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GIACOMINO DA VERONA

L'assoluta mancanza di documenti diretti o indiretti (sappiamo soltanto, per sua esplicita dichiarazione, che

appartenne all' " Orden de Minori ", De Babilonia 335) impedisce di sistemare questo rimatore volgare nella

cronologia della nostra letteratura duecentesca; e solo induttivamente si può indicare la seconda metà del

Duecento: Giacomino sarebbe contemporaneo di Bonvesin da la Riva, e questo potrebbero confermare

anche la comunanza dell'argomento escatologico, l'intento dichiaratamente moralistico, la struttura metrica

e, in parte, l'affinità culturale.

Una delle sue opere più importanti è il “De Jerusalem caelesti”, in quartine monorime di alessandrini. Si tratta

di un poemetto escatologico (*); E il “De Babylonia civitate”.

(*) ESCATOLOGICO: dottrine filosofiche e religiose. Che riprende i destini finali dell’uomo e dell’universo.

Entrambe le opere sono una rappresentazione popolare delle due città escatologiche, Paradiso e Inferno.

➢ È da ricordare che Dante non aveva ancora ancora scritto la Divina Commedia.

Si tratta di un genere divulgativo, destinato alla popolazione che non sapeva il latino.

L’opera è strettamente in veronese.

o Nel De Jerusalem caelesti, poemetto in quartine monorime di 280 alessandrini spesso assonanzati,

Giacomino con accenti di un'ingenuità, descrive le gioie e le bellezze del Paradiso, presentato come

una stupenda e fiabesca città circondata di mura e ricca di giardini, lastricata e ricoperta di perle,

cristallo, pietre e metalli preziosi, e guardata da un angelo armato di spada.

Lo sforzo del rimatore, che, forse con una punta di polemica, dichiara di non rivolgersi ai dotti, soliti

ad avvilire i dettati semplici con le loro sottigliezze dialettiche, ma a coloro che non comprendono

il latino.

Più che un mondo di luce spirituale, Giacomino rappresenta insomma un luogo di delizie dei sensi:

l'udito gode del canto degli uccelli e dei cori dei beati

o In puntuale contrasto con il De Jerusalem caelesti sta il De Babylonia civitate infernali, nei cui 340

versi G. descrive gli orrori dell'Inferno, concretizzati in contatti con animali ripugnanti, fuoco senza

splendore, gare di demoni nel torturare i dannati, caldo e freddo insopportabili.

BONVESIN DA LA RIVA (1240 ca. – 1313 ca.)

Bonvesin da la Riva è il più importante scrittore in volgare lombardo del sec. XIII. La "Riva" è con ogni

probabilità la Ripa di porta Ticinese a Milano, dove Bonvesin abitò almeno dal 1288 alla morte.

Terziario dei frati umiliati e insegnò in una scuola privata di sua proprietà.

La sua produzione poetica si colloca tra il 1270 e il 1290.

Tra i suoi numerosi poemetti in volgare vanno ricordati:

o De vita scholastica, un trattato sulla sua professione

o e il trattato in prosa, De magnalibus urbis Mediolani (Le meraviglie della città di Milano), vasta

opera in volgare, in alessandrini monorima, dove l’autore traduce o parafrasa scritture didattiche,

mettendo questa sua sapienza a disposizioni degli ignari di grammatica.

o Il Libro delle tre scritture, diviso in tre parti (scrittura nigra, rubra e aurea nera, rossa e dorata con

tema rispettivamente l'Inferno, la Passione di Cristo e il Paradiso) è annoverato tra i precursori di

Dante e rappresenta anche il primo testo letterario in volgare lombardo.

o DOLCE STIL NOVO

➢ Stil novo Tendenza poetica (anche dolce Stil novo) diffusa in Toscana tra la seconda metà del 13° e

l’inizio del 14° sec., così chiamata dalla critica moderna sulla base di versi di Dante (Purgatorio. XXIV,

49-62). Sua materia poetica è l’amore, sia in quanto confessione sentimentale, sia e soprattutto in

quanto meditazione sulla sua essenza filosofica e sui suoi effetti psicofisiologici e soprattutto morali.

Negli ultimi decenni del 1200, a Firenze, una delle città più all’avanguardia e che sta diventando il centro della

cultura italiana, si forma il nucleo più importante di una nuova tendenza poetica, cioè il “dolce Stil novo”, con

cui la lirica amorosa di stampo provenzale e di ispirazione cortese, tocca la sua fase culminante. I poeti più

rappresentativi sono Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni e Dino Frescobaldi. Questi poeti si

vogliono distaccare dall’impostazione della scuola siciliana e aretina, in particolare polemizzano con Guittone

d’Arezzo. Dobbiamo dire anzitutto che si tratta di poeti da una spiccata personalità, tanto che ciascuno ha

delle proprie caratteristiche, ma tutti sono accomunati dall’idea di allontanarsi dallo stile guittoniano. Essi

vogliono uno stile più limpido e lineare, che viene definito, appunto, dolce.

Sul piano dei contenuti, al motivo dell’omaggio feudale del cavaliere alla dama, si sostituisce una visione

molto più spiritualizzata della donna amata che, appunto, viene proprio gradualmente esaltata non solo per

le sue qualità femminili, ma soprattutto come una figura angelica, come se fosse un angelo in terra. In quanto

donna-angelo, la donna diventa dispensatrice, cioè colei che può donare all’uomo la salvezza, e una

mediatrice tra Dio e l’uomo: l’amore per la donna diventa la via per arrivare a Dio. È chiaro che facendo della

dama una dispensatrice, il poeta si caricava di una grossa responsabilità perché intellettualmente doveva

motivare la funzione della dama e quindi questa poesia è molto densa per i contenuti intellettuali, del

pensiero.

lo Stil novo si rivela come espressione dello strato più elevato delle nuove classi dirigenti comunali. La nobiltà

non dipende dalla nascita, ma dall’altezza di ingegno (Inferno V).

➢ Questa formula è stata coniata da Dante nel XXIV canto del Purgatorio, in cui Bonagiunta Orbicciani

chiede a Dante se è lui che “trasse le rime nove”. Bonagiunta fa questa domanda partendo dalla lirica

dantesca “Donne c’avete intelletto d’amore”. Dante risponde: “Io sono uno che quando Amore

m’ispira, noto, e a quel modo che ditta dentro vo’ significando” (quando l’amore lo ispira, egli lo

analizza in base a ciò che gli comunica: il tema che indaga l’animo del poeta è quello dell’amore

profondo e complesso). A questa risposta di Dante, Bonagiunta dice che allora comprende bene il

“nodo” che trattenne Iacopo da Lentini, Guittone d’Arezzo e lui stesso a non entrare nella cerchia di

Dante, cioè a tenersi “al di qua di quel dolce Stil novo che io odo”.

Di fatto, la novità stilnovistica della nuova poesia non fu sentimentale ma dottrinale e stilistica. Quest’ultima

consiste nella dolcezza, che nel pensiero di Dante era dolcezza di suono, da ottenere mediante la scelta

accurata di vocaboli, la loro semplice collocazione, il ripudio di suoni duri, di forme artificiose e aggrovigliate,

cioè il ripudio dello stile di Guittone, che, maestro ammirato della precedente generazione, è il bersaglio degli

stilnovisti.

 Dante parla di Amore, non per tradizione poetica, bensì perché un sentimento che lui stesso ha

provato. Non si tratta più di poesia occasionale.

La poesia è pura celebrazione d’amore amore metafisico, trascendentale.

“Dolce” “Novo”

Questo stile è detto appunto “dolce” “novo”, cioè ispirato all’iniziativa che

che sta ad indicare un ideale di fusione detta le “nove rime” (dà il via

melodica (indica una connotazione all’introduzione di nuove rime).

melodica). 

Il Dolce Stil Novo si ispira al linguaggio della scolastica non si tratta più di un linguaggio cristiano-

religioso.

GUIDO GUINIZZELLI (1235 – 1276)

Sulla sua identità si hanno notizie scarse e discordanti: alla tradizione, che lo vuole podestà di Castelfranco,

si è ormai sostituita un’altra ricostruzione, che lo identifica in un giudice o giurisperito, figlio di Guinizzello da

Magnano e di un’esponente della famiglia Ghisilieri, di simpatie ghibelline, e di conseguenza profondamente

inserito nelle vicende politiche del suo tempo. Infatti Guinizzelli sarebbe ricordato in atti notarili del 1266

come appartenente alla fazione ghibellina dei Lambertazzi: secondo questa ricostruzione, l’affermazione a

Bologna del potere guelfo nel 1274 lo avrebbe portato all’esilio a Monselice, dove sarebbe morto due anni

dopo.

Guinizzelli si dimostra rispettoso nei confronti di Guittone.

 Nell’opera di Guinizzelli, le due differenti anime - quella stilnovistica e quella più guittoniana - fanno

del poeta un’importante figura “di passaggio” tra la produzione dei siculo-toscani (quali appunto

Guittone o Bonagiunta Orbicciani) e quelle degli stilnovisti che individueranno in lui, insieme con

Guido Cavalcanti (1258ca - 1300) un punto di riferimento per l’elaborazione della nuova poetica

d’amore. Guinizzelli stesso è consapevole della frattura che lo separa da Guittone per le

caratteristiche della sua poesia, ma non manca di rendergli omaggio in un sonetto in cui si rivolge a

lui con l’appellativo “Caro padre meo”; al tempo stesso, da lui arriva uno dei “manifesti”

programmatici dello Stilnovo, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore.

È considerato padre e precursore dallo stesso Dante Alighieri.

Guinizzelli, pur essendo già morto quando lo Stil novo prende effettivamente corpo, ne è un irrinunciabile

precursore per quanto riguarda forme e stile della poesia d’amore

GUIDO CAVALCANTI (1258 – 1300)

Guido Cavalcanti nasce nel 1258 circa a Firenze in una famiglia guelfa bianca molto potente che ha

partecipato alla battaglia di Montaperti (1260). Di carattere solitario, dedito alla ricerca poetica e allo studio,

Guido Cavalcanti è tuttavia inserito nella vita politica della sua città, al punto da venir promesso, nel 1267, a

Beatrice, la figlia di Farinata degli Uberti, per favorire la pacificazione tra Guelfi e Ghibellini.

Nel 1300, durante il priorato di Dante, il livello degli scontri costringe le autorità cittadine ad esiliare i capi

delle due fazioni; Guido è mandato così a Sarzana (nella regione della Lunigiana, al tempo particolarmente

insalubre), dove probabilmente contrae la malaria. Richiamato a Firenze, Cavalcanti muore poco tempo

dopo.

➢ Fu proprio Cavalcanti a scoprire il giovane Dante e a segnare la carriera.

Nella Vita Nuova, Dante non smette di proclamare la sua identità di vedute con Cavalcanti.

Successivamente i rapporti tra i due entrarono in crisi, e ciò lo si nota dell’episodio di Farinata e

Cavalcante nella Divina Commedia.

CINO DA PISTOIA (1270 – 1336/7)

Nato da una famiglia pistoiese, egli st

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A.A. 2016-2017
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara.cattolica di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Frasso Giuseppe.