rivolta popolare. Cola si trattenne ad
Avignone diversi mesi e in quel periodo strinse amicizia con
Petrarca, infatti, i due uomini avevano in comune un grandissimo
entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande
preoccupazione per lo stato presente della città e una grande
speranza per la restaurazione dell’antica potenza e dell’antico
splendore.
In quell’anno, Gherardo, fratello di Francesco e suo compagno negli
anni della giovinezza, si fece monaco certosino e sebbene i due
avessero parlato di quella possibilità, la decisione venne presa
all’improvviso. Per Francesco questo significò non solo la fine
dell’affettuosa intimità con il fratello, ma anche un monito
personale e un invito a compiere un completo esame di coscienza.
Sempre nel 1343,