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CAPITOLO DUE – INCOMINCIA IL VIAGGIO
2.1 I territori dell’analisi del testo filmico
Dalla storia dell’analisi del film possiamo trarre qualche suggestione e qualche indicazione che ci permetta di farne un uso corretto ed
adeguato. L’analisi del film è solo con gli anni settanta che si afferma in autonomia: se si dovesse indicare una data per stabilire il
momento in cui nasce l’analisi testuale del film, forse si dovrebbe scegliere il 1966, l’anno del saggio di Christian Metz Le Cinema:
langue ou language. L’analisi del film delinea un nuovo percorso intellettivo e rivitalizza gli approcci tradizionali. L’analisi arricchisce la
nostra percezione del film, ma si inserisce in un panorama in cui già trovavano legittimamente posto altri modi di guardare al cinema e
in cui si faranno largo altre prospettive. L’analisi è dunque un contributo utile capace di innovare la riflessione sul cinema e uno
strumento umile. L’analisi del film è fin dagli inizi diversificata e magmatica perché aperta per sua natura al contributo interpretativo
fornito da diversi modelli. L’analisi del film tende ad arricchirsi con il concorso di punti di vista diversi: strumento ben adatto all’uso tipico
della sala della comunità o del circolo. L’analisi del film ha una tendenziale concretezza. Con la svolta dell’analisi testuale l’attenzione si
sposta dal cinema come insieme di possibilità al cinema come campo di realizzazioni. Questa tendenza alla concretezza non sempre si
è davvero tradotta in pratica. Di molte analisi, soprattutto in ambito accademico, ci sembra si possa sostenere quanto i critici dicevano
della grande sintagmatica di Merz e cioè che una volta completata l’analisi tutto ciò che c’è di importante da dire su un film deve essere
detto. L’analisi del film può acquistare un ruolo rilevante nella conduzione della serata cineforiale e può essere d’aiuto nell’offerta di un
servizio che va al di la dell’intrattenimento. L’analisi del film accorda un’uguale attenzione al film e al metodo e così essa non ci aiuta a
comprendere il testo ma anche a capire come e perché arriviamo a questa comprensione.
2.2 Il cuore dello spettatore e la lente dell’analista
Prima di tutto bisogna differenziare il modo di vedere dello spettatore normale e quello dell’analista. Essere uno spettatore è
un’operazione sofisticata che mette in gioco una complessità di esperienze e richiede una padronanza delle pratiche fruitive. Noi, anche
quando vogliamo diventare analisti, siamo prima di tutto degli spettatori. Le due figure in ciascuno di noi tendono a sovrapporsi e ad
intrecciare la loro azione. Differenza tra visione di uno spettatore e di un’analista: la caratteristica principale dell’esperienza spettatoriale
è il suo stile partecipativo. Lo spettatore può essere spinto alla visione da diversi scopi: distrarsi, mettersi al corrente di qualcosa di cui
tutti parlano, imparare qualcosa, gratificarsi per l’esercizio delle proprie competenze, condividere un momento con qualcuno. Il suo stile
tende a fondarsi su un atteggiamento di partecipazione percettiva (attenzione), cognitiva (elaborazione delle informazioni), passionale
(disponibilità al coinvolgimento). Lo spettatore è tale perché partecipa alla visione, si mette in gioco in relazione al testo filmico, mosso
da una varietà di scopi che tendono a tradursi in una impressione di soddisfazione/insoddisfazione. L’analista invece è uno stile fondato
sull’osservazione. Ad egli si richiede di prestare attenzione al funzionamento significante di un film, di individuare i processi messi in
opera dal testo filmico al fine di produrre un significato e determinati investimenti affettivi. Quando si analizza si cerca di non partecipare
alla messa in scena. Lo specifico dell’analisi sta nell’osservare il film per ricostruirne il funzionamento, per capire quali sono i modi con
cui il testo cerca di suscitare e coltivare la partecipazione degli spettatori. L’analisi non chiude con un’impressione di soddisfazione o di
insoddisfazione, ma con una valutazione di adeguatezza: della qualità dell’analisi che si è fatta in prima battuta. Lo specifico dell’analisi
non sta nel partecipare al gioco, ma nell’individuare quale sia il gioco, nell’osservare per descrivere e interpretare il percorso fruitivo
dentro il film fino ad arrivare ad una sua valutazione. Non si può dire che una forma di visione sia più attiva dell’altra e nemmeno che la
visione dell’analista sia più sofisticata di quella dello spettatore. In sintesi:
• L’analisi dello spettatore ha molteplici scopi, ha uno stile di partecipazione al gioco testuale, la sua metafora è il cuore che
prende parte e l’esito è di soddisfazione o insoddisfazione;
• L’analisi dell’analista ha scopi molteplici, uno stile di osservazione del gioco testuale, la metafora è la lente con cui si scruta a
distanza e l’esito è di valutazione di adeguatezza.
La fruizione dell’analista si fonda su di una presa di distanza dal film, ma anche da se stessi, dal modo più naturale di fruire una
pellicola. Per poter osservare qualcosa senza partecipare si rende necessaria una doppia operazione di distacco che permetta di 3
giungere ad un atteggiamento di buona distanza dal film. L’analisi deve essere prima di tutto frutto di una pratica prolungata nel tempo:
si impara un po’ per volta. In secondo luogo l’atteggiamento di distacco analitico si costruisce seguendo una precisa sequenza di
passaggi, una successione di azioni e operazioni che vanno messe in atto di volta in volta per passare a questa diversa modalità di
visione. L’analisi parte dalla necessità di rivedere il film per iniziare a staccarsi dalla tendenza a prendere parte al gioco testuale. È un
lavoro individuale, talvolta lento. Esigenze del cineforum: se in altri tipi di attività si può passare direttamente all’analisi, senza una prima
visione spettatoriale del testo, nel caso dei cineforum è poco probabile che ciò accada. L’animatore è quasi sempre un appassionato.
L’animatore tende ad essere spettatore prima di essere analista. L’animatore è più comunicativamente forte se ha condiviso fino in
mondo quell’impressione di soddisfazione o insoddisfazione che costituisce il nocciolo dell’esperienza spettatoriale, basta che si è
consapevoli della propria esperienza fruitiva. Nella prima visione l’animatore/analista partecipa come tutti e allo stesso tempo cerca di
osservare autoriflessivamente l’intensità e le ragioni del proprio coinvolgimento. La prima visione diventa uno strumento di lavoro per
l’analisi. Nel caso del cineforum una prima visione consapevole permette di fare delle ipotesi sull’utilità che quel film può avere
all’interno del percorso cineforiale e anche di iniziare a pensare ad una strategia di presentazione e di commento che permetta di usare
le relazioni suscitate dal film per condividere un percorso di formazione alla fruizione critica. In sintesi:
l’animatore partecipa al gioco testuale come tutti gli altri spettatori, ma cercando di essere consapevole delle sue reazioni. Può così:
• scegliere i film valutandone il potenziale di formazione critica;
• controllare la neutralità della propria attività di analisi;
• condividere l’esperienza dei presenti al momento del dibattito
attivando così una precisa sequenza di azioni: la seconda visione, la descrizione e l’interpretazione.
2.3 Quattro passi dento la metodologia dell’analisi
L’analisi si definisce in rapporto ad una o più pertinenze e saranno queste a determinare l’utilità di certi strumenti anziché altri. L’analisi
si compone di due movimenti: il primo descrittivo e il secondo interpretativo. Due fasi che si influenzano l’una dall’altra. Il processo di
analisi si divide in tre momenti:
• Visione e ipotesi d’uso;
• Fase descrittiva;
• Fase interpretativa
Tutte le fasi sono essenziali, ma centrale è la fase descrittiva. La prima fase descrittiva consiste nella scomposizione del film. Senza
questa operazione di scomposizione non si può parlare di analisi e si resta nell’ambito di altre forme di discorso sul cinema (es: la
critica). Senza descrizione/scomposizione nell’interpretazione finisce per prevalere l’aspetto soggettivo, l’autorevolezza individuale, la
personalità dell’interprete. Mentre con la descrizione/scomposizione l’interpretazione si radica in un processo meno soggettivo e più
condivisibile a livello formativo.
2.3.1 Primo passo: la segmentazione
Si inizia con una scomposizione lungo l’asse temporale che chiamiamo segmentazione. Si tratta di prendere le due ore del discorso
filmico e dividerle in segmenti che si succedono nel tempo. La segmentazione procede ad imbuto, dal macro al micro:
• Episodi: i segmenti più ampi, spesso marcati da titoli o implicitamente suggeriti da una pausa della narrazione. Gli episodi
espliciti tendono ad entrare in modo forte nell’esperienza fruitiva e possono essere un ottimo punto di partenza per radicare
le sensazioni e le opinioni degli spettatori nel corpo del testo. Importanti sono anche gli episodi impliciti: una ripartizione di
questo tipo è meno utilizzata perché meno esplicita e quindi meno direttamente presente nell’esperienza del fruitore e anche
meno ricca di senso aggiunto perché non si sovrappone al livello narrativo e non offre le chiavi di lettura da cui prendere
spunto nel dibattito. Un ruolo tutto particolare è coperto dall’eventuale prologo al film che può presentarsi come episodio
individuale o distaccato dal resto della narrazione. Quest’ultimo offre chiavi di interpretazione.
• Sequenze: segmenti filmici più brevi e meno articolate, dotate di una certa autonomia perché sviluppano in se un contenuto
narrativo e sono caratterizzati da una complessiva connessione tematica. La continuità della narrazione definisce i confini di
una sequenza. L’unico modo per individuare le sequenze è valutare lo specifico intreccio testuale del singolo film sulla base
di un criterio di continuità/discontinuità che sarà sempre interno all’universo finzionale di ogni film. Quando è possibile vale la
pena rivedere una sequenza per guidare il dibattito, una sequenza del film appena visto o di un altro film con cui valga la
pena di istituire un confronto.
• Scene, inquadrature: sono i segmenti compresi tra due interruzioni della macchina da presa o tra due tagli di pellicola. Si
tratterebbe di un girato in continuità, dal momento in cui si accende la macchina da presa a quando la si ferma o a quando si