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Riassunto esame Filosofia Politica, prof. Jellamo, libro consigliato La Democrazia, Hans Kelsen Pag. 1
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INTRODUZIONE MAURO BARBERIS

“Se c’è un modo per sottrarsi all’influenza del potere, questo è la scienza. Magari

proprio la scienza del potere, che diviene allora una dottrina pure dello Stato e del

diritto.”

Hans Kelsen esplicita e articola l’ideologia liberaldemocratica che dopo il 1989 ha

rappresentato il senso comune politico dell’Occidente. Kelsen resta anzitutto un

giurista che proviene da discipline come il diritto costituzionale e il diritto

internazionale.

1. Kelsen: un teorico del diritto

I critici hanno individuato due tipi di compromissioni per quanto riguarda Kelsen: i

testi del primo Kelsen, incline al marxismo, sono comunemente di tipo liberistico e/o

filocapitalistico; mentre i testi del secondo ed ultimo Kelsen, incline al

giusnaturalismo, sono di tipo statalistico e/o filosocialistico. Oggi non è più possibile

parlare della teoria di Kelsen senza specificare di quale Kelsen si stia in realtà

parlando. Fra le varie periodizzazioni, Eugenio Bulygin distingue fra un primo Kelsen

“europeo” o meglio ancora, “austriaco”, prevalentemente neokantiano, un secondo

Kelsen “americano”, in cui il neokantismo è controbilanciato da influenze empiristiche

e neopositivistiche, e il c.d. ultimo Kelsen, nel quale non solo l’empirismo tende a

soppiantare il neokantismo, ma alcune importanti tesi precedenti vengono

addirittura rigettate.

1. Kelsen: un teorico della politica

Non solo Kelsen resta un teorico de diritto, ma lo resta anche quando si occupa di

politica. Egli non può fare a meno di riconoscere l’esistenza della politica “come etica

sociale e tecnica”: ovvero, da un lato, come filosofia politica, dall’altro come scienza

avalutativa della politica, relativa ai mezzi tecnici indispensabili alla realizzazione di

quei fini. Il primo Kelsen opera in un contesto politico nel quale il termine

“democrazia” non designa più un valore largamente condiviso, e non designa ancora

un fenomeno da studiar empiricamente, ma un oggetto di discussione. Per quasi tutti

gli anni Venti, Kelsen, allora membro della Corte Costituzionale, parlerà di democrazia

soprattutto come costituzionalista.

Kelsen segnala anzitutto la tensione fra l’ideale democratico dell’identità di

governanti e governati, ideale che giustificherebbe solo la democrazia diretta, e la

realtà moderna della divisione del lavoro, che imporrebbe invece la democrazia

rappresentativa; l’enfasi del suo discorso, batte proprio sull’indissolubilità di

parlamentarismo e democrazia, contro le nostalgie corporativistiche e le tentazioni

plebiscitarie operanti sullo scenario politico centroeuropeo.

Kelsen non sembra però disposto a transigere sui principi di una rappresentanza (non

corporativa, ma) parlamentare, e di un sistema elettorale (non maggioritario, ma)

proporzionale. Il maggior contributo kelseniano, Essenza e valore della Democrazia

(1929), uscito nello stesso anno delle dimissioni di Kelsen dalla Corte Costituzionale

austriaca, si presenta come un’analisi realistica della situazione politica. In una società

divisa in classi e attraversata da profonde lacerazioni ideologiche, un Parlamento

democratico eletto fornisce una sorta di camera di compensazione dei conflitti: in

questo senso “la democrazia è il punto di equilibrio verso il quale il pendolo politico,

oscillante a destra e a sinistra, dovrà sempre ritornare”. Dunque, “se c’è una forma

politica che offre la possibilità di risolvere pacificamente questo conflitto di classi,

questa forma non potrà che essere quella della democrazia parlamentare”.

Kelsen muove da una versione classistica e conflittualistica dei rapporti sociali

imparentata con quella marxista, ma soprattutto egli sopravvaluta la capacità di

tenuta delle istituzioni parlamentari austro-tedesche.

La fine di Weimar vede l’espulsione di Kelsen dall’Università di Colonia e l’inizio delle

sue peregrinazioni fra Ginevra, dove insegna diritto internazionale, Praga, dove tiene

corsi di Filosofia del diritto, e gli Stati Uniti. In questi anni Kelsen si occuperà

soprattutto di Diritto Internazionale.

1. Kelsen: un teorico del diritto e della politica

Kelsen seleziona motivi elaborati del pensiero liberale e democratico a partire dall’età

delle rivoluzioni occidentali, e li connette in una sintesi che vuole reggere le grandi

sfide del 900. Così facendo, peraltro, egli fornice una teoria della democrazia

effettivamente corrispondente alle idee circolanti.

Quella di Kelsen, anzitutto, è una concezione RELATIVISTICA della democrazia: una

concezione che si candida come adeguata all’epoca del crepuscolo degli idoli e del

politeismo dei valori. Il carattere metodico e procedurale della teoria kelseniana della

democrazia si fonda proprio su questo assunto relativistico: non c’è più qualcosa

come un bene comune, e in sua assenza si può solo mediare fra una pluralità di valori

in conflitto. Otto Kirchheimer sin dagli anni Venti, osserva che “quando non esiste più

alcun valore comune, non è affatto evidente perché sia la maggioranza a dover

decidere”. Kelsen ammette anche che “la democrazia non funziona quando

l’antagonismo tra maggioranza e minoranza è così forte da rendere impossibile ogni

compromesso”. Può esserci democrazia solo in una situazione intermedia fra due

estremi, costituiti rispettivamente dalla condivisone di valori oggettivi e assoluti. Se

le cose stanno così allora la democrazia sarà possibile solo ove il relativismo etico non

sia esso stesso assoluto, ma relativo: deve pur sempre esservi uno sfondo di valori

comuni, perché discutere e votare abbia un senso.

Quella di Kelsen, poi, è una concezione non solo FORMALE, ma anche PROCEDURALE

della democrazia: “democrazia” indica anzitutto quel metodo per prendere decisioni

politiche consistente nel discutere e nel votare a maggioranza. Anche grazie ad autori

come Kelsen, è sempre più diffusa la consapevolezza che sia proprio il rispetto di

alcuni requisiti formali, l’osservanza di certe regole, il principale tratto distintivo della

democrazia.

Quella di Kelsen, inoltre, è una concezione REALISTICA, ELITISTICA ed

INDIVIDUALISTICA della democrazia. Si tratta di concezione realistica, perché Kelsen

mira a mostrare la distanza che corre fra la realtà politica ed ideologia. ELITISTICA

perché rifiuta le dottrine della rappresentanza e della sovranità popolare, mostrando

di considerare la democrazia “reale” come procedura per la scelta dei capi.

INDIVIDUALISTICA perché Kelsen critica concetti come quello di Stato o di popolo in

quanto i fenomeni collettivi ad essi corrispondenti potrebbero studiarsi solo

riducendoli a soggetti e rapporti individuali.

Quella di Kelsen è una concezione PARLAMENTARISTICA della democrazia perché

costruita attorno alla “centralità” o a “primato” del Parlamento. Kelsen non riesce a

concepire il sistema presidenziale, ad esempio, se non come forma più o meno

mascherata di autocrazia.

Quella di Kelsen è una concezione PARTITICA, CONSOCIATIVISTICA e

PROPORZIONALISTICA della democrazia: una concezione per la quale i partiti

sarebbero gli autentici soggetti della vita democratica, l’obbiettivo dei partiti sarebbe

meno la competizione che la consociazione (il compromesso), e il raggiungimento

dell’obbiettivo sarebbe assicurato da un sistema proporzionale.

Quella di Kelsen è una concezione PACIFISTICA della democrazia perché nei rapporti

interni ai singoli Stati, nei quali la democrazia si presenta appunto come strumento

per risolvere pacificamente i conflitti sociali, Kelsen persegue dichiaratamente l’ideale

kantiano della “pace attraverso il diritto”.

Quella di Kelsen è una concezione LIBERALE della democrazia, per la quale “la

democrazia moderna non può essere separata dal liberalismo politico”, cioè dal

principio per cui “il governo non deve interferire in certe sfere di interesse di interessi

proprie dell’individuo”.

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Publisher
A.A. 2016-2017
4 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lujio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof Jellamo Anna.