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ASSOLUTISMO E RELATIVISMO FILOSOFICO
Da quando Aristotele presentò la sua Politica come seconda parte di un trattato la cui prima parte era l’Etica, è cosa ormai pacifica che la teoria
politica e quella parte della filosofia chiamata “etica” siano fra loro in stretta connessione: il processo del potere non è molto diverso da quello
della conoscenza.
La radice comune del credo politico e della convinzione filosofica rimane sempre la mentalità dell’uomo politico e del filosofo, la natura del suo
ego, cioè il modo in cui questo ego sperimenta se stesso nel suo rapporto con un altro che pretende a sua volta di essere un ego e con gli oggetti
che non avanzano tale pretesa. È infatti il medesimo uomo quello che cerca di interpretare i suoi rapporti con i propri simili e l’ordine di tali
rapporti, come pure il suo rapporto con il mondo esterno. Ma proprio perché la politica e la filosofia hanno origine nell’animo dell’essere umano
empirico e non nella sfera della pura ragione, non dobbiamo aspettarci che una certa opinione politica sia collegata sempre e dovunque ad un
sistema filosofico che logicamente corrisponde ad essa: la mente umana non è completamente dominata dalla ragione e perciò non è sempre
logica.
Occorre anche non sottovalutare il fatto che ogni regime politico sveglia inevitabilmente una opposizione e in tal modo coloro che, per un
motivo o per l’altro, sono insoddisfatti di un regime democratico si schiereranno probabilmente a favore dell’autocrazia e coloro che per qualche
motivo sono delusi dal regime autocratico si rivolgeranno alla democrazia.
Tuttavia, va detto che la relazione tra politica e filosofia può essere affermata solo se si tiene conto che il filosofo non ha sviluppato una teoria
politica e che, viceversa, il politico non ha ancora raggiunto lo stadio in cui ci si pone coscientemente il problema filosofico. L’assolutismo
filosofico consiste nell’opinione metafisica secondo cui vi è una realtà assoluta, vale a dire una realtà che esiste indipendentemente dalla
conoscenza umana, e che si trova al di là dello spazio e del tempo, termini in cui la conoscenza umana è limitata. Il relativismo filosofico,
invece, sostiene la dottrina empirica secondo la quale la realtà esiste soltanto entro i limiti della conoscenza umana e, come oggetto di tale
conoscenza, è relativa al soggetto cosciente.
Senza dubbio vi è un aperto conflitto tra libertà assoluta ed uguaglianza. Ma il soggetto cosciente è libero non in modo assoluto, ma relativo, è
libero sotto le leggi della conoscenza razionale, e tale libertà non è incompatibile con l’uguaglianza di tutti i soggetti coscienti. La restrizione
della libertà per mezzo di una legge secondo cui tutti i soggetti sono eguali è essenziale per il relativismo. Invece, dal punto di vista
dell’assolutismo filosofico, non è l’uguaglianza dei soggetti ad essere essenziale ma, al contrario, la loro fondamentale inuguaglianza in
relazione all’essere assoluto e supremo.
L’IDEA DI LIBERTA’ NATURALE E SOCIALE
Se la libertà ed uguaglianza sono elementi essenziali del relativismo filosofico, l’analogia di questo con la democrazia politica diventa ovvia:
libertà ed uguaglianza sono le idee fondamentali della democrazia.
L’uomo sente il peso di una volontà impostagli e tende a domandarsi il motivo per il quale un altro soggetto ha il diritto di dominarlo, se tutti gli
uomini sono uguali. E allora nessuno avrebbe il diritto di dominare gli altri; ma sebbene la libertà ed uguaglianza sembrino non essere
realizzabili allo stesso tempo, l’ideologia politica insiste ad unirle nell’idea di democrazia.
Tuttavia, se il dominio è inevitabile, se non possiamo fare a meno di essere dominati, vogliamo essere dominati da noi stessi. La libertà naturale
si trasforma in libertà sociale o politica. Essere liberi socialmente o politicamente significa, è vero, essere soggetti ad un ordinamento normativo,
significa libertà sottoposta alla legge sociale; ma significa essere soggetti non ad un volere estraneo, bensì al proprio, ad un ordinamento
normativo, ad una legge alla cui istituzione il soggetto partecipa.
L’IDEA METAFISICA DI LIBERTA’
La transizione della libertà naturale alla libertà sociale, fondamentale per l’idea di democrazia, implica il dualismo fra natura e società che è in
stretta relazione con la distinzione tra realtà e valore, caratteristica di una filosofia relativistica. La società, come sistema differenziato dalla
natura, è possibile solo come ordinamento normativo del comportamento umano, in contrasto con l’ordinamento causale dei fenomeni naturali.
Una norma, vale a dire l’espressione con cui si stabilisce un dover essere, costituisce un valore. Le idee dell’uomo in relazione a ciò che deve
essere o a ciò che deve essere fatto hanno la loro origine nei suoi desideri e timori.
Perciò essere libero non può significare essere esente dalla legge di causalità, ma deve avere un significato che sia conforme al principio che
costituisce l’ordinamento sociale.
Il fatto che l’uomo come membro della società, soggetto ad un ordinamento normativo sia “libero” significa che egli è il punto finale
dell’imputazione, dove per imputazione si intende il legame che intercorre tra un atto umano in contrasto con la relazione tra causa ed effetto
propria delle leggi di natura. Quindi, come l’idea di libertà naturale, nel senso di assenza di ogni forma di governo, deve essere trasformata nel
concetto di libertà politica, nel senso di partecipazione al governo, così l’idea di libertà metafisica, come punto di partenza di libertà della
causalità, deve essere trasformata nell’idea di libertà razionale, come punto finale dell’imputazione.
LA DOTTRINA DELLA DEMOCRAZIA DI ROUSSEAU
La definizione di libertà come autodeterminazione politica del cittadino, vale a dire come partecipazione al governo, viene di solito contrapposta,
parificandola all’idea di libertà prevalente tra gli antichi Greci, all’idea individualistica, vagheggiata dal primitivo popolo germanico, di libertà
del governo, di uno stato di anarchia più o meno pronunciata.
L’importanza straordinaria dell’idea di libertà nell’ideologia politica può trovare spiegazione solo nel fatto che essa ha origine nel profondo
dell’animo umano, nell’istinto primitivo che spinge l’individuo contro la società: la libertà dell’anarchia diventa la libertà della democrazia.
Rousseau sostiene che nel principio di democrazia diretta l’individuo è libero solo nel momento in cui esprime il voto, ed anche allora solo nel
caso in cui vota la maggioranza e non se fa parte della minoranza dominata. Di conseguenza la limitazione, se non l’esclusione, di ogni
possibilità di essere dominati, sembra corrispondere al principio democratico di libertà: come garanzia di essa si richiede una maggioranza
qualificata, se non l’unanimità. Libertà ora significa essere sottomessi alla volontà generale.
Ci si domanda allora come un uomo può essere libero e al tempo stesso obbligato a conformarsi a delle volontà diverse dalla sua; Rousseau cerca
di sanare questo dubbio prendendo ad esempio la procedura di voto. Votando a favore o contro l’adozione di una legge, il cittadino non esprime
la propria volontà, bensì la propria opinione riguardo alla volontà generale.
IL PRINCIPIO DELLA MAGGIORANZA
Se si accetta il principio di maggioranza per lo sviluppo dell’ordinamento sociale non si può più attuare completamente l’idea di libertà naturale,
ma è possibile solo approssimarsi ad essa. L’accordo della volontà dell’individuo con l’ordinamento sociale che può essere mutato dalla volontà
della maggioranza, è tanto più difficile e la garanzia della libertà individuale tanto più ridotta, quanto più qualificata è la maggioranza richiesta
per un mutamento dell’ordinamento stabilito, della cosiddetta volontà dello Stato.
La creazione originale di un ordinamento non avviene nella realtà della nostra esperienza sociale, ma si tratta solo di un cambiamento e sviluppo
di questo ordinamento. Nel momento in cui il numero di chi disapprova l’ordinamento, o una delle sue norme, supera quello di chi lo approva,
può avvenire un cambiamento. Esso ristabilirà la situazione in modo che l’ordinamento si trovi in armonia con un numero di soggetti maggiore
di quello con cui esso è in disaccordo.
Libertà politica significa accordo tra la volontà individuale e quella collettiva espresse nell’ordinamento sociale. In conseguenza il principio di
maggioranza semplice è quello che assicura il più alto grado di libertà politica nella società.
Il principio maggioritario, che più di ogni altro si avvicina all’idea di libertà nella realtà politica, presuppone come condizione essenziale il
principio di eguaglianza, anche politica.
Questa sintesi della libertà e dell’uguaglianza è alla base dell’idea democratica riguardante la relazione tra l’ordinamento sociale (come volontà
collettiva) e la volontà individuale, tra il soggetto e l’oggetto del dominio, proprio come la sintesi della libertà e dell’uguaglianza è alla base
dell’idea relativistica concernente la relazione tra il soggetto e l’oggetto della conoscenza.
IL TIPO DEMOCRATICO DI PERSONALITA’
Da un punto di vista psicologico la sintesi di libertà ed eguaglianza caratteristica essenziale della democrazia, significa che l’individuo, l’ego,
desidera la libertà non solo per se stesso, ma anche per gli altri, per il tu. E ciò è possibile solo se l’ego non si sente unico, incomparabile e non
riproducibile, ma uguale al tu: più forte è la volontà di potenza, minore è l’apprezzamento per la libertà.
In questo senso, l’assolutismo politico significa , per chi è governato, la rinuncia completa all’autodeterminazione. Esso è incompatibile con
l’idea di uguaglianza, perché si giustifica solo con l’assunto di una differenza esistenziale tra colui che è governato a colui che governa.
Il parallelismo esistente tra assolutismo filosofico e politico è evidente. La relazione tra l’oggetto della conoscenza, l’assoluto, e il soggetto della
conoscenza, l’individuo umano, è molto simile a quella tra governo assoluto ed i suoi soggetti. L’assolutismo filosofico può essere definito come
totalitarismo ep