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L'emulazione dei modelli classici e la crisi del teatro italiano
L'emulazione dei modelli classici si risolverebbe quindi nella negazione del teatro antico e nella creazione di un teatro del tutto nuovo, diverso e moderno, anche per il campo della commedia che particolarmente ci interessa. Sicché la gloria paradossale, in abito europeo, del nostro teatro sarebbe quella di aver creato un edificio teatrale, una tecnica della scena, una tradizione attoriale, un universo musicale: tutto, insomma, salvo quella drammaturgia organica e coerente cui sembrano aspirare, per la commedia, gli artisti del primo Cinquecento.
Avviene dunque una crisi, dopo la metà del secolo. Il testo del Serlio è un bilancio reale, contraddetto dall'itinerario successivo del teatro, e ci pone quindi di fronte a un momento nodale di una problematica sul teatro italiano.
I caratteri distintivi dell'universo teatrale presentato da Sebastiano Serlio sono: uno sforzo di organizzazione scena unificata razionale, all'interno di uno spazio chiuso, del
Rapporto rituale tra un pubblico scelto e una ,costruita e dipinta secondo i principi della prospettiva e adattata al genere che si rappresenta. Il nuovo teatro italiano è nato e si è sviluppato, per il Serlio, con queste strutture fondamentali, che ci portano,se badiamo alla loro successione, dallo spettacolo ai testi.
L'idea di uno spazio chiuso nasce tra la fine del Quattro e i primi decenni del Cinquecento, è l'idea di un luogo teatrale specifico, cioè di un luogo preparato e destinato al teatro; nella maggior parte dei casi è una sala o una corte o il cortile di un palazzo, quindi un luogo che si apre all'interno di un edificio che è già di per sé il simbolo concreto di un prestigio sociale, non è un vero teatro, ma viene allestito in modo provvisorio per la rappresentazione.
Moltiplicandosi l'uso di tali apparati e diffondendosi il gusto degli spettacoli si tende in alcune città a trasformare una sala,
all'interno del palazzo, in teatro permanente, un teatro come luogo specifico dello spettacolo, di tale rito profano per un pubblico nuovo. Il primo esempio è il teatro fatto costruire sotto la direzione di Ariosto, nel 1531, nel Palazzo Ducale di Ferrara. Tra i teatri costruiti in un luogo esterno invece, il Poenulus teatro in legno costruito a Roma in Campidoglio nel 1513, per la recita del di Plauto, in onore di Lorenzo e Giuliano de Medici, quest'ultimo insignito della cittadinanza romana. Si arriva infine alla costruzione, dopo la metà del secolo, di un teatro autonomo; il primo caso è il teatro in pietra fatto costruire a Vicenza dall'Accademia Olimpica, su progetto del Palladio del 1580 completato dallo Scamozzi nel 1585, con un anfiteatro per il pubblico e una costruzione scenica in marmo; per il secondo caso, il Teatro di Sabbioneta, costruito dallo Scamozzi nel 1588. Rispetto al teatro popolare, a quello improvvisato o stilizzato dai buffoni e daimimi nelle piazze, o a quello all'aperto o nelle chiese delle sacre rappresentazioni, il carattere oggettivamente aristocratico, da teatro d'élite, che assume chiaramente tale spazio chiuso, delimitato. Questo teatro d'élite nasce, tra i due secoli, dalla convergenza di due forze essenziali. La prima è un ambiente sociale egemonico, che ha la sua sede nelle corti dei principi (Ferrara) e nei palazzi di un'aristocrazia (Venezia) e di una ricca borghesia urbane (Firenze). Tale ambiente fornisce le risorse economiche (spesso tramite associazioni aristocratiche come le Compagnie della Calza), e ha inoltre la possibilità di promuovere una continuità di gusto per questo genere di spettacolo, tale da permettere lo sviluppo di una ricerca teatrale; esso assicura economicamente l'allestimento degli spettacoli, ma garantisce anche, per ragioni di prestigio, la continuità di essi: l'esempio sono i Gonzaga a Mantova, gli Estensi a Ferrara,
i papi Medicei a Roma, le compagnie aristocratiche della Calza a Venezia. La seconda forza è una casta di intellettuali, scrittori e artisti organicamente legati a questo ambiente, perché da esso traggono, innanzi tutto, i mezzi per vivere, e per vivere talvolta lautamente grazie alle ordinazioni importanti che ricevono, che dipendono perciò in modo mediato o immediato, diretto o indiretto, dal potere politico-economico, permeati di cultura umanistica, una cultura abbastanza articolata nelle varie arti per porsi il problema di elaborare, nel campo che ci interessa, il teatro dei moderni in un costante e dinamico riferimento a quello degli antichi. Non a caso l'importante dibattito sull'imitazione, che si sviluppò nel secondo decennio del Cinquecento e si prolungherà oltre la metà del secolo, investirà anche i settori del teatro; una testimonianza si trova nel Prologo della dell'Ariosto, rappresentata a Ferrara nel
1508. Alla base troviamo quindi la convergenza di interessi di prestigio, oltre che edonistico-culturali, propri dei committenti (per cui un'aristocrazia di corte o urbana magnifica sé stessa e insieme gode della festa teatrale) e di interessi creativi (di sperimentazione cioè in tutti i campi dell'arte), propri degli intellettuali legati ai primi. Gli intellettuali stessi hanno un ruolo di pressione determinante, premono e quasi impongono un nuovo ideale; d'arte e di cultura è necessario rifarsi alla storia delle scoperte di testi classici e in tale ambito di nuovi testi plautini, delle edizioni di Plauto e Terenzio. Da una parte infatti via via che si fanno più frequenti nelle scuole le recite di tale teatro, si verifica, a Roma come a Firenze, una reazione di alcuni ambienti religiosi, soprattutto di alcuni ordini conventuali, di carattere moralistico e religioso. Dall'altra comincia a profilarsi e poi a ingrossarsi negli ultimi anni del Quattrocento,
Il fenomeno delle traduzioni in volgare. Contro tale duplice fenomeno siscaglia nel 1488 Poliziano, da umanista intransigente, contro chi avversa il nuovo teatri per la sua presunta empietà, per la sua licenza, di fatto per la sua integrale laicità, e, con riflessi propri della casta professorale cui appartiene, contro le traduzioni frettolose che falsificano i testi classici e portano il teatro antico a profani che non lo possono capire.
Poliziano è la testimonianza di un fenomeno in piena evoluzione, dalla fase accademica di affermazione, a una seconda che postula il veicolo della traduzione, che contribuisce a suscitare un nuovo teatro profano (esempio Favola di Orfeo celebre è la del Poliziano, rappresentata a Mantova nel 1480: modello di favola pastorale-simbolica, di carattere del tutto profano, inserita in un rito celebrativo di corte che spesso comprende mimi, danze e coreografie). Si passa dalla restituzione del teatro degli antichi, prima in lingua
originale poi intraduzione, all'imitazione creatrice di tale teatro, cioè all'emulazione con esso in lingua volgare. Questo è quindi il supporto culturale del nascente teatro in volgare, chiaramente fondato su una viva emulazione coi modelli rappresentati dai comici antichi. Il nuovo spazio teatrale presuppone una complicità di ordine intellettuale tra produttori e organizzatori-consumatori dello spettacolo, cioè tra chi lo propone e chi lo organizza e lo offre a un pubblico di cui fa già parte, nel quale si identifica. Lo spazio chiuso è dunque simbolo di un teatro privilegiato. Le testimonianze ci inducono a pensare che piacessero al pubblico cortigiano ben più gli intermezzi che la commedia; era se si vuole una forma di snobismo, e una forma di snobismo intellettuale è reperibile anche nel pubblico di corte del primo Cinquecento, quando intellettuali di formazione umanistica vanno proponendo, e al limite imponendo unNuovo tipo di teatro. Altra indicazione data dal Serlio è l'organizzazione rituale di un pubblico scelto in un luogo preciso, ovvero l'istituzione di un rapporto, fissato da convenzioni e da regole ben precise, tra il pubblico e lo spettacolo. Vitruvio e i modelli del teatro antico suggeriscono gradinate di legno, inizialmente a forma semicircolare, ad anfiteatro, che vanno poi evolvendosi; le gradinate sono a disposizione di un pubblico che è sostanzialmente un pubblico di invitati, quindi un pubblico ristretto, di corte, tutto di gentiluomini e gentildonne, di intellettuali, cioè un élite, in rapporto stretto e organico con l'invitante. Il pubblico è in sostanza il produttore e il consumatore del proprio spettacolo, in una sorta di rito a circuito chiuso, un rito di divertimento ma anche un rito simbolico di prestigio dovuto all'appartenenza alla suddetta élite. L'Ariosto a Ferrara ad esempio non si limitava a scrivere le
proprie commedie e a produrle, ma era lui stesso, per incarico del duca d'Este, a organizzare le rappresentazioni, per questo era considerato particolarmente esperto non solo come autore, pe i testi, ma anche per lo spettacolo nel suo insieme.
Importante è la questione degli attori, dal momento che fuori della scuola dei mimi e dei buffoni, non esiste ancora una tradizione di attori professionisti; essi venivano reclutati tra i gentiluomini particolarmente dotati o tra i servi con particolare attitudine. All'inizio quindi il pubblico esprime anche gli attori della commedia, che sono duqneu dilettanti, non professionisti, scelti all'interno del pubblico stesso, alcuni poi divenuti celebri per le loro qualità di attori o, come nel caso di Ruzante, di attori-autori, che approderanno presto all'idea di fare della loro arte un mestiere, richiedendo cioè un pagamento. Tra gli altri ad esempio Francesco De' Nobili, che contribuirà a imporre
Gradualmente un nuovo codice teatrale, quello dell'attore chiamato per un certo repertorio e pagato per il proprio mestiere. Verso la metà del secolo si delinea quindi la figura dell'attore professionista; la prima compagnia che conosciamo è la "fraternal compagnia" che nasce a Padova nel 1545. Pratica degli attori e stesura delle commedie finiranno così, nella seconda metà del Cinquecento, col condizionarsi a vicenda; tanto nel diffondersi si un plurilinguismo espressivo, quanto nella creazione di personaggi e situazioni legati a tradizioni, a costumi regionali, a vicende particolari. Il retroterra regionale si farà allora più evidente. La scena viene presto affidata a specialisti della scenografia, accentuando la sproporzione tra la parte visiva e la parte recitativa dello spettacolo. Le prime forme elementari di scenografia sono offerte da un portico chiuso con tende; ma la scena è unica oltre che fissa, con poche.
Il testo fornisce indicazioni ellittiche, ma precise, e si ricollega allo schema della commedia classica, al cosiddetto portico terenziano; tale struttura può essere sostituita, specie all'interno delle sale, da un telone di fondo, come attesta qualche rarissima stampa.