Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?» 78
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos’io lui con vergognosa fronte. 81
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume. 84
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore. 87
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi». 90
«A te convien tenere altro viaggio,»
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; 93
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 96
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 99
Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia. 102
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurìalo e Turno e Niso di ferute. 108
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde invidia prima dipartilla. 111
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno, 114
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida; 117
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti. 120
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò di me più degna:
con lei ti lascerò nel mio partire; 123
ché quello imperador che lassù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna. 126
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio;
oh felice colui cu’ ivi elegge!» 129
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch’io fugga questo male e peggio, 132
che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color che tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro. 136
� Contesto e posizione nel poema
Il Primo Canto funge da proemio non solo all’Inferno, ma all’intera Divina Commedia.
È un’introduzione che presenta:
il tema centrale del viaggio di Dante nell’aldilà,
la situazione iniziale del protagonista,
i simboli morali e allegorici che struttureranno tutto il poema.
Riassunto del Canto
�
Dante, a metà della sua vita (“Nel mezzo del cammin di nostra vita”), si ritrova
smarrito in una selva oscura, simbolo del peccato e della perdita della retta via
spirituale.
Tentando di risalire un colle illuminato dal sole (la salvezza, la grazia divina), è
ostacolato da tre fiere:
Lonza – simbolo della lussuria o della frode (a seconda delle interpretazioni),
Leone – simbolo della superbia o della violenza,
Lupa – simbolo della cupidigia/avarizia, il peccato più grave e dilagante.
Spaventato, Dante arretra, ma gli appare l’anima di Virgilio, simbolo della ragione
umana e della sapienza classica, che gli annuncia che per salvarsi dovrà seguire un
altro cammino: non la salita diretta al colle, ma un viaggio attraverso Inferno,
Purgatorio e Paradiso.
Virgilio si offre di guidarlo fino al Purgatorio; poi, per il Paradiso, sarà una donna “più
degna” (cioè Beatrice, simbolo della fede e della grazia divina).
� Struttura del canto
vv. 1–12 – Smarrimento nella selva oscura
vv. 13–30 – Descrizione del colle illuminato dal sole
vv. 31–60 – Incontro con le tre fiere
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Canto I Inferno Divina Commedia
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Canto I Inferno
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Canto V Inferno
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Canto 5 Divina Commedia, Inferno - Appunti