Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
B
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate. Angelica Villegas Alban
…quanto io da solo faccio e mi uccide e mi confonde (mi turba) a tutte le ore cosicché io non ho mai riposo
né di notte né di giorno
[concetti già enunciati nella prima strofa]
Paleograficamente B sembra posteriore ai versi precedenti, sarebbe dunque un’aggiunta.
La cultura che vi si intravede con evidenza è quella trovadorica. Vediamo l’ipotesto, l’ispirazione: trovatore
Peirol (http://www.rialto.unina.it/Peirol/366.29/366.29(Harvey).htm sito web).
Amore compare all’inizio, invocato all’esordio della canzone come nel nostro testo:
Quando amore trovò che il mio pensiero si era affrancato alla preoccupazione che avevo per lui, mi assalì
con una tenzone che potete sentire come canta di seguito.
È una tenzone tra Peirol e Amore: Amore accusa Peirol di aver abbandonato il servizio amoroso.
L’idea è di Amore che porta al perfezionamento morale: amore che dà la fama; amare una donna bella e
importante è trovare la fama. Il tema è sostanzialmente lo stesso dalla prima stanza della nostra canzone.
Amore mi hai fatto chiedere se volevo abbandonare le tue ricchezze o se preferivo continuare a soffrire le
pene che dai ai tuoi amanti.
Peirol subordina discussione terza crociata.
C’è un retroterra trobadorico, ma anche delle significative novità: abbiamo visto che ci sono dei termini
come “increvare” e freschinanza” che son forti latinismi senza corrispondenza nella lirica trobadorica.
C’è un richiamo all’elemento classico, Tullio: connota in senso italiano questo testo, dichiara italianità.
Tullio non ricorre come personaggio simbolico nella poesia dei trovatori. Qui invece è citato.
Altro elemento, se pur già presente nei trovatori, che ci richiama ad ambiente italiano in cui interesse per
cultura latina non era ancora vivo: Paride. Compare in evidenza nell’ultimo verso.
Interessante e significativa di una discreta abilità poetica la distribuzione dei temi, sostanzialmente 3:
1) dubbio, perplessità angosciosa espressa all’inizio: fatica di un rapporto che non pare portare a qualcosa di
positivo e rinunciare alla dignità che ne deriva da prostranza amorosa; lamento della condizione di infelicità
amorosa;
2) sfocia nell’immaginazione di un sogno erotico: donna che abbraccia poeta, che ha impressione di essere
ammesso al paradiso;
3) brusco risveglio.
La clausola finale: sì, continuerò a servire, qualunque condizione mi sottoporrà Amore
TESTO B: riconosciuto come una sorta di ritornello aggiunto in un secondo tempo.
Schema: 4 rime identiche A + ultima rima B.
Se si corregge in tornano i conti per farla diventare il ritornello.
die dia,
Ricorrenza dell’ultima rima, irrelata con quelle che precedono: plasia-cortisia-muria-via-tuttavia.
Questo ritornello sarebbe stato aggiunto da chi ha maggiore familiarità con il modello provenzale e che ci
rimanda alla Francia del nord, ambito pertinenza poesia trovierica, poesia d’amore in lingua d’oil.
Si tratterebbe di un tentativo di adattare al genere della chanzon a refren, canzone con il ritornello, tipica
dell’area di produzione trovierica.
Si sente la pregnanza della cultura letterale in un centro come quello di Ravenna.
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate. Angelica Villegas Alban
Linguisticamente già Stussi avvertiva una forte presenza di elementi romagnoli; al tempo stesso, suggeriva
che il testo originario provenisse da quell’area stessa. Castellani invece sosteneva fosse composto a
Ravenna.
Sicuramente trascritto a Ravenna e li vi è rimasto fino alla sua riscoperta.
Date riconoscibili dalla grafia ci porta ad una Ravenna vivace politicamente e che stava acquisendo delle
relazioni diplomatiche dell’Italia centro settentrionale del tempo, via via sempre più importanti: Ravenna di
Piero Traversari, podestà, che quasi ne era diventato il signore, il despota, acquisendo relazioni politiche
importanti. Ricordato da Dante dei buoni signori antichi (nell’epoca di Dante era già tramontato), Traversari
aveva sposato Emilia dei Conti Guidi, cioè la figlia membro di una delle casate feudali più importanti del
tempo tra XII e XIII Secolo.
Le cronache ci dicono delle abitudini signorili che Traversari aveva introdotto parallelamente alla crescita
del suo potere a Ravenna, evidentemente Traversari si occupava di tramandare quelle etichette che venivano
percepite tipiche dei modi signorili. Probabile che lui stesso avesse promosso una pratica letterale e musicale
che imitasse quella trobadorica, di riferimento, tipica del mito cortese.
Da lì a qualche tempo, in questo circolo entrarono nuove correnti da altre località, che giustificano la
conformazione di questo testo al modello trovierico.
Ravenna nel corso del ‘200 conobbe altra fortuna. In questo tentativo di assetto cortese di Ravenna
intervennero diversi afflussi. Ci fu una permeabilità, sempre da zone coerenti con questo spazio geografico,
nel centro nord d’Italia, che trova conferma nel frammento piacentino, esso pure interessante sia per
presenza della musica che per una struttura di canzonetta (si capisce poco del testo, tagli pergamena
compromettono la leggibilità).
Siamo in ambito di una poesia di immediata fruibilità, proprio attraverso la musica: è una poesia destinata
prima che alla lettura e meditazione all’esecuzione davanti una collegialità, l’ambiente di corte.
Traduzione: Claudio Vela
Pratica musicale, culturale, che dovette avere una sua consistenza nelle regioni centro nord Italia. Ma a
questa fortuna non fece seguito la conservazione. Il fatto che questi testi siano tramandati da supporti
occasionali, ci conferma la destinazione immediata, la fruizione attraverso la musica: testi eseguiti che poi
venivano ricordati, trascritti, o che per qualche ragione parevano degni di memoria ma poi non ricopiati
ulteriormente.
Quindi ci ritroviamo con testi di cui abbiamo:
-effimere copie
-sfortuna politica
-difficoltà di reggere la concorrenza che da lì a poco sarebbe provenuta proprio dalla tradizione dei siciliani
e delle diramazioni che i siciliani avrebbero messo in terra di Toscana.
Qui viene buono il ritorno alle considerazioni iniziali: il ruolo sociale, la funzione cortese della poesia in
Italia (M. Santagata).
Abbiamo parlato della funzionalità cortese siciliana. Della funzionalità cortese più che culturale abbiamo
piena testimonianza dai documenti che ci vengono tramandati: supporti occasionali.
Avevamo parlato del ruolo delle cariche podestarili (come dovevano comportarsi nel loro mandato) nella
diffusione della poesia volgare nei vari centri italiani.
Torniamo ad Arrigo Testa: quel rimatore riscoperto da Albino Zenatti quando aveva cercato di mettere
ordine sulle origini stesse della scuola siciliana, sia in termini cronologici che geografici.
Per Zenatti, Testa era vicino alle generazioni dei siciliani ma non nativo di Sicilia: aveva riconosciuto
Aretino, nobile signore di Cigliano (località toscana) il quale, ghibellino, avrebbe ricoperto cariche notarili;
sarebbe morto durante l’assedio di Parma nel 1247.
Datazione alta, conferma che un non siciliano già a questa altezza cronologica elevata avrebbe cominciato a
imitare la moda della poesia siciliana.
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate. Angelica Villegas Alban
Zenatti: facendo il podestà, Arrigo Testa era tenuto all’osservanza di una etichetta comportamentale; era un
signore che doveva avere una corte non solo di funzionari ma anche di addetti alla ricreazione: poeti,
musicisti, cantori; doveva da bravo feudatario tenere la corte bandita, largheggiare, essere generoso nelle
manifestazioni pubbliche del proprio potere.
Zenatti: cosa poteva fare di meglio se non cogliere al balzo la palla che deriva dalla Sicilia e cominciare a far
traslocare manifestazioni poetiche altrove oltre alla Sicilia.
Zenatti poneva in Arrigo Testa il punto di contatto fra la scuola siciliana e la tradizione poetica successiva.
Ulteriori scavi archivistici ridimensionano l’ipotesi di Zenatti; già i principali canzonieri ridimensionano
questa ipotesi. Alcuni documenti dimostrano come un Testa (non Arrigo) compaia a Lentini (Sicilia) nei
primi decenni del ‘200.
Però se rimossa dall’ipoteca onomastica di Arrigo Testa, l’ipotesi di Zenatti ha qualche valore: chiarire per
quali canali la poesia siciliana si sia diffusa in Italia e perché la fortuna di questa poesia, questo filone che
per quel che abbiamo visto annientò sul nascere altre embrionali poesie.
Rimane la carica podestarile, l’importanza che aveva come sanzione di obbligatorietà documentata con
chiarezza da alcuni trattati duecenteschi sulla figura del podestà: Oculus pastoralis pascens officia
Oculus = l’occhio che tutto vede, lo sguardo;
Pastorali = coloro che conducono non le greggi ma le genti;
Pascent = che nutre, istruzione;
Officia = ruoli politici.
Trattato di formazione del podestà.
Carica podestarile è tipicamente itinerante. Normalmente è una carica annuale: il podestà era chiamato per
garantire le decisioni, un terzo che facesse da arbitro esterno, non autoctono e che doveva dirigere città (tipo
dittatore romano); carica a termine, dopodiché si chiamava un nuovo podestà.
Carica itinerante che oltre a favorire lo scambio (podestà imparava usi/costumi della città), era
fondamentalmente associata ad un’aurea di internazionalità: un burocrate a livello europeo.
Non importa di che nazionalità, ma un burocrate di livello internazionale.
Questo portava ai podestà la preoccupazione di assumere un contegno superiore ad ogni localismo, anche
perché ne sarebbe derivata a lui un maggiore prestigio, una maggiore taratura.
Dato che il podestà doveva coltivare la poesia d’amore, il canto lirico etc., proviamo immaginarci un
podestà che finisca a Ravenna e che tenga la corte bandita a metà del ‘200 e proponga una canzone che
rimonta indietro nel tempo: avrebbe rinnovato una costumanza locale.
Proviamo immaginare un podestà che andando a Pisa abbia incontrato le prime diffusioni di testi della
scuola siciliana (Pisa è ghibellina, sappiamo che è da ambiente toscano occidentale che arrivò nel continente
la poesia siciliana). Cosa conta di più, un componimento bello, con la sua musichetta, composto lì e allora, o
conta di più una letteratura, una poesia, che ha retrostante a se l’impronta imperiale, cioè la massima autorità
politica: si tratta dunque di decidere tra la tradizione locale espressa per fiorellini estemporanei (Ravenna),
contro la tradizione che ha una massa crit