vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Vi è quindi una divisione del lavoro della parola. Per Lonzi non c’è promessa di libertà per la donna: non la
Chiesa, non la rivoluzione comunista, non la psicoanalisi, non le ideologie occidentali, non la promessa
emancipata di un lavoro, di una carriera. L’unica possibilità di libertà si rintraccia nella presa di parola delle
donne. “Sputiamo su Hegel. La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini e
non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale. La lotta di classe
ugualmente esclude la donna: noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato. La
forza dell’uomo è nel suo identificarsi con la cultura, la nostra nel rifiutarla. Comunichiamo solo con donne”.
5.1.2 - L’efficacia della grande narrazione: il simbolico
•• Il folle è un anormale, è un essere potenzialmente dotato di razione e di parole, mentre la donna è
definita da una posizione che la colloca altrove rispetto a ragione e parola, sembra quasi appartenere a
un’altra specie. Secondo Irigaray, quando la madre parla alla bambina, non parla da soggetto enunciante,
ma da soggetto ausiliario di chi parla veramente, ovvero il padre, che appunto partecipa a pieno titolo alla
vita comune. La bambina non sarà mai “io” perché la mamma non è mai stata “io”. La bambina, una volta
adulta, non sarà mai nella posizione della parlante, ma di colei che chiede conferma a chi detiene la
posizione attiva dell’enunciazione. Le donne sono insomma destinatarie di enunciazioni e contenuto di
enunciati altrui.
5.1.3 - Rappresentazione e rappresentanza
•• Tradizionalmente la posizione delle donne è quella di essere oggetto, non soggetti di pronunciamenti e
decisioni. Le donne in Italia diventano elettrici soltanto nel 1946, ma le elette sono ancora poche. Le
elettrici dicono “decidi tu per me”, com’è previsto dalla democrazia rappresentativa, ed è in continuità con la
strutturazione della posizione femminile nello scambio linguistico, dove il tu a cui ci si riferisce non è una
donna, che altrimenti verrebbe messa nella posizione di dire “io decido”. Nella democrazia rappresentativa
eleggo chi penso potrà rappresentare al meglio i miei diritti. È possibile rappresentare in Parlamento la
differenza femminile? È utile? Infatti, le donne non sono un gruppo sociale omogeneo, quindi non è che
una donna debba votare una donna soltanto perché donna. Si votano più uomini perché un uomo dà più
garanzie di una donna (?! - Nei capitoli precedenti si è tanto criticato il discorso sofistico che sembra logico
ma assume per corrette premesse che non lo sono, e poi si fa un discorso totalmente campato per aria,
secondo cui “il valore di una donna viene determinato in funzione di quello maschile, che ne è fonte e
garanzia”. Ma dove?!).
5.2 - Taci
•• Togliersi dalla posizione prevista dalla tradizione non è una operazione semplice né immediata, e non è
neanche una azione individuale. La donna, diversamente dal folle, non è privata del diritto alla parola
normale, ma non può accedere agli scambi linguistici che costituiscono la vita comune; al massimo può
entrare in questi scambi come oggetto dei discorsi altrui. La femminista secondo Lonzi deve allora fare
tabula rasa, privarsi delle garanzie che riceve da idee che non sono nate dai suoi bisogni, dai suoi desideri.
La donna deve disfare i legami con ciò che la precede storicamente e che storicamente non la riguarda né
la prevede. Oltre alla tradizione maschile c’è altro. C’è la donna che vive e pensa. Discontinuità.
5.2.1 - Il silenzio
•• Esiste un silenzio scelto per disintossicarsi dal “veleno paralizzante” delle idee maschili ricevute. Ma
esiste anche un silenzio, a seguito della presa di parola femminile, che si subisce, anche senza che sia
stato imposto dall’esterno. Il silenzio, quando non imposto, è una risorsa per dare peso alle parole che si
pronunciano. Il tacere per libera decisione è l’inizio della storia. È soltanto dopo aver accettato la propria
voce interiore che si possono avere tutti gli interlocutori possibili, secondo Lonzi.
5.3 - Anzi, parla
5.3.1 - L’esperienza
•• Secondo Lonzi e Cigarini, il lavoro per liberarsi da parole già dette è un lavoro continuo. In più, non tutto
ciò che ci accade trova immediatamente le parole per dirsi. Stare al proprio posto, svolgere il ruolo del
personaggio che ci è stato assegnato nell’intreccio, ci conforta, ci orienta. Il prezzo da pagare può essere
altissimo: non sapere già vedere quel che effettivamente viviamo.
5.3.2 - Esperienza e politica
•• Perché il linguaggio possa rendersi conto della realtà è necessaria la politica, ovvero il vivere insieme
agli altri. È un lavoro di libertà che non si accontenta di criticare il già detto, ma inaugura un cammino di
ricerca che coinvolge tutto quello che ci capita.
5.3.3 - La presa di parola
•• Secondo Michel de Certeau il Sessantotto è stata una “rivoluzione della parola”. Il movimento contesta
ricorrendo all’azione simbolica, disarticolando la gerarchia dei valori, dei criteri del vero e del falso. Nel
1968 è la parola a essere stata liberata. Tutti hanno ottenuto il diritto di parola. Secondo Muraro, però, la
società si è riorganizzata perché la parola perdesse d rilevanza ai fini del proprio funzionamento. In un
regime che dura ancora oggi, dire tutto è possibile, perché quel dire è diventato irrilevante ai fini dell’azione
e della decisione. Prendere parola non è un gesto individuale, ha una portata simbolica, ma rischia di
diventare irrilevante se perde la sua caratteristica di essere una pratica di trasformazione. Le parole non
insorgono perché per loro natura si prestano a tutto e possono significare il falso o l’ingiusto con la stessa
forza del bello e del giusto.
5.3.4 - Il partire da sé
•• Diversamente dal parlare, che può non ricevere nessun ascolto o ritorno significativo, la presa di parola
esige e presuppone una relazione. Secondo Lonzi il femminismo ha inizio quando la donna cerca la
risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna perché capisce che il suo unico modo di ritrovare se stessa
è nella sua specie (?!?!?). L’autocoscienza femminista riporta il problema della dipendenza personale nella
specie femminile. Accorgersi che ogni aggancio al mondo maschile è il vero ostacolo alla propria
liberazione fa scattare la coscienza di sé tra donne. Solo così è possibile l’azione creativa. Il radicamento
nella vita concreta è la condizione che impedisce alla parola di ridiventare superflua. Questa condizione
avviene attraverso dei gesti definiti che la politica delle donne ha chiamato “il partire da sé”. Il partire da sé
richiede che chi parla sia implicato in ciò che dice. Partire da sé significa parlare partendo da esperienze
che ci riguardano da vicino, con l’effetto di disfare i luoghi comuni che ci vengono cuciti addosso. Partire da
sé significa prendere inizio da se stessi per andare altrove, per leggere la propria implicazione nel mondo.
5.4 - L’efficacia
•• A legare linguaggio e politica è la parola trasformativa. Parlare non ha un risvolto immediatamente
comunicativo, non si configura con le caratteristiche trasformative dell’azione: si può parlare senza essere
ascoltati, senza essere incisivi, senza modificare se stessi e la realtà di cui si è parte. Perché la parola sia
efficace è necessario che mostri la sua implicazione: la dipendenza mostrata, anziché indebolire la parola,
le dà forza e consistenza.
5.4.1 - La passività
•• Simone Weil dice che esiste una verità che si rivela attraverso la sospensione dell’attribuzione rapida di
significati, attraverso un ascolto, che lei chiama attenzione, delle cose così come sono. Significa farsi
passivi in attesa di un significato. C’è un silenzio che non appartiene a nessuno e si crea quando si è in
attesa di parole pensanti e non semplicemente pensate. Questo silenzio è difficile da sopportare, in quanto
appare come un buco nero, e allora lo si riempie frettolosamente dicendo qualsiasi cosa. Eppure la pratica
di pensiero in presenza ha un grande bisogno che si sappia reggere questo silenzio. Accoglierlo significa
essere sorretti dalla fiducia che in questo modo si sta in un’altra forma di ascolto, che rinuncia
all’inessenziale, in attesa di ciò che non è immediatamente a disposizione. Esistono passività che anziché
diminuire aumentano la possibilità di dire il vero. La parola assume peso attraverso l’ascolto che suscita
attraverso il peso della materialità dell’esistenza, e questo accade grazie a un abbandono iniziale, a una
resa.
5.4.2 - L’autorità
•• L’autorità è nelle mani non di chi la ha, ma di chi la riconosce. Il riconoscimento attivo dell’efficacia delle
parole pronunciate spetta a chi le ascolta. Secondo Arendt la parola autorevole è quella che esclude
qualsiasi forma di coercizione (“dove si impiega la forza, l’autorità ha fallito”) e anche qualsiasi forma di
persuasione (“dove si impiegano argomenti di persuasione, l’autorità è messa a riposo”). Secondo altre
donne, la parola autorevole sarebbe quella che, pronunciata, aumenta il grado di libertà disponibile.
5.5 - Lingua bene comune
•• Linguaggio e politica sono connessi: vivere insieme implica parlarsi e saper parlare. Questa unione dà
vita a una alleanza inquieta, in quanto a volte il linguaggio è lo strumento della sopraffazione, altre volte
sembra essere lo strumento che abbiamo per intervenire sull’ingiustizia e per interrompere l’esercizio della
violenza nelle relazioni. La politicità della lingua consiste nel suo essere costantemente fatta e rifatta da ciò
che questa rende possibile, ovvero il vasto flusso degli scambi tra parlanti. La lingua diventa il tessuto
connettivo che ci permette di vivere. La lingua è di tutti. Alla base della lingua vi è con-flitto e con-divisione:
senza il conflitto che si apre contro ordini del discorso usurati e strumentali non si apre lo spazio della
scoperta e dell’innovazione di ordini discorsivi più consoni all’esperienza dei parlanti; senza la condivisione
la lingua non è più tale e diventa mutism