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Canetti ogni massa chiusa si trova prima o poi esposta a ribellioni contro riti e cerimoniali che la limitano.
Anche il potere ha una pulsione nel comando: chi ha più potere può comandare chi ha meno potere. Ma chi
ha meno potere può liberarsi dell’ordine o trasmettendo a sua volta l’ordine a un subalterno o ribellandosi
contro il superiore alleandosi (facendo massa) con i subalterni. Il contraccolpo ricevuto da chi detiene più
potere genera in questo una “angoscia del comando”. Le “masse invisibili” (morti, spiriti, demoni, angeli…)
condizionano i comportamenti individuali e collettivi. Il complesso persecutorio è proprio della massa, che è
assillata dal timore di nemici non solo esterni, ma anche dal ben più insidioso nemico interno. Oggi la
“massa aizzata moderata” delle moderne società democratiche continua il rituale sacrificale con le
“uccisioni” simboliche allestite dalla gogna mediatica degli organi di informazioni. I rituali svolgono la
funzione di “camera di compensazione” che trasforma la “muta di caccia” in “muta di accrescimento”.
2.4 - In principio era il comando: l’uomo e l’animale
•• L’origine del potere va rintracciata nell’atto di “incorporazione” della preda, con la bocca e con i denti. Il
legame fondante del potere non è espresso inizialmente dalla coppia comando-obbedienza, ma dalla
coppia comando-fuga. La più antica forma di comando è la fuga, che l’animale più forte spinge a compiere
all’animale più debole. La differenza tra umani e animali è che tra gli umani il comando di fuga avviene tra
individui della stessa specie. Poi l’uomo si distanzia dagli animali quando abbandona il “comando di fuga”.
Comunque, la differenza tra animali e umani non è di tipo qualitativo ma quantitativo: la “domesticazione”
non cambia completamente l’essenza del comando. Comunque, anche se la differenza è quantitativa,
esistono alcuni tipi di relazioni specificamente umane. Infatti, se l’espressione immediata della forza è un
dato biologico e animale, la relazione di potere è invece specificamente ed esclusivamente umana. Gli
stessi rapporti di forza nel mondo animale non sono in realtà mai fini a se stessi come accade nelle
relazioni umane, ma dipendono da un complesso sistema segnaletico che fissa la posizione di ogni
individuo della stessa specie dentro il funzionamento di un gruppo e di individui di specie diverse dentro un
habitat naturale. Ogni comportamento animale si ha quindi sempre entro i limiti fissati da un codice
istintuale finalizzato alla regolazione della vita collettiva e del contesto ambientale di appartenenza. Infatti,
quando un animale espleta la sua funzione soddisfacendo i propri bisogni, si sente pienamente appagato,
mentre gli umani non conoscono appagamento perché sono governati da un desiderio illimitato.
Si deve operare una distinzione tra comando-a-singoli e comando-a-molti. Ogni comando è costituito da
due elementi: un impulso (una energia motoria, la pressione a eseguire l’ordine), e una spina (che rimane
in chi esegue l’ordine, trasformando la naturale resistenza iniziale dell’oppresso in ribellione aperta). La
spina però si forma solo quando il comando si rivolge a un singolo soggetto. Nella massa, invece, il
comando si diffonde orizzontalmente e, anche se alcuni si ribellano, il movimento si disperde senza creare
alcuna spina. La spina del comando non agisce solo sugli assoggettati, ma anche su coloro che
comandano, trasformandosi in una “angoscia del comando”. Il potente allora può o sbarazzarsi della spina
rinunciando al potere o chiudersi nel delirio paranoico di “sopprimere gli altri” per essere il Sopravvissuto
per antonomasia.
2.5 - La paranoia del potere
•• La logica del potere è fatta sia della spinta all’accrescimento sia dall’ossessione paranoica della
sopravvivenza a ogni costo. Questi due poli convergono in una azione di anti-metamorfosi. Bisogna
distinguere la natura dalla cultura, mentre spesso le confondiamo. Dominio capitalistico e tecnica globale
sono il prodotto di un processo storico-culturale specifico, anche se alcuni presupposti antropologici erano
virtualmente presenti sin dalle origini dell’animale umano, come l’illimitatezza del desiderio. Questa
illimitatezza non si è manifestata prima dell’avvento della globalizzazione, se non in misura contenuta. Il
bisogno di identitarietà è presente in tutte le comunità umane, come delimitazione dei confini fondata sulla
divisione noi/altri. Oggi la logica identitaria si è trasformata in ossessione identitaria. La produzione
moderna è un incremento “mostruoso” dell’antico contenuto della muta di accrescimento, e l’aumento
costante non si riferisce solo ai prodotti, ma anche a una massa crescente di uomini, come potenziali
compratori. Dal moltiplicarsi degli oggetti si arriva al moltiplicarsi degli uomini. In un mondo segnato da una
crescita esponenziale della produzione di massa e della tecnica, il potere è diventato troppo grande, così
come l’angoscia del comando che da sempre assilla i potenti. Canetti non intravede possibilità di
liberazione. Dietro l’enigma del potere si nasconde sempre il potenziale di violenza. Noi siamo nella
prigione dell’Uno, ma l’Uno prima di costituirsi come Potere si origina dalla potenza simbolica incapsulata
nella logica dell’identità. Com’è possibile uscire dalla prigione dell’Uno, dalla logica identitaria della potenza
e della crescita senza limiti? Lo scrittore può isolarsi e rinunciare a sopravvivere nel presente per poter
vivere presso i posteri (e in questo modo lo scrittore incarna la figura del custode della metamorfosi),
offrendo un quadro che è esattamente l’opposto di quello fornito dai potenti che portano con sé nella Morte
tutto ciò che li circonda, ma è appunto una liberazione riservata solo a pochi. Altro modo per uscire dalla
prigione dell’Uno è semplicemente la fuga: se l’uomo vuole andare via e il posto non ha nome, è indefinito
e senza confini, allora lo si chiama libertà, e si attua una fuga laterale, facendo “come se” non ci fossero più
confini, divieti, barriere identitarie.
3 - Potere, identità, scrittura: Herta Müller
3.1 - Il timeless time del potere
•• La nostra condizione di esistenza nel mondo globalizzato appare dominata da una mega-macchina
senza mete e senza logica che procede a ritmi sempre più accelerati sotto la spinta del profitto e del
successo a breve termine. Ma è possibile trovare una linea di resistenza in grado di spezzare questo
circolo vizioso di potere e sopravvivenza, facendoci uscire dalla sindrome del futuro passato? Questo
potrebbe accadere solo se scrittori e filosofi si trasformassero in “geografi dell’esistenza”. In Müller il Potere
si trasforma da canettiano “recipiente della massa” in sistema paranoico di controllo capillare e
indifferenziato in cui ognuno finisce per diventare un potenziale eversore dell’ordine.
3.2 - Bassopiano
•• Müller assume la prospettiva “dal basso”, anzi “dalla bassura”, “dal bassopiano”, e da qui è possibile
vedere lo statuto paradossale della normalità.
3.3 - Finzione
•• Secondo Müller la resistenza è possibile solo attraverso una percezione inventata, una sorte di collisione
tra cose del mondo esterno e “immagini” del mondo interno. Müller è dura con la rappresentazione di riti,
abitudini e codici relazionali della propria comunità di origine. Müller abbandona la “patria fisica” per
ritrovarla nella propria lingua materna (ci si può sentire a casa solo dove si ha la libertà di dire tutto ciò che
si vuole dire).
3.4 - Disappartenenza
•• La scrittura può rivestire il ruolo “finzionale” dell’esistenza. Müller è straniera due volte: straniera nella
patria d’origine che si è lasciata alle spalle e straniera nell’esilio. La tensione tra estraniamento e ricerca
dell’identità conferisce alle sue opere una tonalità oscillante tra melanconica apatia e angoscia, ribellione
impotente e rassegnazione. Nessun cambiamento della vita può avere luogo se l’esistenza si trova
immersa nelle logiche del potere. Lo stato di privazione in cui si trovano gli individui non di pende dalla
presunta miseria della condizione umana naturale, ma deriva dalle logiche di s-possessamento,
dislocamento dell’identità indotte dal potere. Il carattere onnipervasivo che riveste la sorveglianza negli
stessi sistemi democratici contemporanei, l’idea di essere costantemente osservati e classificati induce nei
soggetti uno sdoppiamento che crea fenomeni ossessivi e patologici di auto-osservazione. Noi non
viviamo, ma una potenza estranea ci sta vivendo, e continua a sorvegliarci anche quando pensiamo di
essere fuggiti verso la libertà (“Io non sono cresciuta, ma sono stata cresciuta”). Il potere sorveglia anche le
parole.
4 - Mutazioni e metamorfosi. La nuova scena del potere
4.1 - Il discorso del potere dopo il postmoderno
•• Secondo molti il potere è un feticcio concettuali di cui è bene sbarazzarsi al più presto. Le teorie
neofunzionaliste propongono una sorta di eutanasia del potere, destinato a una graduale ma inesorabile
estinzione in vista di una differenziazione sociale: una società organizzata secondo la divisione in sistemi
funziona ottimizzando ciclicamente i propri equilibri. Secondo Marameo invece oggi assistiamo alla nascita
di nuove forme di potere postdemocratico. Secondo de Kerckhove, la democrazia è figlia dell’alfabeto, e
quindi del logos dialogico (che presuppone il discorso razionale). Ma fino a che punto la democrazia potrà
conciliarsi con le nuove condizioni dell’era post-elettronica e digitale? Oggi si stanno formando delle
oligarchie elettroniche, dalle quali proviene una nuova dimensione del potere. Oggi il potere ci si presenta
fuso con i media.
4.2 - Flussi globali e poteri di fusione
•• Oggi noi identifichiamo la globalità con i flussi della globalizzazione economica, mentre il tratto
essenziale di questa è l’avvento di un nuovo tipo di potere, il “potere di fusione”, che consiste nella
possibilità di decostruire-ricostruire i nuclei di potere con relativa rapidità.
4.3 - Auto-decostruzione
•• Il potere oggi non può più essere ricercato nelle logiche del “modello Westfalia”, nelle logiche di un ordine
internazionale incentrato su relazioni di pace-