Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Cosí nella Divina Virgilio si rivela prefigurazione di Beatrice e la vita terrena dei morti é la
prefigurazione della pena del contrappasso, pena che dovrá essere scelta, e cosí scontata o meno, in
base al comportamento assunto in vita.
La conservazione della realtà storica segue l’archetipo dell’autobiografismo cristiano operato da
Sant’Agostino nelle “Confessioni”, nelle quali il santo non distingue la conversione del personaggio
Agostino da quella dell’intero genere umano e singolarmente ad ognuno.
3. Luogo dell’azione
É un luogo geograficamente indeterminato ma forse riconducibile ad un luogo nei pressi del monte
Sion. Possiamo dire che la selva é la rappresentazione della vita mondana ma anche di un periodo
torbido e difficile della vita di Dante. Rappresenta molto probabilmente anche la degradazione
morale della Chiesa, di Firenze e dell’Italia del tempo. Anche la descrizione del luogo é collegata alle
Sacre Scritture poiché egli fa trasparire un’intenzione d’arte grata all’intonazione solenne e biblica.
Analisi del canto
V 1-3 Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura
Ché la diritta via era smarrita.
In questi primi versi é presente una esegesi. La teoria di Singleton del “Dante everyman” si fonda su
una osservazione riguardante l’uso di, in un primo caso, nostra seguito dal mi. Questo contrasto
dissolve la singolaritá di chi parla nella universalitá dell’umanitá. Dante si fa protagonista di una
missione provvidenziale. Ed é proprio lui peró che si ritrova in questa via che é smarrita: egli si
spersonalizza.
V 4-6 Ahi quanto a dir qual era é cosa dura
Esta selva selvaggia e aspra e forte
Che nel pensier rinova la paura!
Descrive la selva come un posto spaventoso e pieno di pericoli, selvaggio. La parola paura la si
ritrova ben 5 volte nel canto e sta a marcare la situazione di angoscia persistente alla quale é
sottoposto il personaggio.
V 7-9 Tant’è amara che poco é più morte;
Ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
Diró de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Le altre cose che lui dice di aver scorto possono essere identificate con i personaggi e le creature
incontrate durante il viaggio, mentre il ben ch’i’ vi trovai é identificato con l’aiuto offerto da Virgilio.
V 10-12 Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
Tant’era pien di sonno a quel punto
Che la verace via abbandonai.
La verace via si ricollega ad un passo del Vangelo secondo Giovanni nel quale la verace via é Cristo.
V 13-21 Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu che la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
Dante giunge ai piedi di un alto colle e fornisce di questi una meravigliosa descrizione: è descritto
all’alba, la sua vista rincuora Dante poiché rappresenta la montagna dell’Eden ed è illuminato dai
raggi del pianeta. Questo è un rifacimento alla Cosmogonia di Tolomeo (II secolo d.C), nella quale il
Sole è uno dei pianeti che girano attorno alla Terra e rappresenta Dio: non a caso mena dritto per
ogne calle perché rende visibile la retta via agli uomini. La paura che ha accompagnato il poeta per
l’intera notte, allegoria del tempo passato in balìa dell’angoscia e del peccato, si acquieta e
alleggerisce il cor, metafora nel medioevo dell’acqua come le vene e i polsi. Non a caso il lago del cor
ha ospitato l’angoscia e la paura, che ristagnavano come il sangue nel quale sono presenti gli spiriti
vitali. Questi spiriti sono irrigati dalle vene come fiumi nel corpo e il tremore dei polsi rappresenta il
lento avvicinamento alla morte. Il cuore da FONTE diviene LAGO e questa condizione di stagnazione
che porta alla morte, simboleggia l’animo dell’uomo che si perde e si secca nel peccato.
V 22-30 E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo era sempre ’l più basso.
Egli, uscito dalla selva/peccato e arrivato ai piedi del monte, si volge indietro come un naufrago che
sulla riva rimane a guardare intensamente l’acqua dalla quale morsa è riuscito ad evadere. Così egli
osserva la sua traversata verso la beatitudine (monte) che non fu mai lasciato da persona viva poiché
l’aldilà non è un posto accessibile a chi ancora è in vita. Dopo aver fatto riposare il suo corpo stanco,
continua a camminare sul pendio, tentando di guadagnare le falde del colle inaccessibile.
In questi versi, dall’1 al 30, Dante descrive la fuga dalla selva oscura prima del fatidico incontro con le
fiere (v 31-60).
V 31-42 Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
Durante la salita, una lonza appare davanti al Dante personaggio, il quale non può continuare il suo
cammino. Questo animale, si pensa sia stato visto da Dante durante una mostra a Firenze e nel
Medioevo era simbolo del desiderio carnale poiché è sempre in calura. Nella Divina Commedia è un
allegoria della lussuria accompagnata dalle altre due fiere, il leone e la lupa, rispettivamente la
superbia e l'avidità. Si può effettuare una analisi delle fiere in ambito politico: la lonza potrebbe
rappresentare la città di Firenze, consumata dalla sua cupidigia. Rifacendosi al Vecchio Testamento,
sono presenti dei profeti che avendo ricevuto da dio l’incarico di manifestare i peccati del popolo,
vennero odiati e ripudiati dai concittadini: infine però la giustizia sarà trionfante a discapito di coloro
che hanno navigato ancora nel peccato. Così il poeta nella Commedia porta alla luce la sua
indignazione nei riguardi dei vizi umani che stanno consumando, nel caso da lui descritto, la Chiesa e
la città di Firenze. Quando interrogherà Ciacco nel VI canto dell’Inferno, questi indicherà la superbia,
l’invidia e l’avarizia come divoratrici e cause della discordia che ha assalito la città toscana. Come dirà
Cacciaguida nel XVII canto del Paradiso, la giustizia regnerà e Dante la vedrà con i suoi occhi. Questi,
di sua parte, ancora una volta ripone le sue speranze in Dio, il quale in questo canto e non solo, lo
accompagna con la costellazione primaverile dell'Ariete, costellazione benefica. Ma nonostante la
forza che ne trae dalla bella stagione, egli è atterrito dalla vista di un leone, il quale sembrava
bramare la sua carne.
V 43-48 l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Il leone, che come detto è allegoria della superbia, appare dinanzi a Dante con impaziente fame.
Questo animale rappresenta la Francia, anch'essa antimperialista.
V 49-60 Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
E qual è quei che volentieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti i suoi pensier piange e s’attrista,
tal mi fece la bestia sanza pace,
che venendomi ’ncontro a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Ed ecco che davanti al Dante personaggio, appare la lupa in tutta la sua magrezza. Questa si avvicina
a lui, il quale è atterrito dalla paura e decide di rinunciare all'ascesa del colle. L'animale già costrinse
molti uomini a vivere nella sofferenza come sta costringendo il protagonista a rientrare nella selva
del peccato. Questi si somiglia a colui che raccoglie ricchezze avidamente per molto tempo ed arriva
al momento in cui perde tutto e si dispera. La descrizione di queste ricchezze acquisite e conservate
con tanta avidità, fa capire al lettore che la lupa è proprio l'allegoria dell'avarizia. In ambito politico,
essa rappresenta la Curia romana: non a caso si può ricollegare questo animale alla lupa capitolina.
L’ingerenza della Chiesa nel dominio temporale è negativamente descritta da Dante come l’ignavia
dell’imperatore Alberto d’Asburgo, facendo già riferimento al successore Enrico, lodato sempre nel
XVII canto del Paradiso, con Cacciaguida. Della Chiesa e dell’Imperatore si tratterà più avanti nel
Purgatorio attraverso le parole di Marco Lombardo, uomo di corte, il quale ammette la necessità
della divisione dei poteri temporali e spirituali poichè neanche il papa, essendo comunque un uomo
e di natura, come tutti gli uomini incline al bene, è immune alla cupidigia. Non essendo immune ad
essa non può amministrare la giustizia con perfetta equità. La via spirituale della felicità eterna e la
via temporale della felicità naturale sono illuminate da due soli: lo scettro pastorale e la spada. Le tre
fiere descritte dal poeta, sono delle figure che questi sicuramente ha ripreso dalla Bibbia, e la loro
probabile funzione di critica alla società del tempo rispecchia l'orientamento anti mondano e contro
la curia corrotta e assetata. Questi infatti nel loro atteggiamento contro l'autorità dell'imperatore,
sono visti dal poeta come raffigurazione del male. Tuttavia le figure sono descritte da questi come in
successione, perciò è probabile che questi stia descrivendo un mostro in continua metamorfosi.
La sinestesia “dove ’l sol tace”, descrive il silenzio che prelude l&rsqu