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Sceneggiatura e Racconto
1.1 Che cosa è una sceneggiatura
Prima di un film, delle sue immagini e dei suoi suoni, c'è un'idea. Nel caso di un film narrativo, il cinema di cui noi qui ci occupiamo, quest'idea è l'idea di una storia, priva ancora delle sue effettive articolazioni, limitata molte volte a una situazione, a un evento, a uno o due personaggi. È l'abbozzo di una storia possibile. Questa idea si deve articolare, precisare, definire. Deve prendere forma, farsi a tutti gli effetti una storia, una storia tuttavia diversa da altre storie, una storia fatta per essere sceneggiata, raccontata attraverso delle immagini. È così che nasce una sceneggiatura, ovvero una descrizione più o meno precisa, coerente, sistematica, di una serie di eventi, personaggi e dialoghi connessi in qualche modo fra loro. Possiamo considerare la sceneggiatura come un processo di elaborazione del racconto cinematografico che passa attraverso diversi stadi.
che vanno dall'idea di partenza alla sceneggiatura vera e propria. Quali sono questi diversi stadi? Il primo è il soggetto, che è la prima manifestazione concreta di un'idea. È un piccolo racconto, uno spunto narrativo, il breve riassunto di qualcosa che ancora non c'è ma che è probabilmente destinato a prendere forma: la storia di un film a venire. È solitamente contenuto in poche righe, al massimo un paio di paginette, eppure, in quanto concreta manifestazione di un'idea, può avere un'esistenza legale, essere di proprietà di qualcuno che può rivendicare i suoi diritti per un film che da quel soggetto prende spunto. Talvolta, tuttavia, il soggetto ha una mole ben diversa, anche di centinaia e centinaia di pagine. È il caso degli adattamenti, di quei film tratti da racconti e romanzi, che non si rifanno così a un'idea originale bensì a un'opera preesistente. Nel corso del processoche qui stiamo esaminando e che porta alla sceneggiatura vera e propria, un soggetto originale dovrà essere articolato e ampliato, mentre un soggetto letterario, salvo il caso di opere particolarmente brevi, sarà sottoposto a un lavoro di contenimento, a una serie di tagli, a un processo di selezione, nonché a un insieme di variazioni che daranno vita a una rilettura personale dell'opera di partenza. In sostanza un soggetto originale si allunga, un soggetto letterario si abbrevia. In entrambi i casi, tuttavia, il soggetto diverrà qualcos'altro. La fase successiva dell'elaborazione di una sceneggiatura è quella del trattamento, in cui "gli spunti narrativi del soggetto vengono sviluppati e approfonditi. La forma è ancora quella letteraria, ma ha acquistato una caratterizzazione narrativamente più definita, più funzionale alla descrizione delle varie scene in cui si articola la vicenda, con un'attenzioneall'ambientazione (...) e alla precisazione delle situazioni". La storia è qui tendenzialmente elaborata in qualche decina di pagine, l'intrigo è già articolato, la struttura drammatica ha una sua progressione, i dialoghi sono in parte già abbozzati, ma solitamente in uno stile ancora indiretto. Al trattamento segue, anche se in alcuni casi i rapporti temporali si invertono, la scaletta che "segna la fase del passaggio dal 'momento' letterario della storia a quello della costruzione del film". Qui il trattamento è per così dire sezionato, scandito, suddiviso in scene che vengono numerate. Di solito non supera le due paginette e i venti o trenta episodi. La scaletta serve a tenere sott'occhio l'intera storia del film. Battistrada e Felisatti ce ne indicano bene l'utilità: Possiamo controllarne i ritmi vedere se l'inizio è lento o anticipa troppo ciò che va invece [delfilm, rivelato più avanti; se a un certo momento della storia c'è una fase di stanca, ("in questo punto non succede nulla") che va irrobustita con qualcosa di forte, oppure se c'è una eccessiva concentrazione da diluire con una scena di riposo o di passaggio; se un personaggio entra troppo tardi o resta assente dalla storia per troppo tempo; se siamo riusciti a caricare il finale della necessaria tensione... sceneggiatura Trattamento e scaletta interagiscono fra loro dando vita alla sceneggiatura in cui sono messe in ordine tutte le scene del film, descritti con cura ambienti, personaggi ed eventi, indicati con precisione i dialoghi. La sceneggiatura subisce poi un'ulteriore fase di elaborazione dando vita a quello che è découpage comunemente chiamato il tecnico. Qui le scene vengono divise in singole immagini, dette inquadrature o piani, che a loro volta sono numerate, di esse si indica il contenuto, il punto di vista della cinepresa, la presenzadi eventuali movimenti di macchina ecc. In questa fase la collaborazione del regista può essere determinante. Il numero delle indicazioni che possono essere contenute in un éncoupage tecnico è pressoché infinito, di caso in caso queste indicazioni potranno così essere più o meno numerose, più o meno precise. Esiste poi la possibilità di accompagnare al testo scritto di una sceneggiatura delle immagini, ovvero dei disegni che prefigurano quelle che saranno le inquadrature del story board. Nel corso degli anni ottanta, questo processo di "illustrazione" della sceneggiatura si è talvolta accompagnato a forme di previsualizzazione elettronica "che consentono di arrivare alla fase della ripresa vera e propria su pellicola avendo già preventivamente verificato molti dei fattori che determinano il risultato finale".dallaC'è poi un ultimo senso che va dato al termine di sceneggiatura, quello della copia definitiva del film. In questo caso la sceneggiatura non precede più la lavorazione del film, ma la segue. Il suo autore non è più uno scrittore ma un critico o uno studioso di cinema che a partire da un film già realizzato ne descrive accuratamente le diverse inquadrature e scene, ne riporta i dialoghi, ne indica le soluzioni tecniche al fine di costruire uno strumento che consenta di conoscere e studiare meglio quel determinato film. | << | < | > | >> | Pagina 49 II. L'INQUADRATURA Un film è fatto di immagini in movimento che prendono il nome di inquadrature. L'inquadratura è l'unità base del discorso filmico e può essere definita come una rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo tempo. Spazialmente l'inquadratura è costituita dalla porzione direaltà rappresentata da un certo punto di vista e delimitata da una cornice ideale costituita dai quattro bordi dell'inquadratura stessa, temporalmente dalla durata compresa fra il suo inizio, che segue la fine dell'inquadratura precedente, e la sua fine, che precede l'inizio dell'inquadratura seguente. Nella confusione terminologica ancora dominante il lessico del cinema, il termine inquadratura è a volte sostituito con quello di "piano". Più correttamente, si dovrebbe intendere con inquadratura il fatto che l'immagine cinematografica è racchiusa da una cornice che inquadra una porzione di spazio e con piano la porzione di spazio inquadrata. Le due espressioni hanno finito col sovrapporsi anche se, almeno in sede teorica, è bene tener presente come ognuna di esse sottolinei un aspetto diverso di una stessa entità. Quando parliamo di inquadratura intendiamo un delimitare - la messa in quadro - che pone il problema delrapporto fra ciò che di un insieme è mostrato e ciò che invece non lo è, in quanto al di fuori dei bordi dell'immagine. Quando parliamo di piano ci riferiamo invece alla porzione di spazio rappresentata e alle modalità della sua organizzazione e composizione che, ovviamente, sono determinate anche dalla cornice che racchiude tale spazio e dagli elementi che lo articolano. Un'altra caratteristica essenziale dell'immagine filmica è la sua bidimensionalità. Eppure ogni spettatore sa che dinanzi a un film egli reagisce come se lo spazio rappresentato fosse uno spazio tridimensionale, analogo a quello della realtà che lo circonda. Riprenderemo il discorso più avanti (vedi 3.4) ma diciamo subito come questo effetto tridimensionale nasca dal ricorso a diverse tecniche che vanno dall'angolazione, al movimento, alla profondità di campo. Già Arnheim diceva che l'immagine cinematografica si situa fra labi-dimensionalità e la tri-dimensionalità e che noi la recepiamo in termini di superficie e profondità. Se ad esempio un'inquadratura angolata dall'alto mostra un treno avanzare, lo spettatore percepirà un doppio movimento: uno illusorio (verso di lui) e uno reale (verso il basso). Un problema, a questo riguardo, va tuttavia indicato sin d'adesso: quello della prospettiva. La nozione di prospettiva, così come la si intende oggi, è apparsa nel Rinascimento; la si potrebbe definire come l'arte di rappresentare gli oggetti su una superficie piana in modo che questa rappresentazione sia simile alla percezione visiva che si può avere, nella realtà, di questi stessi oggetti. La prospettiva filmica è l'esatta riproposizione di questa tradizione rappresentativa ed è grazie ad essa che l'immagine cinematografica può dar vita a un'illusione di profondità. profilmico, Ogni inquadraturaè sempre il risultato di scelte relative a due livelli. Il primo è quello del profilmico, ovvero di tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa, che è lì appositamente per essere filmato e fa concretamente parte della storia narrata (ambienti, personaggi, oggetti). La nozione di profilmico è connessa a quella di messa in scena. Il termine, di provenienza francese, indica il lavoro di organizzazione, da parte del regista, dei materiali di ogni inquadratura. Come lascia intuire l'origine dell'espressione, parlare di messa in scena significa parlare di quei codici che il cinema ha in comune con il teatro: scenografia e personaggi, luci e colori. Mettendo in scena, un regista struttura dei materiali in funzione della ripresa, costruisce il suo profilmico sulla base di determinate finalità.
Il secondo livello che determina le caratteristiche di un'inquadratura è quello del piano discorsivo propriamente detto, il filmico, che concerne il
rattere e azione, l'uso del colore e della luce, la composizione dell'immagine e il montaggio. Questi elementi sono fondamentali per la creazione di un linguaggio visivo che permette di comunicare emozioni, concetti e narrazioni attraverso l'uso delle immagini in movimento. L'angolazione e la distanza sono due aspetti che determinano la prospettiva visiva dell'immagine. L'angolazione si riferisce all'angolo di ripresa della telecamera rispetto all'oggetto o alla scena. Può essere dall'alto (piano dall'alto), dal basso (piano dal basso), frontale (piano frontale) o laterale (piano laterale). La distanza, invece, si riferisce alla distanza fisica tra la telecamera e l'oggetto o la scena. Può essere ravvicinata (piano ravvicinato), media (piano medio) o lontana (piano lungo). La dialettica di carattere e azione si riferisce alla rappresentazione dei personaggi e delle loro azioni. Attraverso l'uso di gesti, espressioni facciali, movimenti del corpo e dialoghi, il regista può comunicare il carattere e le intenzioni dei personaggi. L'uso del colore e della luce è fondamentale per creare atmosfere e sottolineare emozioni. Il colore può essere utilizzato per creare contrasti, enfatizzare determinati elementi o creare un'atmosfera specifica. La luce, invece, può essere utilizzata per creare ombre, evidenziare particolari dettagli o creare un effetto di illuminazione specifico. La composizione dell'immagine si riferisce alla disposizione degli elementi all'interno del fotogramma. Il regista può utilizzare la regola dei terzi, la simmetria o l'asimmetria per creare un'immagine equilibrata e armoniosa. Infine, il montaggio è il processo di selezione e assemblaggio delle diverse riprese per creare una sequenza coerente e significativa. Attraverso il montaggio, il regista può creare ritmo, suspense e connessioni tra le diverse scene. In conclusione, il linguaggio del cinema è un insieme di codici visivi che permettono di comunicare e trasmettere emozioni, concetti e narrazioni attraverso l'uso delle immagini in movimento.