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L'URBINO DEI DELA ROVERE E IL TRIONFO DELLA CALANDRIA
I vincoli stretti tra Mantova e Urbino sono segnati dalle nozze di Elisabetta Gonzaga e Guidobaldo da Montefeltro (1488). Elisabetta, allora diciassettenne, è sorella di Francesco e diverrà cognata di Isabella d'Este, con la quale discorre nel fitto epistolario di molti temi culturali, ma non di teatro e spettacolo: Elisabetta predilige la musica, il canto, la danza.
Il malaticcio Guidobaldo s'occupa soprattutto dello studio e della raccolta di cose antique, stimola il fiorire delle arti figurative, favorisce gli studi letterari, adunando intorno a sé quel cenacolo di intellettuali che ha nel Bembo e nel Castiglione i due principali animatori.
Il teorico della comicità in genere, e della sua particolare tonalità "cortigiana", è, nelle discussioni alla corte di Urbino (e poi nel Cortigiano) un giovane, intraprendente prelato, Bernardo Dovizi da Bibbiena. Ha una carriera da diplomatico.
fedelissimo ai Medici, in giro per mezza Europa.
Nel 1513 Francesco Maria Della Rovere gli chiede di affidare alla propria corte una commedia per le feste di carnevale ad Urbino.
Nella guerra della Lega Santa contro Luigi XII di Francia Francesco ha tenuto un atteggiamento ambiguo; e solo dopo la sconfitta dei francesi a Ravenna, nell'aprile del '12, si è schierato a fianco del papa, ha espugnato per lui Bologna, è stato, almeno formalmente, il punitore della traditrice Ferrara.
Le feste urbinati del carnevale 1513 devono dunque sottolineare l'alleanza rinsaldata col papa e l'affermazione di prestigio colta dal ducato grazie al suo pugnace condottiero.
L'allestimento è affidato al Castiglione; scenografo è Gerolamo Genga, allievo di Raffaello, con l'occhio rivolto alla scenografia della Cassaria ariostesca (1508); l'idea della città cintata viene estesa a tutta la sala gli spettatori stanno come sul fossato della città.
racchiuso tra due ordini di mura; il primo è dipinto sullo zoccolo del proscenio, il secondo sulla transenna che traversa a metà la platea. Sulla scena, in proscenio, una contrada adiacente alle mura; sul fondale, dipinte in prospettiva bene intesa, strade, palazzi, chiese, torri; la città che si riconosce, per un arco trionfale ed un tempio ottagonale, è Roma. Il testo è scritto dal Bibbiena, che fin dal prologo entra in polemica con Ariosto, sostenendo che ciò che è nuovo e moderno diverte più di ciò che è antico e vecchio; il volgare non è affatto inferiore alle lingue classiche, il problema è lavorarlo con la stessa applicazione con cui gli antichi rifinivano quelle; la commedia va scritta in prosa, perché in prosa si parla, e in volgare, perché ognuno possa intenderla; quanto a eventuali modelli latini, il punto è stare a paragone con loro a livello del puro plot, del soggetto, maInserendovi accidenti, situazioni, eventi sulla base di un registro stilistico completamente autonomo. L'universo espressivo della Calandria è quello decameroniano, citato, invertito, gestualizzato, parodiato, per dimostrare che dinnanzi ad una partitura espressiva praticamente inesauribile come quella del Decameron, il teatro moderno avrebbe avuto di che sostanziarsi per decenni.
Il Bibbiena punta sulla complicità intelligente di un pubblico che conosce a memoria un capolavoro largamente divulgato, ma insieme c'è la libera invenzione dell'autore; c'è poi l'impegno ad affidare agli aristocratici d'Urbino un messaggio che ha una sua misura di interiore eticità.
Nella Calandria Boccaccio agisce grazie a una delle costanti fondamentali della sua visione del mondo: per quella fiducia nella Ragione fattasi operante misura d'intelligenza, che salva l'individuo dalle tempeste dell'Eros e lo sottrae alle prevaricazioni.
della Fortuna. Nella variegata fenomenologia della passione d'Amore, è poi il trionfo della Ragione attiva, declinata nelle sue attitudini più varie, a siglare l'esito e la morale della commedia: è la Ragione a rendere plausibili i contrapposti profili di Fessenio, accorto ingegnoso, e di Calandro, sciocco animalaccio.
La commedia ha uno strepitoso successo, tanto da essere replicata nelle capitali dello spettacolo italiano (Roma, Mantova, Venezia, ancora Mantova, Camerino, Lione, ecc.).
BERNARDO DOVIZI DA BIBBIENA
Bernardo Dovizi da Bibbiena nasce a Bibbiena, nel Casentino il 4 agosto 1470; diplomatico e uomo politico, diviene l'uomo di fiducia di Piero De' Medici, che segue a Roma in esilio, quando i Medici sono cacciati da Firenze(1494); alla sua morte (1503) è attorno al fratello, il cardinale Giovanni. Si moltiplicano per il Dovizi i titoli e le responsabilità (tesoriere generale, protonotario, cardinale) e prosegue la sua
attività diplomatica; ottiene il vescovado di Costanza, ma ne cede le rendite all'amico Bembo. Alla fine del 1519, malato, rientra a Roma, e vi muore il 9 novembre 1520.LA CALANDRIA È la sola commedia pervenutaci del Bibbiena; i gemelli Lidio e Santilla sono separati dal destino. Lidio giunge a Roma col servo Fessenio, dove ama riamato Fulvia, moglie dello sciocco Calandro. Santilla vive anch'essa a Roma travestita da uomo, in casa del mercante Perillo, che vuole dargli in moglie la figlia. Calandro però si innamora di Lidio, vedendolo entrare in casa propria travestito da donna, e si appoggia a Fessenio come mezzano; Calandro vuole imparare a morire e da morto giacersi con l'amata; finirà tra le braccia di una sconciameretrice e verrà scoperto da Fulvia, la quale a sua volta riceve Lidio ma sul punto di essere scoperta riesce a sostituirlo con Santilla, salvando la propria pudicizia. Il riconoscimento finale di Lidio e Santilla scioglie
inextremis la vicenda. LE FONTI Soltanto un'eco dei Menecmi plautini Decameron (novelle IX-5, VII-9,VII-4, III-6, III-8, VII-8)UNA CITTÀ ALLA RICERCA DI UN COMMEDIOGRAFO:
LA MANTOVA DEI GONZAGA
L'esempio dell'Ariosto agisce in maniera importante; negli stati vicini l'influenza della politica teatrale estense è massiccia. Tra Ferrara e l'adiacente marchesato di Mantova si stabilisce un rapporto di continuità. Nella sua accorta politica matrimoniale, Ercole I ha sposato le figlie, Isabella e Beatrice, rispettivamente a Francesco Gonzaga e a Ludovico Sforza detto il Moro. A Mantova Isabella assume presto il compito di organizzatrice e ispiratrice della vita culturale, prendendo esempio anche dal genitore, decide di stimolare nella città l'adattamento e la traduzione di commedie latine ad opera d'intellettuali di corte, dal Cosmico al Castello. Nel febbraio del 1501, in occasione di quattro giorni successivi di recite plautine e terenziane,I cortigiani hanno la fortuna di ammirare per primi un apparato scenico e di sala che reca la firma addirittura del Mantegna. Due anni dopo Publio Filippo Mantovano, giovane commediografo, propone sulla scena quella che, cronologicamente, è la prima commedia involgare del secolo: Il formicone, partitura teatrale basata sull'Asino d'oro di Apuleio. Alla morte di Francesco Gonzaga nel 1519, gli succede il figlio Federico, ma di fatto Isabella ha libero spazio per la propria capacità di governo; quello che manca è però una personalità autonoma di commediografo, tutta l'attività teatrale gonzaghesca è di riporto, di repertorio, non c'è audacia o sperimentazione drammaturgica. Trentanni dopo le esperienze di Isabella e di Federico, sotto il governo del duca Guglielmo, assistiamo al formarsi di un gruppo teatrale autonomo, di ottimo livello, animato dalla figura di un protoregista. Nell'ambito della Comunità Ebraica,si raccoglie intorno al commediografo ebreo Leone De' Sommi una compagnia semiprofessionistica. Il De' Sommi nacque probabilmente a Mantova tra il 1525 e il '27, intermediario tra tradizione giudaica e letteratura in volgare. Membro dell'Accademia degli Invaghiti, raccoglie nei Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche la propria riflessione drammaturgica; è tra i primi documenti di una trattatistica sulla drammaturgia, inaugurata dal Giraldi Cinzio coi suoi Discorsi intorno al comporre dei Romanzi, delle Commedie e delle tragedie e di altre maniere di poesia, editi a Venezia nel '54. Con il De' Sommi entriamo in un'area completamente nuova, quella direttamente legata al far teatro e al fine rappresentativo delle commedie; nella sua opera troviamo la polemica contro l'endecasillabo, a suo dire inadatto all'espressione della carica del comico; l'analisi del lavoro dell'attore (gli interpreti devono essere di buon comando,
di buona voce, e soprattutto con un fisico adatto al ruolo); grande attenzione alla dizione distinta, con grande sottigliezza e conoscenza della fonica teatrale, in dizione veloce e lenta, fratta e accelerata; notazioni riguardo la mimica e la gestualità dell'attore, i nessi tra parola, gesto, movimento. I Dialoghi sono il primo vero manuale di regia, che definisce una chiara metodologia della messinscena teatrale.
DALLA FIRENZE DELLA "MANDRAGOLA" AGLI SPETTACOLI DEL GRANDUCA
Firenze trascorre dalla Repubblica (1494-1512) ad una prima restaurazione medicea (1512-27); da un secondo tentativo di repubblica "estremista" (1527-30) ad una seconda restaurazione, che s'apre con il settennio del duca Alessandro, per trascorrere nel ducato di Cosimo I, destinato dal '70 a sfociare a sua volta nel Granducato di Toscana. È indubbio che ci siano rispondenze tra potere e vita pubblica; la storia della commedia fiorentina è periodizzabile in tre vaste
gittate: la prima va dagli inizi della repubblica all'avvento di Alessandro; la seconda dal '30 sinoall'incirca a metà degli anni '40; e la terza da quest'epoca pressappoco alla morte di Cosimo(1574).
Nella prima fase il nesso tra gestione della cosa pubblica e il mondo dello spettacolo è molto tenue, la vita stessa dello spettacolo respira una sete di rinnovamento che sfocia in una serie di sperimentazioni molto mobili e aperte, che permettono la coesistenza tra varie forme di teatro. Perdurano le Sacre Rappresentazioni, nonostante il loro numero vada riducendosi; al contrario acquistano favore crescente i drammi profani che mutuavano la struttura drammaturgica dalla Rappresentazione sacra, ma vi calavano contenuti di tipo comportamentale-folklorico (per esempio su tutte la fortunata serie delle rappresentazioni di Carnevale e Quaresima).
Continua a riscuotere una crescente fortuna la farsa, spesso accompagnata da temi secolari come la polemica misogina.
o la tradizione della poesia rusticale; è una composizione essenziale, affidata a pochi interlocutori, e aduna vicenda particolarmente schematica, un genere teatrale che invoglia al trapasso verso la struttura raccolt