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LA SCELTA DEI CAPI

L’idea di democrazia implica assenza di capi. L’idea di libertà della

democrazia, l’assenza di dominio e, con ciò, di capi, è irrealizzabile. La

realtà sociale è il dominio, l’esistenza dei capi. Quello che ci si chiede è

come si crei il capo. È caratteristico della democrazia non tanto che la

volontà dominante sia la volontà del popolo, quanto che il maggior

numero possibile di membri della collettività, partecipi al processo della

formazione della volontà sebbene soltanto, ad un certo stadio di questo

processo, chiamato legislazione e solo con la creazione dell’organo

legislativo. La conseguenza che ne risulta è che la funzione specifica

dei capi che escono dalla massa viene limitata all’esecuzione delle

leggi. Alla questione se la separazione dei poteri sia un principio

democratico o no, non è dato, per quanto riguarda l’opposizione fra

ideologia e realtà, dare una risposta univoca. Dal punto di vista

dell’ideologia, una separazione dei poteri non corrisponde affatto all’idea

che il popolo non debba essere governato che da sé stesso. Da questa

tesi infatti risulterebbe necessariamente che tutti i poteri e tutte le

funzioni di formazione della volontà dello Stato dovrebbero essere

riunite in mano al popolo o, almeno, al Parlamento che lo rappresenta. Il

dogma della separazione dei poteri è il nocciolo dell’ideologia della

monarchia costituzionale. Da ciò deriva la teoria difesa dai

costituzionalisti, della parità, dell’uguaglianza e dell’indipedenza

dell’esecuzione di fronte alla legislazione. Teoria, questa, che esercita

grande influenza nella pratica della monarchia costituzionale. Quando,

nella cosiddetta repubblica presidenziale, il potere esecutivo viene

affidato ad un presidente che non è nominato dal Parlamento, ma

direttamente dal popolo, e quando l’indipendenza di questo presidente,

investito della funzione esecutiva, nei confronti della rappresentanza

nazionale è assicurata in altro modo, ciò significa un rafforzamento del

principio della sovranità popolare. Ciò che in un Parlamento comprende

tutti i partiti è forse possibile, cioè che dalla cooperazione di tutte queste

forze risulti qualcosa che si possa considerare come una volontà

nazionale, risulta invece impossibile nel caso del presidente nominato

per elezione presidenziale diretta, il quale è perciò del tutto indipendente

dal Parlamento. La separazione dei poteri agisce, tuttavia, anche in

senso democratico: in primo luogo in quanto essa significa una divisione

del potere di cui impedisce una concentrazione favorevole

all’espansione e all’esercizio arbitrario; in secondo luogo, in quanto essa

tende a sottrarre lo stadio importante della formazione della volontà

generale dello Stato all’influenza diretta del governo permettendo ai

sudditi di influenzarla direttamente e riducendo la funzione del governo

alla ratificazione legislativa delle leggi. La creazione di questi numerosi

capi diviene il problema centrale della democrazia reale, la quale si

distingue dall’autocrazia reale non tanto per l’assenza quanto, piuttosto,

per il gran numero di capi. E così, un metodo particolare di selezione dei

capi dalla collettività dei governati appare come elemento essenziale

della democrazia reale. Questo metodo è l’elezione. Di fronte a questa

speciale funzione della democrazia ricompare il problema che ci si era

già presentato a proposito del fenomeno democratico: la divergenza fra

ideologia e realtà. Nell’ideologia democratica, l’elezione deve essere

una delegazione di volontà dell’elettore all’eletto. Rousseau diceva che

non ci si può far rappresentare nella volontà. Poiché la volontà, per

rimanere libera, deve determinarsi soltanto da sola, la volontà

dominatrice degli eletti deve valere come volontà degli elettori.

L’interpretazione reale di questa funzione è diversa; essa si presenta

come un metodo di creazione di organi che si oppone ad altri metodi per

due tratti caratteristici: prima poiché essa non è una funzione semplice,

ma composta, alla costituzione della quale concorre una moltitudine di

organi incompleti; poi, perché l’organo creato dall’elezione è superiore

agli organi creatori dato che, dalla elezione, si forma un organo che crea

la volontà dominatrice che sottomette gli elettori, le norme che li legano.

Per questi due tratti, l’elezione si oppone direttamente alla nomina,

metodo di creazione d’organi proprio dell’autocrazia reale. Il secondo di

questi tratti caratteristici dell’elezione, cioè che i governati designano il

loro capo, e, i soggetti alle norme, l’autorità che le crea è precisamente

uno dei motivi che porta alla finzione della delegazione della volontà.

L’autorità sociale infatti viene immaginata come un’autorità paterna; e

quest’origine psicologica dell’autorità sociale rifiuta l’idea di una

creazione dell’autorità da parte dei sottoposti a questa autorità stessa.

Una tale idea, infatti, verrebbe a significare che il padre è generato dai

figli, che il creatore è creato dalle creature. Attraverso l’elezione

democratica, il capo viene promosso tale dalla collettività, ma è titolato

nel seno dei governati stessi al rango di capo. Secondo l’ideologia

autocratica, il capo non è un organo creato dalla collettività o che da

essa possa esser creato. Egli è un essere la cui origine non risulti

comprensibile all’intelligenza umana. La direzione esercitata dai capi

rappresenta un valore assoluto che si esprime nella divinizzazione del

capo. Nel sistema dell’ideologia democratica il problema della

creazione dei capi sta al centro di considerazioni razionali. La direzione

esercitata dai capi non rappresenta un valore assoluto, ma un valore

relativo: il capo appare come “capo” soltanto per un certo periodo e

secondo certi punti di vista. Poiché ognuno può essere eletto capo,

questa qualità non è il monopolio permanente di un individuo o di un

piccolo gruppo di individui. Il problema politico-sociale è soltanto di

sapere in qual modo il migliore o i migliori possano arrivare al potere e

mantenerlo. La democrazia facilita l’ascesa al potere garantendo, nel

medesimo tempo, la rapida rimozione del capo che non faccia buona

prova, mentre l’autocrazia, coi suoi principii della funzione a vita o

persino dell’eredità delle funzioni, agisce in senso esattamente

contrario.

DEMOCRAZIA FORMALE E DEMOCRAZIA SOCIALE

I Marxisti, alla democrazia fondata sul principio di maggioranza, da essi

considerata come democrazia formale, borghese, oppongono la

democrazia sociale o proletaria, cioè un ordine sociale che garantirebbe

agli individui non soltanto una partecipazione uguale alla formazione

della volontà della collettività, ma anche una uguale quantità di

ricchezze. È il valore di libertà e non quello di uguaglianza a

determinare l’idea di democrazia. Poiché tutti devono essere liberi nella

maggior misura possibile, tutti debbono partecipare alla formazione della

volontà dello Stato e, in conseguenza, in grado uguale. La lotta per la

democrazia è, storicamente, una lotta per la libertà politica, vale a dire

per la partecipazione del popolo alle funzioni legislative ed esecutive.

Uguaglianza significa giustizia ed è quindi polivalente di significati. La

teoria marxista, o meglio, la dottrina bolscevica, vuole sostituire

all’ideologia della libertà, l’ideologia della giustizia, servendosi della

parola “democrazia” che rappresenta un certo metodo di creazione

dell’ordine sociale, per indicare un contenuto di quest’ordine sociale,

che non ha alcun rapporto essenziale col suo metodo di creazione. Con

questa nozione di democrazia sociale, si nega la differenza fra

democrazia e dittatura e si considera la dittatura che si asserisce realizzi

la giustizia sociale come “vera” democrazia. Ne risulta un ingiusto

svilimento della democrazia attuale e, in conseguenza, del merito della

classe che l’ha favorita perfino, in parte, contro i propri interessi

materiali. Se la democrazia borghese rimane allo stadio dell’uguaglianza

esclusivamente politica, se tale uguaglianza politica non porta

all’uguaglianza “economica”, lo si deve al fatto che, il proletariato,

interessato all’uguaglianza economica e alla nazionalizzazione o

socializzazione della produzione, non costituisce la schiacciante

maggioranza del popolo. È questo il principale motivo per cui una

frazione del partito socialista ha modificato i principii del proprio metodo

politico e questo è pure il motivo per cui alla democrazia, che Marx ed

Engels consideravano conciliabile come la dittatura del proletariato, si è

sostituita una dittatura che si presenta come l’assolutismo di un dogma

politico e di una dittatura di partito che incarna tale dogma.

DEMOCRAZIA E CONCEZIONI DELLA VITA

Per la soluzione del problema sociale sembra essere importante

stabilire come l’ordine politico o sociale debba essere costituito, se su

base socialista o capitalista, se tale ordine debba spingersi entro la

sfera dell’individuo o limitarsi ad un minimo; in breve, non tanto

determinare come le norme debbano essere create, quanto quello che

deve essere stabilito dalle norme. Il democraticismo ha la spiccata

tendenza a porre il problema decisivo in questo senso, mentre

l’autocratismo respinge la forma politica in secondo piano. La causa

della democrazia risulta disperata se si parte dall’idea che sia possibile

la conoscenza della verità assoluta, la comprensione di valori assoluti.

Infatti, di fronte all’autorità del bene assoluto che tutto domina, a coloro

cui questo bene porta la salute non resta che l’ubbidienza, l’ubbidienza

incondizionata e grata a colui che, in possesso del bene assoluto,

conosce e vuole tale bene; un’ubbidienza che, senza dubbio, non può

poggiare che sulla fiducia che l’autorità del legislatore sia in possesso

del bene assoluto, nello stesso modo in cui si ammette che la

conoscenza di questo bene resti interdetta alla grande massa dei

sudditi. La fiducia nell’esistenza della verità assoluta e di valori assoluti

pone le basi di una concezione metafisica e, particolarmente, mistico-

religiosa del mondo. Ma la negazione di tale principio, l’opinione

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lujio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof Jellamo Anna.