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UN CASO ESEMPLARE: LE COSE DI ROMAGNA
Dai contatti d’ufficio con i vari signori italiani Machiavelli trae
soprattutto la consapevolezza dell’ormai storica insufficienza
delle signorie italiane e del loro progressivo sfacelo. Si può
capire dunque come l’incontro con Cesare Borgia
rappresentasse per Machiavelli un unicum, l’esempio isolato
e suggestivo di un atteggiamento dinamico nei confronti
della storia.
Il segretario fiorentino si recò due volte presso il duca, prima
ad Urbino, poi a Imola.
Al tempo della prima legazione di Urbino, nel 1502, il Borgia
era nel pieno del suo già intuibile progetto; l’edificazione di
un forte stato nell’Italia centrale che avesse come base i
territori pontifici, ma che si estendesse anche verso la
Toscana, forse fino ad includere Firenze stessa. Cesare Borgia
suggerisce subito a Machiavelli la coniugazione di due
termini caratteristici, virtù e fortuna. Il ritratto conclusivo che
ce ne viene offerto è già lo specchio di un ottimo principe.
Come si ricava dalla lettera d’incarico deliberata, Machiavelli
ha il compito di rassicurare il Borgia circa i favorevoli
sentimenti della Repubblica nei suoi confronti. Poco tempo
prima della missione di Machiavelli, i capitani del Borgia gli si
erano rivoltati contro, stipulando fra loro un patto ostile
contro il signore. Firenze è dunque fra due fuochi: da una
parte i capitani in rivolta; dall’altra il Valentino, indebolito
dalla ribellione dei suoi capitani. Le lettere della commissione
ci mostrano un Cesare Borgia squisitamente diplomatico: fin
dall’inizio egli s’ingegna a mostrarsi amico della signoria
fiorentina, sollecita segni di amicizia e di accordo risolutivo.
Così Cesare Borgia lascia che i suoi capitani prendano la città
in suo nome e si presenta con l’esercito arruolato nel
frattempo nel massimo segreto; sbigottiti, essi si lasciano
arrestare senza opporre resistenza; Vitellozzo e Oliverotto da
Fermo vengono strangolati la notte stessa della cattura; gli
altri vengono rimessi alla volontà del papa. Machiavelli
ragguaglia i signori fiorentini di tali drammatici eventi in
presa diretta.
Da questo testo, infatti, risulta ben chiaro che l’invito dei
capitani a Senigallia era a sua volta un trabocchetto. È una
prospettiva d’interpretazione fondamentale, specie in vista di
quello che l’episodio diventerà nella Descrizione, dove il duca
non giuoca più d’anticipo i suoi avversari in una sorta di
preventiva legittima difesa ma li attira nella rete di
un’imboscata sleale.
Tuttavia l’esperienza romagnola riveste fondamentale
importanza non solo nella carriera ideologica del Machiavelli
politico, ma anche in quella di scrittore.
Fin dall’inizio emerge almeno perplessità nei confronti del
sostegno accordato dal duca al cardinale Della Rovere,
nemico tradizionale dei Borgia.
Il Borgia non viene mai idoleggiato nella sua concreta realtà
storica. Il Borgia può avere contribuito alla loro formazione e
chiarificazione; ma egli vale in tanto in quanto conferma le
regole da lui stesso ispirate.
IL SEGRETARIO ALL’ESTERO
Lo stesso procedimento di pensiero applicato alle vicende
fiorentine guida Machiavelli nell’esperienza di Francia e di
Germania, ossia nel corso delle legazioni presso Luigi XII e
l’imperatore Massimiliano d’Asburgo.
La prima legazione francese fu causata dallo strascico della
guerra pisana che ora rischiava di compromettere i buoni
rapporti tra Firenze e Luigi XII. Machiavelli si era trovato
presente a quella paradossale situazione. Giunto alla corte di
Luigi XII in virtù di queste coincidenze, egli non tardò a
trasformare l’occasione in un momento cardinale della sua
maturazione. Dalla contrapposizione fra l’endemica
indecisione fiorentina e l’attiva potenza francese egli arriverà
ben presto ad una critica della stessa politica italiana di Luigi
XII e del cardinale di Roano.
Machiavelli dislocherà piuttosto il senso complessivo della
sua esperienza d’oltralpe nei due opuscoli che, scritti nel
1510, ne rappresentano la sintesi sistematica e insieme
l’elaborazione letteraria: il De natura Gallorum e il Ritratto di
cose di Francia. Il primo svela fin dal titolo il suo impianto
naturalistico; il Ritratto finisce col fare della Francia
l’esemplare dello stato moderno, sano e fiorente. Soprattutto
Machiavelli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia
e il raggiunto processo di unificazione nazionale. Da questo
nasce sia il benessere economico del paese, sia la sua forza
militare.
Nel 1507 Machiavelli si era recato presso l’imperatore
Massimiliano, nel Tirolo, con l’unico incarico di controllare
l’oratore ufficiale, Francesco Vettori, per conto del Soderini. Il
gonfaloniere spacciò per la Germania Niccolò come suo uomo
di fiducia; decisione che lasciò con la bocca amara
l’aristocrazia fiorentina e che guadagnò al segretario lo
spregiativo soprannome di <<mannerino>> del suo
superiore. Raggiunto il Vettori, il segretario ebbe così
finalmente modo di considerare un monarca ed
un’organizzazione statale poco e male conosciuti.
Importa negli scritti sulla Germania l’acuta indagine
dell’assetto politico-sociale tedesco. Infatti la tripartizione
degli “ordini” in impero, principati e libere comunità, e la loro
reciproca discordia impediscono alla Germania di tradurre
questo suo potenziale economico e militare in effettiva
iniziativa politica.
TRA <<GHIBIZZO>> E RIFORMA MILITARE
La varia e vasta esperienza politica maturata fino dal 1499
presso i diversi stati italiani, contribuì a concentrare
l’attenzione di Machiavelli, sia come uomo politico, sia come
teorico, sui problemi delle milizie. La passione con la quale
egli si dedicò al progetto di riforma delle armi fiorentine non
indica una semplice esuberanza organizzativa, ma dipende
piuttosto dall’impaziente coscienza che il problema non
poteva più essere rimandato. Machiavelli afferma la
necessità di utilizzare <<le forze mescolate con la
prudentia>>, e arriva a proprie, come exemplum della
situazione fiorentina, quello di Costantinopoli assediata dal
Turco e infine espugnata per la sua imprevidenza. È uno
scritto tutto costruito sulla vibrante alternanza degli
imperativi e dei futuri. La proposta fu ben accolta in linea di
principio; rimaneva tuttavia il timore che una simile mossa
potesse far sorgere il sospetto che il gonfaloniere volesse
dotarsi di una milizia personale. Comunque il gonfaloniere si
decide a promuovere l’iniziativa.
Rovesciato il gonfalonierato del Soderini, che aveva reso
possibile il progetto militare di Machiavelli, quasi sentiva
evidentemente già minacciata la sua creatura. Il realistico
adeguamento della riforma machiavelliana alla struttura
classista della signoria fiorentina contiene una
contraddizione: la pretesa di risanare un organismo politico
mediante una riforma militare che non solo non ne elimina le
ragioni di debolezza, ma anzi le evidenzia. Ingiusto sarebbe
attribuirgli l’ignoranza del problema.
L’esito pratico dell’iniziativa di Machiavelli passò attraverso
fasi alterne. Dopo un rapido reclutamento nel Mugello, la
milizia poteva fare la prima rassegna in Piazza della Signoria;
inviata a guerreggiare contro Pisa riuscendo ad espugnare la
città fra il maggio e il giugno 1509. Nell’agosto 1512 dopo la
decisione della Lega Santa di riportare i Medici a Firenze, le
truppe imperiali puntarono sulla città. Machiavelli e i suoi
fanti si attestarono alla difesa di Prato, ma al secondo assalto
la città cedette. Con la fuga del gonfaloniere la via per
Firenze era aperta per il ritorno dei Medici. Così la
cancellazione del più ambizioso progetto di Machiavelli come
segretario veniva a coincidere con il crollo stesso delle sue
fortune politiche.
1513: LA ROVINA POLITICA DEL SEGRETARIO
Il 7 novembre una deliberazione della signoria <<cassava,
privava e totalmente rimoverà>> Niccolò Machiavelli dal suo
incarico di segretario. Infine Pietropaolo Boscoli, un giovane
aristocratico di sentimenti antitirannici, si lasciò sfuggire
maldestramente una lista di persone a cui pensava di potersi
rivolgere per l’organizzazione di una congiura antimedicea; e
fra i nomi c’era anche quello di Machiavelli. Imprigionato e
torturato, egli venne rimesso in libertà solo dopo ventidue
giorni. <<COSI’ SI TRATTANO
E’POETI>>: MACHIAVELLI
VERSEGGIATORE
UNA POESIA FUORI TEMPO: I DECENNALI
In uno dei sonetti scritti durante il breve periodo della
carcerazione e indirizzati a Giuliano di Lorenzo de’ Medici.
Machiavelli si definisce <<poeta>> chiarendo il senso della
sua strategia letteraria fino al 1513. Anche se egli aveva già
raggiunto una prosa matura negli scritti di governo, le sue
ambizioni letterarie sembrano dislocate in questo periodo
piuttosto sulla poesia. Nel 1506 aveva pubblicato il primo
Decennale scrivendo a Ludovico Alamanni, si lamentava che
l’Ariosto non l’avesse incluso nella rassegna di poeti
dell’Orlando furioso.
Da una parte i versi machiavelliani si inscrivono in un filone
idillico- pastorale, cui appartengono il Capitolo pastorale, la
Serenata, la Canzone, gli stessi Canti carnascialeschi, tutte
composizioni piuttosto che legate alla tradizione popolare
piuttosto che a quella schiettamente umanistica, ma prive di
umori originali; dall’altra essi continuano il filone
satirico-burchiellesco. Su questa linea si pongono anche gli
scritti di maggiore impegno e cioè oltre al Decennale primo, il
Decennale secondo e L’asino, poemetto allegorico in terzine
dantesche databile al 1517.
La riaffermazione di un ruolo protagonistico, per la Firenze
post-laurenziana, poteva avvenire secondo Machiavelli solo
riappellandosi agli umori satirici, polemici, comico-realistici di
una cultura che si innesta nel grande archetipo dantesco.
Tutto il linguaggio è intessuto di reminescenze verbali e
ritmiche della Commedia. Tuttavia ciò che è più significativo
in queste opere, e che ne ha giustificato il giudizio limitativo
non solo da parte della critica letteraria, ma anche di quella
storica, è il processo di banalizzazione che l’ideologia
machiavelliana subisce passando dalla dizione delle opere in
prosa allo stampo del verso. La stessa “fortuna”, qui torna
svuota di originalità, battuta di saggezza popolare e